Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12798 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12798 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura conferita con atto separato ed allegata, dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di Velletri, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, al INDIRIZZOOstia Lido) in Roma;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 1309, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 24.2.2020 e pubblicata il 19.5.2020;
ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
la Corte osserva:
Fatti di causa
Oggetto: Irpef 2010 -Accertamenti bancari -Contribuente non imprenditore – Oneri probatori.
COGNOME NOME era sottoposto a verifica fiscale anche a mezzo di indagini bancarie, conclusa con Processo Verbale di Costatazione della Guardia di Finanza, che era consegnato al contribuente. Quest’ultimo promuoveva procedura di accertamento con adesione, che non sortiva esito positivo tuttavia, in considerazione delle giustificazioni fornite, l’Amministrazione finanziaria riduceva in misura molto elevata l’importo della pretesa fiscale. L’Agenzia delle Entrate gli notificava quindi l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/2015 avente ad oggetto, ai fini Irpef, il maggior reddito di Euro 38.500,00 conseguito nell’anno d’imposta 2010.
NOME COGNOME impugnava l’atto impositivo, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, proponendo plurime censure e lamentando, tra l’altro, l’illegittimità dell’accertamento in quanto basato su indagini bancarie, ma secondo modalità consentite solo nei confronti di lavoratori autonomi o imprenditori, e nel merito ne eccepiva il difetto di motivazione e comunque l’infondatezza. L’Amministrazione finanziaria si costituiva in giudizio difendendo la legittimità e la fondatezza del proprio operato. La CTP reputava infondate le difese proposte dal ricorrente e rigettava il suo ricorso.
Il contribuente spiegava appello avverso la sentenza di primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, insistendo nelle proprie doglianze. L’Ufficio si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’impugnativa. La CTR respingeva l’appello e confermava la decisione di primo grado.
Contro la decisione adottata dal giudice del gravame ha proposto ricorso per Cassazione NOME COGNOME affidandosi a tre strumenti di censura. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il contribuente ha pure depositato memoria, insistendo sulla richiesta di applicazione del giudicato esterno.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., il contribuente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000 (c.d. Statuto del contribuente), nonché l’omesso esame di un punto decisivo per l’esito della controversia, con riferimento alla mancata valutazione, da parte del giudice d’appello, delle prove che aveva assicurato sin dalla fase amministrativa.
Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del Dpr n. 600 del 1973, perché un avviso di accertamento può essere fondato sull’esame delle movimentazioni bancarie nei confronti degli imprenditori e dei liberi professionisti, ma non di ogni contribuente.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il contribuente critica l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e discusso tra le parti, con riferimento alla prova da lui fornita, adeguata a superare le presunzioni di cui agli artt. 32 e ss. della legge n. 600 del 1973. Mediante lo stesso mezzo d’impugnazione il ricorrente contesta la decisione del giudice d’appello anche per non aver esteso all’anno d’imposta oggetto di accertamento il giudicato intervenuto, tra le stesse parti e sulle medesime questioni, con la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 1457 del 2020.
Con il secondo strumento di impugnazione il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del Dpr n. 600 del 1973, perché un avviso di accertamento può essere fondato sull’esame delle movimentazioni bancarie nei confronti degli imprenditori e dei liberi professionisti, ma non di ogni contribuente. Risulta prioritario l’esame del motivo di ricorso, perché il contribuente contesta la stessa possibilità dell’Agenzia delle Entrate di procedere all’accertamento del maggior reddito conseguito, utilizzando l’esito delle indagini bancarie, nei confronti di chi non
sia imprenditore o libero professionista, qualità pacificamente non possedute da NOME COGNOME in relazione ai versamenti per cui è causa.
4.1. Invero questa Corte regolatrice ha avuto recentemente occasione di ribadire, condivisibilmente, che ‘in tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari, giusta l’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte cost. n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti’, Cass. sez. V, 8.4.2024, n. 9403 (conf. Cass. sez. V, 16.11.2018, n. 29572).
Il secondo strumento di impugnazione risulta pertanto infondato, e deve perciò essere respinto.
Occorre quindi esaminare la parte del terzo motivo di ricorso mediante la quale il ricorrente domanda l’estensione del giudicato esterno formatosi tra le stesse parti, in relazione a questioni allegate come analoghe, in relazione a diverso anno d’imposta.
Nello specifico la CTR del Lazio con sentenza n. 1457 del 2020 (peraltro prodotta in forma incompleta), nell’esaminare le operazioni bancarie intercorse tra le medesime parti e rilevanti anche in relazione al presente giudizio, con riferimento all’accertamento riguardante il periodo d’imposta 2012, le ha qualificate come ‘restituzione di un prestito fatto in amicizia’.
