Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18344 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18344 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18590-2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL) ed elettivamente domiciliata in Rom alla INDIRIZZO presso NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec:
Oggetto: TRIBUTI -accertamenti bancari -società ristretta base partecipativa
EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3613/19/2017 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata in data 20 giugno 2017; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16 maggio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La controversia ha ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IRES, IRPEF; IRAP ed IVA per l’anno di imposta 20 11 emesso sulla base delle risultanze delle indagini bancarie svolte dalla G.d.F. e compendiate nel p.v.c. del 14/01/2014, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, società a ristretta base societaria, dei soci e di tale COGNOME NOME, padre dell’amministratore della società contribuente e coniuge di una socia. La CTP accoglieva il ricorso della società contribuente ritenendo nullo l’avviso di accertamento per difetto di sottoscrizione, in violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 . Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate. In via preliminare rigettava l’eccezione di ir rituale notifica dell’appello sostenendo che la notifica effettuata a mezzo posta con busta chiusa costituiva mera irregolarità sanata dalla costituzione in giudizio dell’appellata. Quanto alla sottoscrizione dell’atto impositivo, premessa la differenza esistente tra la delega di funzioni e la mera delega di firma, ritenendo, nel caso di specie, sussistente la seconda, rilevava il regolare assolvimento da parte del l’Ufficio dell’onere probatorio attraverso la produzione in giudizio della delega, con consegu ente legittimità dell’atto impugnato. Riteneva, quindi, sussistenti i presupposti per procedere ad accertamenti bancari, in quanto la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 25 del 6 agosto 2014 riconosceva la discrezionalità dell’amministrazione finanziaria nella scelta del tipo di accertamento da espletare; riteneva congruamente motivato l’atto impositivo per relationem alle conclusioni
contenute nel processo verbale di constatazione della G.d.F. non essendo richiesta la necessità di esternare nello stesso una specifica valutazione critica delle risultanze della verifica operata dalla G.d.F.; in relazione alla valenza probatoria delle indagini bancarie, rilevava la legittimità delle verifiche effettuate sia nei confronti della società che dei soci, stante la ristretta compagine sociale della prima nonché l’inidoneità delle prove fornite dalla società contribuente per vincere la presunzione di ricavi desumibile dalle operazioni extra-conto eseguite da NOME COGNOME, amministratore unico e socio della società contribuente. Infine, i giudici di appello rigettavano sia la domanda di riconoscimento dei costi relativi ai maggiori ricavi, richiamando Cass. n. 16720/2007, sia quella relativa alla disapplicazione delle sanzioni.
Avverso tale statuizione la società propone ricorso per Cassazione affidato a nove motivi, illustrati da memoria, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di cassazione la società deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 D.lgs. n. 546/1992, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione» per non essersi i giudici di seconde cure pronunziati in merito all’ eccezione, sollevata nelle controdeduzioni depositate in secondo grado, di inammissibilità dell’appello dell’Ufficio per mancanza in capo al funzionario che l’aveva sottoscritto della necessaria delega alla sottoscrizione conferita dal dirigente dell’Ufficio .
1.1. Va premesso che con il motivo di ricorso in esame la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia della CTR sull’eccezione di inammissibilità dell’appello dell’Ufficio deducendo erroneamente la violazione delle disposizioni in materia di obbligo di motivazione delle sentenze (artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost.) anziché la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Va comunque
esclusa l’inammissibilità del motivo potendo lo stesso essere riconvertito alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013 (richiamata anche in Cass., Sez. U, n. 1785 del 2018, par. 4.1.3.), considerato che è stata correttamente dedotta la violazione di una norma processuale ( error in procedendo , ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), nell’articolazione del motivo si fa chiaro riferimento all’omissione di pronuncia da parte dei giudici di appello ed il motivo reca univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (cfr. Cass., Sez. U, n. 17931/2013; Cass. n. 10862/2018).
