Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22480 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22480 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2791/2024 R.G. proposto da:
COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME del foro di Catania, giusta procura speciale in atti , e con indicazione di domicilio digitale all’indirizzo pecEMAIL;
– ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 5156/2023 della Corte di Giustizia Tributaria della Sicilia, depositata in data 16.6.2023 e non notificata; adunanza camerale del 22.05.2025 dal
udita la relazione svolta all’ consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate di Catania notificava a COGNOME un avviso di accertamento, con il quale accertava un maggior reddito di euro 294.237,00 per l’anno di imposta 2006, con
IRPEF
Accertamento
–
indagini bancarie –
plusvalenza.
–
conseguente ripresa a tassazione a fini Irpef, Addizionale regionale e Addizionale comunale. Tale reddito, secondo L’Ufficio, scaturiva , per euro 199.744,44, dalla somma dei prelevamenti effettuati sul conto corrente intestato al contribuente ed al coniuge e per euro 92.686,00 dalla plusvalenza conseguente alla cessione di sei beni immobili .
2.La C.T.P. di Catania, adita dal contribuente, con sentenza n. 7526/6/16 depositata il 23 giugno 2016, accoglieva parzialmente il ricorso, nei limiti del provvedimento di sgravio emesso dall’Ufficio già notificato, rigettando nel resto e condannando il ricorrente alle spese di lite.
3.La C.G.T. di secondo grado della Sicilia rigettava l’appello del COGNOME con la sentenza richiamata in epigrafe.
Quest’ultimo ha impugnato la suddetta pronuncia con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
E’ stata fissata l’udienza camerale del 22.5.2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo -rubricato « Nullità della sentenza per error in procedendo per motivazione meramente apparente, inadeguata, contradittoria e perplessa, con riguardo all’art. 111 Cost. e dell’art. 132, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.» -il ricorrente assume che la motivazione della sentenza, seppur graficamente presente, è del tutto apparente e/o inadeguata, mostrandosi palesemente insufficiente rispetto ai motivi di appello così come proposti, essendosi la C.G.T. limitata a condividere acriticamente la sentenza di primo grado.
1.1. Il motivo è infondato.
Si legge nella sentenza impugnata: ‘L a Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Catania, ritiene meritevole di conferma l’impugnata sentenza. L’originario accertamento in seguito ad apposita istanza di adesione è stato
ridotto con provvedimento di sgravio parziale per l’immobile n. 4 e per il recupero della somma di euro 10.000,00 riguardante il 2007, pervenendo così a un importo totale di euro 271.737,00 (anziché euro 294.237,00). La Corte ritiene che le motivazioni poste a base dell’atto d’appello siano già state esaminate e decise dai primi giudici. Per quanto attiene il merito ed in relazione ai beni immobili compravenduti si rileva che la quantificazione elaborata dall’Agenzia è conforme a legge e la parte appellante non produce alcun nuovo motivo in merito. Per quanto attiene la movimentazione bancaria si osserva che, a fronte della presunzione legale da accertamenti bancari, la Corte ritiene che qualora l’accertamento effettuato dall’Agenzia si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili. Per cui le motivazioni indicate sull’atto di appello circa la giustificazione di alcuni movimenti bancari non risultano congrue. Si evidenzia a tale fine due risposte fornite (e già esaminate e respinte dai primi giudici) 1) ‘L’assegno circolare del Banco di Sicilia di euro 5.816,00 non è altro che la restituzione di un prestito precedentemente concesso al sig. COGNOME NOME COGNOME risulta abbastanza generica e in ogni insufficiente a giustificare la legittimità dell’operazione medesima; 2) ‘versamento del 14.04.2006 di euro 5.000,00: Trattasi di bonifico disposto dalla RAGIONE_SOCIALE per restituzione finanziamento soci’ risulta abbastanza generica per
giustificare la legittimità dell’operazione medesima. Conseguentemente l’atto di appello deve essere rigettato e la sentenza impugnata deve essere confermata.’.
1.2. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte si è in presenza di una “motivazione apparente” allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento, ove il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 3 novembre 2016 n. 22232; Cass. 18 giugno 2018 n. 16057; Cass. 30 giugno 2020 n. 13248 e numerose altre)
1.3. In applicazione dei suddetti condivisi principi, questa Corte ritiene che la motivazione della sentenza impugnata non presenti profili di contraddittorietà o illogicità e che la C.G.T. di secondo grado abbia motivato su tutte le questioni veicolate dai motivi di gravame, soddisfacendo il ‘minimo costituzionale’ di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U n. 8053/2014 cit., seguita, tra le tante, da Cass. n. 5209/2018).
