Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18343 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18343 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18587-2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL) ed elettivamente domiciliata in Rom alla INDIRIZZO presso NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente e ricorrente incidentale –
Oggetto: TRIBUTI -accertamenti bancari -società ristretta base partecipativa
avverso la sentenza n. 3238/19/2017 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata in data 5 giugno 2017; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16 maggio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IRES, IRPEF; IRAP ed IVA per l’anno di imposta 2009 emesso sulla base delle risultanze delle indagini bancarie svolte dalla G.d.F. e compendiate nel p.v.c. del 14/01/2014, nei confronti della Bianchi RAGIONE_SOCIALE, società a ristretta base societaria, dei soci e di tale COGNOME Luigi, padre dell’amministratore della società contribuente e coniuge di una socia. La CTP accoglieva il ricorso della società contribuente. Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate. In via preliminare il giudice di appello, si soffermava sulla eccepita illegittimità della sottoscrizione dell’atto impugnato. In particolare, evidenziava la differenza esistente tra la delega interorganica e la mera delega di firma, ritenendo, nel caso di specie, sussistente la seconda. Quanto alla mancata allegazione della delega e alla sua esibizione in giudizio, la CTR riteneva assolto l’onere probatorio da parte dell’Ufficio. In relazione alla valenza probatoria delle indagini bancarie, il giudice di seconde cure affermava la legittimità delle verifiche effettuate sia nei confronti della società che dei soci, stante la ristretta compagine sociale della prima, e l’assenza di idonea prova documentale contraria fornita dalla società contribuente per vincere la presunzione legale di maggiori ricavi desunti dagli accertamenti bancari e che giustificasse anche una mera riduzione dell’ imponibile accertato dall’Ufficio.
Avverso tale statuizione la società propone ricorso per Cassazione affidato ad undici motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso unitamente a ricorso incidentale.
La ricorrente deposita memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente premesso che, seppur la ricorrente nel primo, secondo, quarto, quinto, decimo ed undicesimo motivo di ricorso lamenta l’omessa pronuncia dei giudici di appello su una serie di motivi proposti in grado di appello e di cui si dirà esaminando singolarmente le suddette censure, deducendo erroneamente la violazione delle disposizioni in materia di obbligo di motivazione delle sentenze (artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost.) anziché la violazione del l’art. 112 cod. proc. civ. per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, deve escludersi l’inammissibilità dei motivi alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013 (richiamata anche in Cass., Sez. U, n. 1785 del 2018, par. 4.1.3.), considerato peraltro che è stato correttamente dedotta la violazione di una norma processuale ( error in procedendo , ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), nell’articolazione del motivo si fa chiar o riferimento all’omissione di pronuncia da parte dei giudici di appello ed i motivi recano univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (Cass., Sez. U, n. 17931/2013 cit.).
Venendo, quindi, al merito del ricorso, con il primo mezzo di cassazione la società deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la « Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 D.lgs. n. 546/1992, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione» per non essersi i giudici di seconde cure pronunziati in merito all’inammissibilità dell’atto di appello dell’Ufficio per mancanza in capo al funzionario che l’aveva sottoscritto della necessaria delega alla sottoscrizione conferita dal dirigente dell’Ufficio, eccepita nelle controdeduzioni depositate nel giudizio di appello.
2.1. Il motivo è fondato non rinvenendosi nella sentenza impugnata alcuna statuizione sull’eccezione proposta dalla società contribuente che non può ritenersi implicitamente rigettata. Ciò, però, non comporta la necessità di cassare con rinvio la sentenza affinché il giudice di merito si pronunci sulla questione posta con il motivo d’appello non esaminato
giacché, sul presupposto del difetto della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, trattandosi di questione di puro diritto, la Corte può statuire sulla medesima, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., in ossequio al principio giurisprudenziale secondo cui «Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ., ispirata a tali principi, una volta dichiarata la nullità – con conseguente cassazione – della sentenza impugnata (nella specie, per insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo), la Corte di cassazione, qualora sia posta, con altro motivo di ricorso, una questione di mero diritto e su di essa si sia svolto il contraddittorio e non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, può direttamente decidere la causa nel merito, attuando il previsto rimedio impugnatorio di carattere sostitutivo» (Cass. n. 24914 del 2011).
2.2. L’eccezione in esame è infondata e va rigettata alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 15470/2016 e, più recentemente Cass. n. 694/2025), cui il Collegio intende dare continuità, in base al quale «In tema di contenzioso tributario, la provenienza di un atto di appello dall’Ufficio periferico dell’Agenzia delle Entrate e la sua idoneità a rappresentarne la volontà si presumono anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza». Circostanze nella specie neppure dedotte.
2.3. A diversa conclusione non può condurre il rilievo fatto dalla ricorrente nella memoria illustrativa richiamando il principio giurisprudenziale di cui a Cass. n. 8009/2025, in quanto tale pronuncia ha riguardato la questione, del tutto diversa da quella oggetto della censura in esame, della sottoscrizione per delega non dell’atto di appello ma dell’atto impositivo, che è oggetto del terzo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 D.lgs. n. 546/1992, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione» per non essersi la CTR pronunciata circa la dedotta irritualità della notifica dell’atto di appello in busta chiusa.
3.1. Anche con riferimento a tale motivo valgono le considerazioni svolte al precedente par. 2.1.
3.2. Nel merito, l’eccezione in esame è inammissibile per carenza di interesse ad agire stante la tempestiva e regolare costituzione in giudizio della contribuente.