1.2. Ciò precisato, osserva il Collegio che il motivo è fondato non rinvenendosi nella sentenza impugnata alcuna statuizione sull’eccezione proposta dalla società contribuente che non può ritenersi implicitamente rigettata. Ciò, però, non comporta la necessità di cassare con rinvio la sentenza stessa affinché il giudice di merito si pronunci sulla questione posta con il motivo d’appello non esaminato giacché, sul presupposto del difetto della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, trattandosi di questione di puro diritto, la Corte può statuire sulla medesima, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., in ossequio al principio giurisprudenziale secondo cui «Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ., ispirata a tali principi, una volta dichiarata la nullità – con conseguente cassazione – della sentenza impugnata (nella specie, per insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo), la Corte di cassazione, qualora sia posta, con altro motivo di ricorso, una questione di mero diritto e su di essa si sia svolto il contraddittorio e non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, può direttamente decidere la causa nel merito, attuando il previsto rimedio impugnatorio di carattere sostitutivo» (Cass. n. 24914 del 2011).
1.3. Nel merito, l’eccezione in esame è infondata alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 15470/2016 e, più recentemente Cass. n. 694/2025), cui il Collegio intende dare continuità, in base al quale «In tema di contenzioso tributario, la provenienza di un atto di appello dall’Ufficio periferico dell’Agenzia delle Entrate e la sua idoneità a rappresentarne la volontà si presumono anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza». Eccezioni nella specie non dedotte.
1.4. A diversa conclusione non può condurre il rilievo fatto dalla ricorrente nella memoria illustrativa richiamando il principio giurisprudenziale di cui a Cass. n. 8009/2025, in quanto tale pronuncia ha riguardato la questione, del tutto diversa da quella oggetto della censura in esame, della sottoscrizione per delega non dell’atto di appello ma dell’atto impositivo , che è oggetto del terzo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 156 cod. proc. civ.» per avere la CTR ritenuto che l’irregolarità della notifica dell’atto di appello a mezzo del servizio postale in busta chiusa fosse stata sanata dalla costituzione in giudizio della società appellata non avvedendosi che nella specie la sanatoria, operando ex nunc , non si era verificata in quanto al momento della costituzione in giudizio di essa appellante (effettuata in data 5 dicembre 2016) era irrimediabilmente decorso il termine per proporre impugnazione (scadente il 3 settembre 2016).
2.1. Il motivo è infondato ancorché al riguardo va corretta la motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo è conforme a diritto.
2.2. Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la spedizione del ricorso o dell’atto d’appello a mezzo posta in busta chiusa,
pur se priva di qualsiasi indicazione relativa all’atto in esso racchiuso, anziché in plico senza busta come previsto dall’art. 20 del d.lgs. n. 546 del 1992, costituisce una mera irregolarità se il contenuto della busta e la riferibilità alla parte non siano contestati, essendo, altrimenti, onere del ricorrente o dell’appellante dare la prova dell’infondatezza della contestazione formulata (Cass. n. 17702/2004; Cass. n. 13666/2009; Cass. n. 15309/2014; Cass. n. 19864/2016; Cass. n. 3234/2020). Il principio, ribadito recentemente da Cass. n. 31196/2024, si attaglia perfettamente al caso di specie in cui, peraltro, la ricorrente si è limitata a contestare la modalità di spedizione dell’atto senza dedurre alcunché in ordine al contenuto della busta e alla rife ribilità dell’atto all’Agenzia delle entrate.
2.4. Ne consegue che in base al suddetto principio, condiviso dal Collegio, non è necessaria alcuna sanatoria di quella che costituisce non un ‘invalidità della notifica dell’appello ma, come detto, una mera irregolarità e, pertanto, in tal senso la motivazione della sentenza impugnata, la cui statuizione sul punto è conforme a diritto, va corretta ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.
Con il terzo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la «Violazione dell’art. 42, 1° e 3° comma, D.p.r. n. 600/1973 e dell’art. 17, comma 1 -bis , D.lgs. n. 165/2001», per avere la CTR ritenuto legittima la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento nonostante quella prodotta in giudizio dall’Agenzia delle entrate costituisse delega di funzioni e non di firma, come invece affermato dai giudici di appello, e la stessa fosse co munque priva dell’indicazione del nominativo del delegato e di riferimenti temporali e delle ragioni della delega.
3.1. Il motivo è inammissibile ex art. 360bis cod. proc. civ. ponendosi la censura in esame in evidente difformità al consolidato indirizzo espresso in materia dalla giurisprudenza di questa Corte.
3.2. In due noti arresti, per vero ormai non più recenti, ma ai quali si è uniformata la successiva giurisprudenza, questa Suprema Corte ha avuto modo di esplicitare che «la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa» (Cass., Sez. 5, n. 11013 del 19/04/2019, Rv. 653414-01), puntualizzando come il provvedimento contenente la delega di firma «non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, ‘ex post’, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto» (Cass., Sez. 5, n. 8814 del 29/03/2019, Rv. 653352-01).