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta « Nullità della sentenza per error in procedendo: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 e 115 c.p.c. per omessa pronuncia su alcuni dei motivi di gravame, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c .».
Sostiene al riguardo che, a fronte di tre motivi di appello (da pag. 3 a pag. 13), articolati in ulteriori sottomotivi, per come riportati nello stesso ricorso a pagina 5, la CGT di secondo grado si è limitata a rinviare alla sentenza di primo grado, senza nulla aggiungere in merito al contenuto dei motivi di appello riportati sotto le lettere A e B, dedicando invece poche righe al terzo motivo di appello, in ordine al quale argomentava (con i limiti su denunciati) solo su due dei diciannove movimenti bancari contestati.
2.1. La doglianza è infondata.
Questa Corte ha più volte chiarito che la sentenza d’appello può essere motivata ” per relationem “, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (v., tra le tante, Cass. 20883/2019; Cass. n. 28139/2018).
Nel caso in esame, la Corte di secondo grado, nell’esaminare i motivi di gravame proposti, non si è limitata a condividere acriticamente la sentenza di primo grado, avendo piuttosto, dopo aver correttamente richiamato le regole sul riparto degli oneri probatori in materia di movimenti bancari, espresso autonomo convincimento circa la loro infondatezza, valutando come non
congrue le giustificazioni fornite dall’appellante e soffermandosi, in particolare, a titolo esemplificativo, sulle giustificazioni fornite dall’appellante su due movimenti bancari, ritenendole generiche e dunque non idonee, come le altre, a soddisfare l’onere della prova contraria posto in capo al contribuente ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600/73.
2.2. A tale ultimo riguardo, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità (confortato anche dalla recente pronuncia della Corte costituzionale n. 10 del 2023), è opportuno ricordare che, in tema di accertamenti bancari, una volta che l’ Amministrazione finanziaria abbia fornito la prova dei movimenti in entrata e in uscita operati dal contribuente su conto corrente bancario, integrando così il meccanismo presuntivo posto a favore della stessa (cfr. Cass. n. 34638/2022) – che, avendo fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici -, spetta al contribuente, per evitare che le risultanze delle verifiche bancarie siano poste a base di successivi eventuali atti impositivi, fornire la prova della loro inclusione nella base imponibile oppure dell’estraneità alla produzione del reddito (Cass. n. 40221/2021; Cass. n. 26014/2024); prova che deve essere analitica (Cass. n. 13112/2020), per ogni movimento bancario contestato, e non generica (Cass. n. 15857/2016; Cass. n. 18495/2025).
3. Con il terzo ed ultimo motivo, rubricato « Violazione o falsa applicazione dell’art. 32 DPR 600/1973, in combinato disposto con gli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 (ove occorrer possa n. 5) c.p.c. », il ricorrente deduce che in sede di appello era stato articolato un motivo (identificato con la lettera C.), con il quale si era lamentata una motivazione generica della sentenza di primo grado, a fronte di una ricostruzione (dei movimenti bancari) puntuale e documentalmente supportata, peraltro anche già in fase precontenziosa. La CGT di II grado si era preoccupata di
sottolineare che ‘ secondo l’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, (…) si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili ‘. A detto onere la difesa del contribuente non si era affatto sottratta, ma i Giudici di II grado avevano espresso il proprio giudizio (in maniera assolutamente generica) solo in riferimento a 2 movimenti bancari su 19, ricostruiti e documentati ed offerti al vaglio della CTP prima, e della CGT di II grado, poi. I documenti non esaminati offrivano la prova di circostanze (giroconti, duplicazioni di riprese, restituzione di somme) di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle presunzioni che hanno determinato il convincimento del giudice di merito.
3.1. La doglianza è inammissibile, sia perché si è in presenza di una ‘doppia conforme’ sfavorevole al contribuente, sia perché la doglianza sollecita questa Corte ad una diversa ricostruzione dei fatti e ad una diversa valutazione del materiale istruttorio rispetto a quelle operate dal giudice del merito non consentita in sede di legittimità (cfr. Cass. S.U. n. 34476/2019 e, da ultimo, Cass. n. 19311/2025).
Il ricorso va, in definitiva, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22.5.2025.