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Accertamenti bancari: no presunzioni su prelievi

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha stabilito un principio fondamentale in materia di accertamenti bancari a carico di un lavoratore autonomo. In un caso riguardante un professionista, la Corte ha chiarito che la presunzione legale di reddito non dichiarato si applica esclusivamente ai versamenti e non ai prelievi effettuati sul conto corrente. La sentenza del giudice di merito è stata annullata su questo punto, in quanto non aveva tenuto conto di una precedente e decisiva pronuncia della Corte Costituzionale. Il caso è stato rinviato per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamenti bancari e lavoratori autonomi: i prelievi non sono ricavi

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale per gli accertamenti bancari nei confronti del lavoratore autonomo: la presunzione legale che associa le movimentazioni bancarie a redditi non dichiarati vale solo per i versamenti, non per i prelievi. Questa decisione offre un importante chiarimento, rafforzando le tutele per i professionisti di fronte alle pretese del Fisco basate su indagini finanziarie.

I fatti del caso: un professionista sotto la lente del Fisco

L’Agenzia delle Entrate aveva notificato a un professionista un avviso di accertamento, contestando un maggior reddito di lavoro autonomo per oltre 69.000 euro per l’anno 2008. L’accertamento si fondava interamente sull’analisi delle movimentazioni bancarie registrate sul conto corrente del contribuente. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, sia i versamenti che i prelievi non giustificati dovevano essere considerati come compensi non dichiarati.

Il professionista aveva impugnato l’atto, dando inizio a un contenzioso che, dopo una prima decisione sfavorevole e una parzialmente favorevole in appello, è giunto fino alla Corte di Cassazione.

Il ricorso in Cassazione e la questione dei prelievi del lavoratore autonomo

Il contribuente ha presentato diversi motivi di ricorso, ma quello decisivo, accolto dalla Suprema Corte, riguardava la violazione dell’art. 32 del d.P.R. 600/1973. Il ricorrente sosteneva che il giudice d’appello avesse errato nel considerare i prelievi ingiustificati, per un importo di circa 14.000 euro, come prova di maggiori compensi.

Questo motivo faceva leva su un intervento fondamentale della Corte Costituzionale (sentenza n. 228 del 2014), che aveva dichiarato illegittima la presunzione legale secondo cui i prelievi non giustificati di un lavoratore autonomo costituiscono reddito. La Consulta aveva evidenziato una differenza sostanziale tra imprenditori e professionisti: mentre per i primi un prelievo può ragionevolmente essere ricondotto a un investimento nell’attività d’impresa (e quindi a un ricavo non dichiarato), per un lavoratore autonomo tale equazione è arbitraria e irragionevole, poiché i prelievi possono essere destinati a spese personali senza alcuna connessione con l’attività professionale.

Gli altri motivi di ricorso

La Corte ha invece rigettato gli altri motivi, tra cui:
* La presunta nullità dell’atto per firma di un funzionario senza poteri, ritenendo che si trattasse di una semplice delega di firma interna all’ufficio.
* La contestazione sulla valutazione delle prove fornite per giustificare i versamenti (come dichiarazioni di terzi), che la Corte ha qualificato come un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo, cassando la sentenza impugnata sul punto. I giudici hanno affermato che la Commissione Tributaria Regionale non aveva tenuto conto del principio sancito dalla Corte Costituzionale. Di conseguenza, la presunzione legale di cui all’art. 32 del d.P.R. 600/1973, per i lavoratori autonomi, resta valida solo per i versamenti.

Questo significa che, in caso di accertamenti bancari su un lavoratore autonomo, l’onere della prova si atteggia in modo diverso:
1. Versamenti: Spetta al professionista dimostrare, con prove analitiche e specifiche per ogni operazione, che le somme accreditate sul conto non sono compensi imponibili.
2. Prelievi: Non esiste alcuna presunzione legale. I prelievi non devono essere giustificati dal contribuente, in quanto non possono essere automaticamente considerati come investimenti in un’attività professionale produttiva di reddito.

La Corte ha quindi stabilito che la sentenza d’appello era errata nella parte in cui aveva applicato la presunzione anche ai prelievi, e ha rinviato il caso a una diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale per una nuova decisione che si attenga a questo principio.

Conclusioni: cosa cambia per i professionisti

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza per la tutela dei lavoratori autonomi. Se da un lato rimane fermo l’obbligo di fornire una prova rigorosa e analitica per giustificare l’origine dei versamenti sui propri conti correnti, dall’altro viene definitivamente esclusa la possibilità per il Fisco di presumere un maggior reddito sulla base dei soli prelievi.

Per i professionisti, ciò si traduce in una maggiore certezza del diritto e in una difesa più solida contro accertamenti bancari che si fondano su presunzioni irragionevoli e non applicabili alla loro specifica natura lavorativa.

I prelievi dal conto corrente di un lavoratore autonomo possono essere considerati automaticamente reddito non dichiarato?
No, la Corte di Cassazione, richiamando una sentenza della Corte Costituzionale (n. 228/2014), ha stabilito che la presunzione legale di ricavi o compensi non si applica ai prelievi ingiustificati effettuati da un lavoratore autonomo.

Per i versamenti sul conto corrente del professionista vale la stessa regola dei prelievi?
No, la presunzione legale resta pienamente valida per i versamenti. Spetta al lavoratore autonomo dimostrare, con una prova analitica per ogni singola movimentazione, che le somme versate non costituiscono reddito imponibile o che derivano da fonti già tassate.

Le dichiarazioni scritte di terze persone sono sufficienti a giustificare le movimentazioni bancarie?
No, secondo la Corte, le dichiarazioni extraprocessuali di terzi non costituiscono prova piena, ma semplici indizi. Il giudice deve valutarli liberamente insieme a tutti gli altri elementi probatori e non sono, di per sé, sufficienti a superare la presunzione legale legata ai versamenti bancari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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