3.3. Il superiore insegnamento riposa, invero, sulla considerazione che alla delega di firma, di cui all’art. 42, comma 1, DPR n. 600 del 1973, non possa applicarsi la disciplina prevista per il ben diverso istituto della delega di funzioni, nel senso che «l’art. 17, comma 1-bis, del d.lgs n. 165 del 2001 si riferisce espressamente ed inequivocabilmente alla ‘delega di funzioni’, laddove prescrive che i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze ad essi riservate, a dipendenti che ricoprono le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidate. Tale rigore non si addice alla
delega di firma, nella quale, come è stato già rilevato, il delegato non esercita alcun potere o competenza riservata al delegante e che trova titolo nei poteri di ordine e direzione, coordinamento e controllo attribuiti al dirigente preposto all’ufficio (art. 11, comma 1, lett. c) e d), Statuto Ag. Entrate – approvato con Delib. 13 novembre 2000, n. 6; art. 14, comma 2, reg. amm. n. 4 del 2000) nell’ambito dello schema organizzativo della subordinazione gerarchica tra persone appartenenti al medesimo ufficio» (ivi, par. 8, p. 7 s.)
3.4. Ciò precisato, osserva il Collegio che nel caso di specie la disposizione di servizio n. 27 del 24/09/2013, che è allegata al ricorso, contiene solo ed esclusivamente una ‘delega di firma’ (così essendo espressamente intitolato l’art. 2 di detta ‘disposizione’) di atti specificamente individuati e, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, in essa sono indicate anche le ragioni della delega (« Il presente provvedimento è adottato ·al fine di ottimizzare l’azione amministrativa in termini di efficienza, efficacia e trasparenza, in conformità alle norme di diritto amministrativo, contrattuali e di prassi che ne regolano l’attività ») e la decorrenza (« La presente Disposizione decorre dal 30 settembre 2013 »).
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 d.P.R. n. 633 del 1972, per non avere la CTR rilevato l’in sussistenza dei presupposti per procedere ad accertamento mediante indagini bancarie posto che la stessa Agenzia delle entrate con la circolare n. 25 del 6 agosto 2014 aveva previsto la possibilità di procedere a tale tipo di indagini solo dopo aver riscontrato «significative anomalie dichiarative» ed analogamente aveva fatto con la successiva circolare n. 16/E del 28 aprile 2016.
4.1. Il motivo è infondato e va rigettato.
4.2. È sufficiente al riguardo ricordare che per consolidato orientamento giurisprudenziale, le circolari ministeriali in materia
tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, non discendendo da esse alcun vincolo neanche per la stessa Amministrazione finanziaria che le ha emanate (Cass. n. 20819/2020). Principio recentemente ribadito da Cass. n. 35098/2022, secondo cui «Le circolari con le quali l’Agenzia delle entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contengano direttive agli uffici gerarchicamente subordinati, esprimono esclusivamente un parere non vincolante, oltre che per gli uffici a cui sono dirette, per il contribuente, per la stessa autorità che le ha emanate e per il giudice; pertanto, la cd. interpretazione ministeriale delle norme tributarie, sia essa contenuta in circolari o risoluzioni, non costituisce fonte di diritto, né è soggetta al controllo di legittimità esercitato dalla Corte di cassazione (ex artt. 111 Cost. e 360 c.p.c.), trattandosi non di manifestazione di attività normativa, ma di attività interna alla medesima pubblica amministrazione, destinata ad esercitare una funzione direttiva nei confronti degli uffici dipendenti, ma inidonea ad incidere sul rapporto tributario».
4.3. Per vero, è fin da Cass. n. 220 del 24/01/1938 che questa Corte ha affermato che «Le circolari, specie in materia collegata con la prassi amministrativa, come quella finanziaria, debbono essere prese in considerazione, per l’autorità loro propria, non però sino al punto di ritenerle vincolative, dovendo la legge essere sempre intesa secondo il suo contenuto obiettivo».