5.1. Invero la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto la capacità espansiva del giudicato solo a quegli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria che hanno carattere tendenzialmente permanente. In altri termini, è stato affermato che ‘in materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per l’arco di tempo che comprende più periodi d’imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata, sicché è esclusa l’efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie ‘tendenzialmente permanenti’ in quanto suscettibili di variazione annuale’, Cass. sez. V, 11.3.2015, n. 4832 (conf. Cass. sez. V, 7.9.2018, n. 21824). La fattispecie in esame riguarda versamenti bancari diversi rispetto a quelli contestati nel 2012, per cui è da escludersi la possibilità di estensione del giudicato per assenza di medesimi presupposti fattuali, e la contestazione proposta dal ricorrente deve valutarsi infondata.
6. Con il primo motivo di ricorso il contribuente censura la violazione e falsa applicazione di legge, nonché l’omesso esame di un punto decisivo per l’esito della controversia, con riferimento alla mancata valutazione, da parte del giudice d’appello, delle prove assicurate dal contribuente sin dalla fase amministrativa, mediante le quali aveva inteso dimostrare che i versamenti riscontrati sul suo conto corrente altro non erano che restituzioni di prestiti erogati a parenti ed amici, lamentando tra l’altro, a quanto è dato comprendere, la mera apparenza della motivazione adottata dalla CTR.
Mediante la prima parte del terzo mezzo d’impugnazione il ricorrente critica l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio discusso tra le parti, inerente alla prova fornita, utile a superare le presunzioni di cui agli artt. 32 e ss. della legge n. 600 del 1973. I
due motivi di ricorso presentano ragioni di connessione, e possono essere trattati congiuntamente per ragioni di chiarezza e sintesi espositiva.
6.1. Le censure rivelano profili di inammissibilità in ordine alla contestazione del vizio di motivazione, ai sensi del quarto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., perché le decisioni dei giudici del merito integrano una c.d. ‘doppia conforme’.
Questa Corte, invero, ha già avuto occasione di precisare che ‘nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348 -ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse’ Cass. sez. III, 28.2.2023, n. 5947.
6.2. Inoltre, la CTR, esprimendo il giudizio sul fatto processuale che le compete, ha dichiarato di concordare sul punto con quanto deciso dalla CTP, ed ha rilevato che il prestito concesso all’amico COGNOME NOME, di cui i versamenti rinvenuti sul conto corrente del COGNOME costituirebbero la (parziale) restituzione, non è stato adeguatamente provato dal contribuente, perché il ricorrente ha affermato l’esistenza del prestito, ‘ma senza produrre alcun documento atto a fornire supporto alla sussistenza di tale rapporto di credito. Non bastano, al riguardo, gli assegni esibiti, che di per sé certamente non attestano la causale della corresponsione … Alcuni di essi, inoltre … risultano emessi a nome della società di capitali di cui il terzo era amministratore e ciò rende ancor meno verosimile -a dispetto del tentativo di giustificazione dell’appellante che possa essersi trattato di restituzione di somme ascrivibili a rapporto di debito interpersonale’.
In relazione agli ulteriori versamenti rinvenuti, provenienti da COGNOME NOME, il contribuente ha prima affermato che si trattasse anche in questo caso della restituzione di un prestito e quindi, in
sede di accertamento con adesione, ha sostenuto che i versamenti erano relativi al pagamento di due orologi da collezione, ed ha prodotto uno scontrino relativo ad un acquisto effettuato in gioielleria. Anche in questo caso il giudice del gravame ha esaurientemente esposto le ragioni che l’hanno indotto a non recepire le giustificazioni fornite dal contribuente rilevando, tra l’altro, che lo scontrino ‘non reca indicazioni che consentano di identificare ciò che sia stato effettivamente comprato. Inoltre, la dichiarazione di (successivo) acquisto a firma del COGNOME è priva di data certa …’ (sent. CTR, p. II s.). Pertanto la CTR esprime compiutamente e con chiarezza la propria valutazione sul fatto processuale.
6.3. Il contribuente non si confronta con la decisione assunta dal giudice del gravame, non evidenzia in quale errore o violazione di legge sarebbe incorso, limitandosi a richiamare le proprie allegazioni di documentazione pure contabile che sono state esaminate e ritenute inadeguate dalla CTR.
Anche il primo motivo di ricorso, e la prima parte del terzo, risultano pertanto infondati e devono perciò essere rigettati.
In definitiva il ricorso proposto dal contribuente deve essere respinto.
Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione della natura della pronuncia emessa e del valore del giudizio.
7.1. Deve ancora darsi atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del c.d. doppio contributo.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
rigetta il ricorso proposto da COGNOME NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della costituita Agenzia delle
Entrate, e le liquida in complessivi Euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7.3.2025