Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24549 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24549 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/09/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 9696-2016, proposto da:
COGNOME NOME COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
Ricorrente
CONTRO
AGENZIA DELLE ENTRATE , cf 06363391001, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 9146/49/2015 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 20.10.2015; .04.2025
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Accertamento – Indagini
bancarie
–
Prova –
lavoratore autonomo
FATTI DI CAUSA
L ‘Agenzia delle entrate notificò a COGNOME NOME l’avviso d’accertamento, c on cui contestò ai fini Irpef, Iva ed Irap un maggior reddito di lavoro autonomo, conseguito nell’anno 2008 e pari ad € 69.742,00.
L’accertamento, fondato sulla verifica delle movimentazioni bancarie relative ai conti correnti intestati al contribuente, fu impugnato dal COGNOME dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta, che con sentenza n. 1699/10/2014 rigettò il ric orso. L’appello con cui il contribuente instava sulle proprie ragioni fu accolto in parte dalla Commissione tributaria regionale della Campania con sentenza n. 9146/49/2015.
Il giudice regionale, dopo aver rigettato le eccezioni con le quali il COGNOME sosteneva la nullità dell’atto impositivo -per essere sottoscritto da funzionario privo di poteri, ha esaminato il merito dei motivi d’appello, in particolare ha vagliato la documentazione allegata dal contribuente a giustificazione delle movimentazioni bancarie ricondotte dell’amministrazione a redditi professionali non dichiarati, riducendo le pretese erariali.
Avverso la decisione il COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a sei motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Nell’adunanza camerale dell’11 aprile 2025 la causa è stata trattata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente con il primo motivo ha denunciato la violazione o falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. La Commissione regionale, pur accogliendo parzialmente le ragioni d’appello del contribuente, non avrebbe comunque escluso, per la sua qualità di lavoratore autonomo, l’efficacia presuntiva degli accertamenti bancari con riguardo alle operazioni di prelievo, così come dovuto a seguito della sentenza n. 228 del 6 ottobre 2014, pronunciata dalla Corte Costituzionale.
Il motivo è fondato. Premesso che all’esito dell’ attività di accertamento non erano risultate giustificate operazioni dell’importo complessivo di € 49.888,00 per versamenti ed € 13.947,00 per prelevamenti, il collegio d’appello non ha tenuto conto dell’intervento in materia della Corte
RGN 9696/2016
Costituzionale, che ha riconosciuto l’illegittimità dell’art. 32 co mma 1, n. 2, secondo periodo, d.P.R. n. 600/1973, come modificato dall’art. 1, co. 402, lett. a), l. n. 311/2004, limitatamente alle parole «o compensi» per violazione degli artt. 3 e 53 Cost. In particolare ha ritenuto che l’ambito operativo della presunzion e relativa alla riconducibilità a reddito d’impresa dei versamenti e dei prelievi dai conti correnti, non giustificati, estesa dalla l. n. 311/2004 anche ai lavoratori autonomi, sia lesiva del principio di ragionevolezza e di capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari, effettuati da un lavoratore autonomo, siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale, e che questo sia a sua volta produttivo di un reddito. Resta dunque invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 cit. solo con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, così che questi è onerato della prova analitica dell’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno invece l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti ( ex multis , Cass., 9 agosto 2016, n. 16697; 30 marzo 2018, n. 795; 2 febbraio 2021, n. 2240; 19 agosto 2022, n. 24998; 20 dicembre 2023, n. 35618; 8 aprile 2024, n. 9403).
Di tale principio non ha tenuto conto la Commissione regionale, la cui sentenza, pertanto va cassata sul punto.
L’accoglimento del primo motivo assorbe il terzo, con il quale la medesima questione è stata proposta sotto l’aspetto della denuncia della nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132, secondo comma, cod . proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per omessa pronuncia del giudice d’appello , che in tal modo non avrebbe tenuto conto degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale sui prelevamenti bancari per i redditi dei lavoratori autonomi.
Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 42, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art. 56, comma 1, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La Commissione regionale avrebbe errato laddove, non tenendo conto degli effetti della sentenza della Corte
Costituzionale n. 37 del 25 febbraio 2015, ha ritenuto legittimo l’avviso d’accertamento sottoscritto da funzionario privo di poteri.
Il motivo è infondato quando non inammissibile.
Premesso che non ha rilievo il richiamo alla pronuncia della Corte Costituzionale, perché nel caso di specie non si fa questione di funzioni direttive rivestite senza concorso pubblico, ma di validità dell’atto impositivo sottoscritto da funzionario delega to dal capo dell’ufficio -su cui peraltro dimostra di diffondersi la stessa difesa del ricorrente-, in ogni caso, ai fini della legittimità dell’accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli atti in rettifica e quelli d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e cioè da un funzionario di area terza per il quale non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito nella l. n. 44 del 2012.