4.4. E nel caso di specie vengono in rilievo gli inequivoci disposti di cui agli artt. 32, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di imposte dirette, e 51, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di IVA che prevedono identicamente che «Per l’adempimento dei loro compiti gli uffici delle imposte possono: 7) richiedere, previa autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della guardia di finanza, del comandante regionale, alle banche, alla società RAGIONE_SOCIALE per le attività finanziarie e creditizie, alle società ed
enti di assicurazione per le attività finanziarie, agli intermediari finanziari, alle imprese di investimento, agli organismi di investimento collettivo del risparmio, alle società di gestione del risparmio e alle società fiduciarie, dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi o dagli operatori finanziari sopra indicati e le generalità dei soggetti per i quali gli stessi operatori finanziari abbiano effettuato le suddette operazioni e servizi o con i quali abbiano intrattenuto rapporti di natura finanziaria».
4.5. Tali disposizioni attribuiscono agli uffici finanziari il potere di effettuare attività di indagine volta al contrasto dell’evasione fiscale mediante indagini bancarie senza alcuna limitazione essendo solo prevista la previa autorizzazione degli organi a ciò deputati, cui compete di valutarne l’opportunità e la necessità (Cass. n. 8766/2009), che però esplica una funzione meramente organizzativa, incidente solo nei rapporti tra uffici, tant’è che per consolidato orientamento di legittimità, la sua mancanza non implica, in assenza di previsioni specifiche, l’inutilizzabilità dei dati acquisiti, salvo che ne sia derivato un concreto pregiudizio al contribuente ovvero venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale dello stesso, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio (cfr., ex multis , Cass. 4853/2024).
4.6. E la tesi sostenuta trova conferma nella abrogazione ad opera della legge del 30/12/1991 n. 413, art. 18, e con effetto dal 30/12/1991, dell’art. 35 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51 -bis del d.P.R. n. 633 del 1972 che, nelle materie di rispettiva competenza, subordinavano gli accertamenti bancari oltre che all’autorizzazione del presidente della commissione tributaria di primo grado, al concorso di determinati presupposti, con riferimento alla gravità delle irregolarità e delle evasioni del contribuente (Cass. n. 2668/1996; Cass. n. 12871/2001).
Con il quinto motivo di ricorso la società contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli
artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972 nonché 7 della legge n. 212 del 2000 per avere la CTR rigettato il motivo di appello con cui aveva dedotto il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento sul rilievo che lo stesso faceva rinvio al processo verbale di constatazione della G.d.F. di cui recepiva acriticamente le risultanze ed in cui neppure erano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che avevano indotto gli accertatori a disattendere la contabilità pur correttamente tenuta dalla società.
5.1. Il motivo è infondato e va rigettato.
5.2. L’orientamento giurisprudenziale in materia di motivazione degli atti impositivi per relationem , che è la fattispecie che ci occupa, è nel senso che l’obbligo legale di motivazione degli atti tributari può essere assolto tramite il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale – per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente (ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale) di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento – o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass. n. 6914 del 2011; Cass., n. 13110 del 2012; Cass. n. 4176 del 2019; Cass., n. 29968 del 2019; Cass. n. 593 del 2021; Cass. n. 33327 del 2023). Questo orientamento, avente riscontro normativo nell’art. 42, comma 2, ultimo periodo, d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, secondo cui «Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il
contenuto essenziale», trova ulteriore conferma nella novella di cui al d.lgs. 30 dicembre 2023 n. 219 che ha modificato l’art. 7 della l. n. 212/2000 stabilendo, al comma 1, che « Gli atti dell’amministrazione finanziaria, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, sono motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, che non è già stato portato a conoscenza dell’interessato lo stesso è allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale e la motivazione indica espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell’atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati ». È stato altresì precisato che l’onere di allegazione si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (Cass. n. 15327 del 2014) e che, al fine di soddisfare il requisito della motivazione dell’accertamento, è sufficiente che l’atto esterno, richiamato da quello impositivo, sia, se non effettivamente conosciuto, quanto meno conoscibile dal contribuente destinatario dell’avviso.
5.3. Questa interpretazione, secondo cui non è nullo l’accertamento la cui motivazione fa riferimento ad un altro atto ad esso non allegato, ma conoscibile agevolmente dal contribuente, realizza un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa (e quindi di buon andamento dell’amministrazione, ex art. 97 Cost.) – che giustificano l’ammissibilità, anche normativa, della motivazione per relationem (cfr. Cass. n. 1906 del 2008, in motivazione) – ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (rilevante ex artt. 24 e 111 Cost.) nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, che sarebbe illegittimamente compresso se la conoscibilità dell’atto esterno richiamato dalla motivazione non fosse agevole, ma richiedesse un’attività di ricerca complessa (Cass. n. 593 del 2021).
5.4. Con specifico riferimento al caso in cui la motivazione dell’atto impositivo rinvia per relationem al processo verbale di constatazione della G.d.F., si è affermato, e qui va ribadito, il principio (cfr. Cass., Sez. 5, n. 3610 del 12/02/2025, Rv. 674088 -01, che si pone in continuità con Cass. n. 32957/2018, n. 30560/2017 e n. 28060/2017) secondo cui, «In tema di avviso di accertamento, la motivazione per relationem , con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza dell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente», per essergli stato precedentemente consegnato o notificato il predetto p.v.c., come nel caso in esame, «non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio» e soddisfa il requisito motivazionale dell’atto impositivo.
5.5. La censura in esame si pone, all’evidenza, in netta contrapposizione a tale consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità e va, pertanto rigettato.
5.6. Al riguardo va altresì rilevato che il contenuto del l’avviso di accertamento impugnato, che è stato allegato al ricorso in ossequio al principio di specificità del motivo, smentisce quanto sostenuto dalla ricorrente.
5.7. Si legge, infatti, nel predetto avviso di accertamento che « dalle indagini finanziarie effettuate sui rapporti intestati alla società e alle persone ad essa collegate, sono emerse movimentazioni per le quali non è stata fornita alcuna giustificazione e/o dimostrazione idonea e sufficiente a chiarire il loro utilizzo, ovvero la loro non rilevanza »; che « L’organo verificatore, dopo aver proceduto all’acquisizione dei conti correnti bancari intestati alla società e delle persone ad essa collegate ha ·chiesto giustificazione delle movimentazioni ivi transitate al fine di
verificare se i dati rilevati dai predetti conti si riferissero ad operazioni imponibili riconducibili all’attività svolta dalla società »; « che l’organo verificatore, nell’esame delle diverse movimentazioni finanziarie, non ha tenuto conto delle operazioni neutre (giroconti), delle spese e commissioni bancarie, degli accrediti di dividendi su titoli, delle spese relative al fabbisogno personale (pagamenti con pos e prelevamenti e/o pagamenti a mezzo ATM) inferiori ad € 250,00, delle garanzie, dei finanziamenti, della gestione collettiva del risparmio e dei conto deposito titoli/obbligazioni»; «che dall’esame della documentazione acquisita ai fini dell’attività d’indagine finanziaria, tenendo conto degli esiti dei contraddittori effettuati con le parti, è stato rilevato che non sono state fornite tutte le giustificazioni inerenti le movimentazioni richieste e/o le stesse non sono state sostenute da riscontri probatori e documentali ».
5.8. Deve inoltre osservarsi che, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, il ricorso da parte dell’ufficio finanziario all’accertamento bancario in presenza di regolare contabilità è questione che assume rilevanza non ai fini della motivazione dell’atto impositivo, ma ai soli fini della legittimità dell’accertamento espletato, come dedotto nel precedente motivo di ricorso.
Con il sesto motivo la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 32 D.P.R. n. 600/1973, dell’art. 51 D.P.R. n. 633/1972 nonché dell’art. 2697 cod. civ.» per ave re i giudici di secondo grado erroneamente ritenuto legittima la verifica delle movimentazioni bancarie effettuate su conti correnti intestati a soggetti diversi dalla società contribuente, ancorché in qualche modo legate alla stessa, senza che l’uffici o avesse dimostrato, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità (viene citata Cass. n. 25623/2009), che tali conti fossero riferibili ad intestazioni fittizie e le relative movimentazioni riconducibili al soggetto verificato.
6.1. In buona sostanza, la ricorrente lamenta che la CTR si è limitata ad applicare un automatismo, in alcun modo desumibile dalla legge, mentre l’Ufficio non ha offerto la prova, neppure presuntiva, della riferibilità alla società delle operazioni svolte sui conti correnti dei soggetti terzi.
6.2. Viene, quindi, in rilievo la questione della legittimità delle riprese fiscali operate a carico di una società a ristretta base partecipativa, com’è quella in esame, sulla scorta delle risultanze delle verifiche sulle movimentazioni dei conti correnti intestati ai soci, amministratori o a soggetti legati a quella da particolari stretti rapporti personali.