Ciò premesso, anche in riferimento alle censure indirizzate alla sottoscrizione dell’atto impositivo da parte di funzionario privo di poteri, intanto non emerge neppure quando la questione sia stata sollevata sin dal primo grado di giudizio (cfr. Cass., 13 aprile 2017, n. 9602; da ultimo, sull’ininfluenza al riguardo della pronuncia della Corte costituzionale n. 37/2015, sulla quale si punta in memoria, cfr. Cass., 19 agosto 2025, n. 23528, punto 7.9). Al contrario, proprio esaminando la ricostruzione dei fatti e dei motivi di impugnazione dell’avviso d’accertamento dinanzi al giudice provinciale, richiamati nel ricorso del contribuente, la questione non risulta affatto sollevata.
In ogni caso, con principio ormai consolidato, questa Corte ha chiarito che il conferimento del potere di sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente
l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass., 19 aprile 2019, n. 11013).
Con il quarto motivo il ricorrente si è doluto della violazione e falsa applicazione degli att. 2697 e 2702 cod. civ., dell’art. 32, comma 1, nn. 2 e 8 bis, d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. La Commissione avrebbe erroneamente affermato che il contribuente aveva mancato di fornire la documentazione idonea a giustificare le movimentazioni bancarie dalle quali l’Amministrazione finanziaria aveva presunto il maggior reddito del professionista.
Con il quinto motivo ha lamentato la violazione dell’art. 2729 cod. civ., nonché dell’art. 32 comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973. Il giudice d’appello nel valutare le prove presuntive, avrebbe erroneamente ignorato la necessità della precisione, gravità e concordanza.
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché connessi, criticandosi con essi la violazione dei principi di riparto dell’onere della prova e del governo delle prove presuntive, sono infondati.
Nelle lunghe difese il ricorrente espone le ragioni per le quali la documentazione allegata già in fase endoprocedimentale spiegava e giustificava le movimentazioni bancarie contestate dall’Ufficio, con particolare riguardo alle ricevute e alle dichiarazioni di terzi, dalle quali desumere che gli importi corrispondenti ai versamenti trovavano causa in prestiti concessi a terzi dal padre del ricorrente, nelle more deceduto ed a lui pertanto via via restituiti.
Ebbene, in tema di accertamento dei redditi a mezzo di verifiche condotte sui conti correnti del contribuente, questa Corte ha affermato che la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’ Ufficio di riferire de plano ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, cui è fatta salva la prova contraria; la legittimità della utilizzazione degli elementi risultanti dalle movimentazioni bancarie non è neppure condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio preventivo (Cass., 15 maggio 2013, n. 11624; 27 febbraio 2019, n. 5777; 20 dicembre 2019, n. 34209).
Peraltro, quanto al concreto atteggiarsi dell’onere probatorio, quello dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 cit., attraverso i dati e
gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass., 27 giugno 2011, n. 14041; 26 aprile 2017, n. 10249; 29 luglio 2016, n. 15857; 20 marzo 2019, n. 7758; tra le più recenti, 31 gennaio 2024, n. 2928; 18 settembre 2024, 25043; 4 ottobre 2024, n. 26014).
Non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cass., 18 settembre 2013, n. 21303; 11 marzo 2015, n. 4829; 5 maggio 2017, n. 11102; 3 maggio 2018, n. 10480). Quello che viene richiesto al contribuente, a fronte delle risultanze bancarie addotte dalla Amministrazione, è dunque l ‘ analiticità della prova allegata. La sua specificità ed analiticità consente infatti di superare la presunzione di attribuzione dei versamenti e dei prelevamenti emergenti dal conto corrente dell’imprenditore , ed alla specificità della prova contraria deve far seguito una valutazione del giudice altrettanto analitica di quanto dedotto e documentato dal contribuente ( ex multis , Cass., 28 novembre 2018, n. 30786; 5 maggio 2021, n. 11696; 18 novembre 2021, n. 35258; cfr. anche 8 ottobre 2020, n. 21700).
Pertanto, dalla stessa lettura delle norme, secondo la consolidata interpretazione dell ‘art. 32 cit., così come de ll’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, i dati emergenti dall’esame delle movimentazioni bancarie sui conti correnti , a cui l’Amministrazione finanziaria abbia avuto accesso, sono presuntivamente riconducibili ad operazioni economiche del contribuente, e come tali confluiscono direttamente nel suo imponibile, salva la prova contraria allegata dal contribuente.
Perimetrati dunque gli effetti della disciplina su ll’acquisizione dei dati bancari e dell’alveo in cui essa opera ai fini dell’accertamento del reddito, nel caso concreto è pur vero che la difesa del contribuente ha allegato una
RGN 9696/2016
serie di ragioni per una diversa ricostruzione e per una diversa natura dell’origine d elle movimentazioni bancarie, ma dalla lettura della pronuncia risulta con altrettanta evidenza che il giudice d’appello ha esaminato partitamente, e nel complesso, gli elementi allegati, giungendo a conclusioni in parte sfavorevoli ai contribuenti.