6.3. Al riguardo, premesso, in fatto, che dalla sentenza impugnata (pag. 4) risulta che nel caso di specie oggetto di contestazione sono state « le sole operazioni extra-conto eseguite dal signor COGNOME NOME (amministratore unico e socio) e non anche le operazioni di accredito della socia RAGIONE_SOCIALE », deve farsi applicazione del principio giurisprudenziale a termini del quale, ‘in tema di accertamento del reddito d’impresa, gli artt. 32, n. 7, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, sicché possono assumere rilievo ai fini delle indagini i conti correnti intestati all’amministratore unico e socio assoluto di maggioranza di una società a responsabilità limitata in ragione di movimentazioni sia in entrata che in uscita che non trovino corrispondenza alcuna nelle registrazioni contabili» (Cass. n. 1898/2016; conf. Cass. n. 35856/2023 e n. 7583/2025).
6.4. Dall’ulteriore rilievo che la ricorrente, come affermato in sentenza, non ha neppure dimostrato la non riconducibilità ad essa società contribuente delle operazioni extra-conto risultanti sul conto corrente del proprio amministratore, discende l’ulteriore profilo di infondatezza della censura.
Con il settimo motivo di ricorso si fa valere ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 D.lgs. n. 546/1992, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione» per avere i giudici di secondo grado reso una motivazione meramente apparente in ordine alla non idoneità delle giustificazioni alle movimentazioni bancarie oggetto di ripresa a tassazione, fornite dalla società.
7.1. La ricorrente deduce, altresì, il contrasto tra motivazione e dispositivo in quanto i giudici di appello, dopo aver preso atto della parziale rettifica della domanda dell’Ufficio a seguito della dichiarazione resa in udienza dal proprio rappresentante, secondo cui oggetto di contestazione erano solo le operazioni extra-conto eseguite dall’amministratore NOME COGNOME e non anche le operazioni di accredito della socia NOME COGNOME « avrebbe dovuto -nella peggiore delle ipotesi per il contribuente -accogliere soltanto parzialmente l’appello dell’ufficio (annullando quindi la parte dell’avviso di accertamento relativo alle movimentazioni finanziarie del socio RAGIONE_SOCIALE) » ed invece aveva contraddittoriamente accolto integralmente l’appello dell’Ufficio .
7.2. Va escluso il vizio di motivazione apparente, in quanto la sentenza impugnata esibisce una motivazione che, al di là della sua condivisibilità o contraddittorietà (di cui si dirà di qui a breve), è comunque effettiva, sia dal punto di vista grafico che giuridico, e si pone ben al di sopra del minimo costituzionale di cui all’art. 111, sesto comma, Cost. (cfr. Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014).
7.3. Invero, quanto alla contestazione delle operazioni extra-conto eseguite dall’amministratore NOME COGNOME la CTR nella motivazione della sentenza ha molto chiaramente affermato che a prova della non riconducibilità di tali operazioni alla società verificata non erano valorizzabili né le dichiarazioni rese a proprio favore dal predetto amministratore né quelle rese dal suo presunto consulente finanziario
(tale NOME COGNOME peraltro in mancanza di ulteriore documentazione «adeguata» che il COGNOME aveva dichiarato che stava ricercando ma che non risulta avere mai prodotto.
7.4. È invece fondata la censura di contraddittorietà della sentenza impugnata.
7.5. Invero, i giudici di appello, dopo aver dato atto «c he, come anche ammesso dall’Agenzia nel corso della pubblica udienza, oggetto di contestazione sono le sole operazioni extra-conto eseguite dal signor COGNOME NOME (amministratore unico e socio) per complessivi euro 574.900,00 (oggetto dell’avviso di accertamento) e non le operazioni di accredito della socia RAGIONE_SOCIALE Mauricette per euro 29.210,00 », che pure erano oggetto di ripresa a tassazione, per come risultante dal contenuto dell’avviso di acc ertamento allegato al ricorso (pag. 6), anziché accogliere solo parzialmente l’appello dell’Ufficio, confermando la sola ripresa a tassazione delle operazioni extraconto effettuate dall’amministratore della società ed escludendo quelle riscontrate sul conto corrente della socia, stante la rinuncia dell’Ufficio alla relativa domanda, hanno integralmente accolto l’appello , di fatto confermando la legittimità di entrambe le riprese a tassazione operate con l’avviso di accertamento impugnato.
7.6. Trattasi di contrasto tra motivazione e dispositivo non altrimenti risolvibile se non con la cassazione, in parte qua , della sentenza impugnata in accoglimento della censura in esame.
7.7. Inammissibile è, infine, la censura, pure rinvenibile nel motivo in esame, con cui la ricorrente sostiene che, a seguito della riduzione della domanda dell’Ufficio con riferimento alle movimentazioni bancarie della socia RAGIONE_SOCIALE, derivante dal fatto che queste erano riconducibili alla diver sa società RAGIONE_SOCIALE, di cui la RAGIONE_SOCIALE all’epoca dei fatti era amministratrice, la CTR avrebbe dovuto annullare anche quelle risultanti dal conto corrente del Bianchi, «anch’esso socio della RAGIONE_SOCIALE ed anch’esso amministratore della predetta società».
7.8. Invero, la censura si pone in insanabile contrasto con l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di appello circa la riconducibilità alla società verificata delle movimentazioni extra-conto effettuate dal suo amministratore, NOME COGNOME ed inoltre è del tutto privo di specificità, nulla di quanto affermato nella censura risultando dalla sentenza impugnata o da documentazione prodotta agli atti dei giudizi di merito, che la ricorrente avrebbe dovuto indicare, riprodurre o allegare o quanto meno localizzare in quegli atti.
Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 109 TUIR (d.P.R. n. 917 del 1986) per avere i giudici di seconde cure rigettato la domanda di riconoscimento dei costi relativi ai maggiori ricavi accertati.
8.1. Il motivo è fondato e va accolto alla stregua del principio secondo cui «In tema di accertamento dei redditi con il metodo analitico-induttivo, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, che ha operato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. del 1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti» (Cass., Sez. 5, n. 18653 del 03/07/2023, Rv. 668247 -01; conf. Cass. n. 5586/2023; Cass. n. 11169/2024, citata in memoria dalla ricorrente).
8.2. L’affermazione fatta al riguardo in sentenza, di non riconoscibilità di una riduzione percentuale dei costi in quanto « in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’esistenza di una regolare contabilità non impone all’Amministrazione finanziaria di riconoscere l’esistenza di costi registrati nelle scritture contabili o la loro inerenza », si pone in insanabile contrasto con il principio
giurisprudenziale sopra enunciato e pertanto la sentenza impugnata, in accoglimento del motivo in esame, va cassata. E poiché la quantificazione di tali costi comporta la necessità di espletamento di accertamenti di fatto riservati al giudice di merito, la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado affinché provveda a rideterminare il reddito imponibile della società contribuente riconoscendo una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi in relazione ai ricavi accertati, avvalendosi anche – se del caso dell’ausilio di consulenza tecnica d’ufficio (in tal senso la citata Cass. n. 18653/2023 nonché Cass. n. 5586/2023).
Con il nono motivo di ricorso viene dedotta, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, per avere la CTR erroneamente ricollegato l’applicazione delle sanzioni «al solo dato obiettivo della dichiarazione di un reddito inferiore», senza motivare sulla sussistenza del dolo o della colpa in capo al contribuente. Deduce, altresì, la mancata applicazione del più favorevole regime sanzionatorio di cui al d.lgs. n. 158 del 2015.
9.1. La prima censura è manifestamente infondata alla stregua del principio giurisprudenziale, condiviso dal collegio, in base al quale «In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dall’art. 3 l. n. 689 del 1981, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. È comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito
e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza» (Cass., Sez. 5, n. 2139 del 30/01/2020, Rv. 656818 – 02). Principio che si pone in continuità con quello secondo cui «In tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997 la prova dell’assenza assoluta di colpa, con conseguente esclusione della rilevabilità d’ufficio, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza» (Cass., Sez. 5, n. 12901 del 15/05/2019, Rv. 653863 – 01).
9.2. È, invece, assorbito il secondo profilo di censura dall’accoglimento del settimo ed ottavo motivo, nei termini sopra indicati.
In estrema sintesi, vanno accolti il settimo e, nei termini di cui in motivazione, l’ottavo motivo di ricorso, assorbito il nono e rigettati tutti gli altri. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, anche per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il settimo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, e l’ottavo motivo, assorbita la seconda censura del nono motivo, rigettato il resto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2025.