I l giudice d’appello ha riconosciuto che alcuni dei versamenti fossero giustificati dalle prove allegate dal COGNOME, apprezzando proprio la documentazione sulla quale erano rette le giustificazioni del contribuente (contratto di mutuo e ricevute di parziale restituzione del prestito concesso dal padre del ricorrente; atto notarile di ricognizione di debito). Questo per i mporti complessivi di € 23.700,00. Al contrario, per altri versamenti ha ritenuto insufficiente la documentazione offerta dal ricorrente.
A tali conclusioni è pervenuto dopo aver premesso alcune considerazioni sui limiti del valore indiziario delle dichiarazioni di terzi.
Si tratta di un accertamento in fatto, cui la difesa del contribuente non può ora opporre la supposta forza probante delle dichiarazioni dei terzi, che sono e restano indizi, liberamente valutabili dall’organo giudicante.
Come infatti già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, nel processo tributario trovano ingresso le dichiarazioni extraprocessuali di terzi, – nel rispetto dell’art. 6 CEDU e del principio di parità delle armi di cui all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea -. Esse hanno tuttavia valore di elementi indiziari, utilizzabili sia dall’Amministrazione, sia dal contribuente (Cass., 22 marzo 2023, n. 8221).
D’altronde, già la Corte costituzionale, che pur aveva più volte rigettato la questione di legittimità costituzionale del divieto di assunzione di prova testimoniale nel processo tributario (nella vigenza del vecchio assetto processuale, cioè prima delle modifiche apportate all’art. 7 del d.lgs. 546 del 1992 dalla l. 31 agosto 2022, n. 130), aveva comunque affermato che tale divieto non impedisce in sede contenziosa di valorizzare le dichiarazioni rilasciate da terzi, considerandole alla stregua di semplici indizi (Corte Costituzionale, sentenza n. 18 del 2000).
Dunque, anche se al contribuente, oltre che all’Amministrazione finanziaria, è riconosciuta la possibilità di introdurre nel giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti ex art. 111 Cost., esse assumono tuttavia
il valore probatorio di elementi indiziari, il che non fa venir meno il poteredovere del giudice tributario di valutare l’attendibilità del contenuto delle dichiarazioni.
Secondo il principio della libera valutazione delle prove, sarà suo compito confrontare le notizie raccolte e valutare l ‘ attendibilità dei dichiaranti in base ad elementi soggettivi e oggettivi, così come l’intrinseca congruenza di dette dichiarazioni con ulteriori altri elementi acquisiti (da ultimo, cfr. Cass., 30 ottobre 2024, n. 28022; 28 ottobre 2022, n. 32024). Ciò, tanto più a fronte di prove legali in favore dell’erario, derivanti dagli accertamenti bancari ex art. 32, d.P.R. n. 600 del 1973, che determinano in capo al contribuente un preciso ed analitico onere della prova contraria, che non può essere assolto solo attraverso il ricorso a dichiarazioni di terzi, non potendo queste ultime assurgere né a rango di prove esclusive della provenienza del reddito accertato, né essere idonee, di per sé, a fondare il convincimento del giudice (Cass., 15 luglio 2022, n. 22302; 9 marzo 2021, n. 6405).
Ebbene, l’attività valutativa esercitata dalla commissione regionale in merito agli elementi probatori allegati dalle parti in questa controversia si è mossa nell’alveo dei principi di diritto appena enunciati, e le conclusioni cui quel giudice è pervenuto, esenti da illogicità argomentative, superficiale ponderazione delle prove, o errori materiali o percettivi, rappresentano l’esito di un accertamento in fatto, non criticabile in sede di legittimità.
Né può pretendersi da questa Corte una rivalutazione degli indizi prodotti dai contribuenti, così sollecitando un nuovo accertamento in fatto.
I motivi, in definitiva, vanno rigettati.
con il sesto motivo lamenta infine l ‘ ‘omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio’ in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. La Commissione nel respingere le ragioni del c ontribuente sulla esclusione dall’imponibile dell’accredito di € 7.500,00 di NOME NOME sarebbe incorso in un errore di motivazione.
A parte l’inappropriato richiamo al vizio di motivazione , propria della formulazione anteriore alla novella introdotta dal d.l. 23 giugno 2012, n. 83, il motivo è inammissibile, sia per quanto già illustrato nell’esame de lle censure che precedono, sia perché nel ricorso per cassazione non sono più
ammissibili le doglianze per contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza, e al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; 20/11/2015, n. 23828; 12/10/2017, n. 23940). Con la nuova formulazione del n. 5 dunque lo specifico vizio denunciabile per cassazione deve essere relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia. Nel caso di specie la Commissione ha fatto espresso riferimento alla documentazione inerente i supposti rapporti creditori con il COGNOME
In conclusione, va accolto il primo motivo, assorbito il terzo, rigettati o inammissibili gli altri.
La sentenza va cassata nei limiti del motivo accolto e il giudizio va rinviato alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Campania, perché, in diversa composizione, oltre che alla liquidazione delle spese di legittimità, provveda alla decisione della causa, tenendo conto del principio enunciato nel motivo accolto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il terzo, rigetta gli altri; cassa la sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Campania, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, all’esito della camera di consiglio del giorno 11