3.3. Il motivo è, comunque, manifestamente infondato alla stregua di Cass. n. 3234/2020 secondo cui, «In tema di impugnazioni nel processo tributario, la spedizione a mezzo posta del ricorso (o dell’atto d’appello) in busta chiusa, pur se priva di indicazioni all’esterno circa l’atto in essa racchiuso – anziché in plico senza busta come previsto dall’art. 20 del d.lgs. n. 546 del 1992 – costituisce una mera irregolarità se il contenuto della busta e la riferibilità alla parte non siano contestati, essendo, altrimenti, onere del ricorrente (o dell’appellante) dare la prova dell’infondatezza della contestazione formulate». Il principio, ribadito recentemente da Cass. n. 31196/2024, si attaglia perfettamente al caso di specie in cui, peraltro, la ricorrente si è limitata a contestare la modalità di spedizione dell’atto senza dedurre alcunché in ordine al contenuto della busta e alla riferibilità dell’atto all’Agenzia delle entrate.
Con il terzo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la «Violazione dell’art. 42, primo e terzo comma, D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 17, comma 1 -bis, D.lgs. n. 165/2001» per avere la CTR ritenuto legittima la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento nonostante la delega prodotta in giudizio dall’Agenzia delle entrate costituisse delega di funzioni e non di firma, come invece affermato dai giudici di appello, e la stessa fosse
comunque priva dell’indicazione del nominativo del delegato e di riferimenti temporali e delle ragioni della delega.
4.1. Il motivo è inammissibile ex art. 360bis cod. proc. civ. ponendosi la censura in esame in evidente difformità al consolidato indirizzo espresso in materia dalla giurisprudenza di questa Corte.
4.2. In due noti arresti, per vero ormai non più recenti, ma ai quali si è uniformata la successiva giurisprudenza, questa Suprema Corte ha avuto modo di esplicitare che «la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa» (Cass., Sez. 5, n. 11013 del 19/04/2019, Rv. 653414-01), puntualizzando come il provvedimento contenente la delega di firma «non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, ‘ex post’, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto» (Cass., Sez. 5, n. 8814 del 29/03/2019, Rv. 653352-01).
4.3. Il superiore insegnamento riposa, invero, sulla considerazione che alla delega di firma, di cui all’art. 42, comma 1, DPR n. 600 del 1973, non possa applicarsi la disciplina prevista per il ben diverso istituto della delega di funzioni, nel senso che «l’art. 17, comma 1-bis, del d.lgs n. 165 del 2001 si riferisce espressamente ed inequivocabilmente alla ‘delega di
funzioni’, laddove prescrive che i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze ad essi riservate, a dipendenti che ricoprono le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidate. Tale rigore non si addice alla delega di firma, nella quale, come è stato già rilevato, il delegato non esercita alcun potere o competenza riservata al delegante e che trova titolo nei poteri di ordine e direzione, coordinamento e controllo attribuiti al dirigente preposto all’ufficio (art. 11, comma 1, lett. c) e d), Statuto Ag. Entrate approvato con Delib. 13 novembre 2000, n. 6; art. 14, comma 2, reg. amm. n. 4 del 2000) nell’ambito dello schema organizzativo della subordinazione gerarchica tra persone appartenenti al medesimo ufficio» (ivi, par. 8, p. 7 s.).
4.4. Ciò precisato, deve osservarsi, in relazione alla fattispecie concreta, che la disposizione di servizio n. 27 del 24/09/2013, che è allegata al ricorso, contiene solo ed esclusivamente una ‘delega di firma’ (così essendo espressamente intitolato l’art. 2 di detta ‘disposizione’) di atti specificamente individuati e, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, in essa sono indicate anche le ragioni della delega («Il presente provvedimento è adottato ·al fine di ottimizzare l’azione amministrativa in termini di efficienza, efficacia e trasparenza, in conformità alle norme di diritto amministrativo, contrattuali e di prassi che ne regolano l’attività») e la decorrenza («La presente Disposizione decorre dal 30 settembre 2013»).
5. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 D.lgs. n. 546/1992, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione» per non essersi i giudici di appello pronunziati in ordine all’eccepito difetto dei presupposti per l’accertamen to bancario.
5.1. Il motivo, per il quale valgono le considerazioni sopra espresse al par. 2.1., è infondato e va rigettato in quanto la CTR si è pronunciata sulla questione dedotta nel motivo affermando, a pag. 3 della sentenza impugnata, che « nessuna censura può essere mossa all’ufficio in considerazione delle modalità con le quali ha raccolto i dati per determinare il volume di affari posto in essere dal ricorrente ».
5.2. In ogni caso, la decisione nel merito adottata dai giudici di appello, di conferma della pretesa impositiva fondata sulle risultanze degli accertamenti bancari, implica necessariamente il rigetto della questione, ad essa preliminare, di sussistenza dei presupposti per procedere ad accertamento mediante indagini bancarie. D’altro canto è noto che «Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia» (Cass. n. 24155 del 2017; conf. Cass. 29191 del 2017, n. 2151 del 2021).
6. Con il quinto motivo di ricorso la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. , la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 D.lgs. n. 546/1992, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione» per non essersi i giudici di appello pronunziati in merito al difetto di motivazione dell’avviso di accertamento che faceva rinvio al processo verbale di constatazione della G.d.F. di cui recepiva acriticamente le risultanze ed in cui neppure erano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che avevano indotto gli accertatori a disattendere la contabilità pur correttamente tenuta dalla società.
6.1. Anche per tale motivo valgono le considerazioni sopra espresse al par. 2.1.
6.2. Nel merito, la censura è infondata e va rigettata.
6.3. L’orientamento giurisprudenziale in materia di motivazione degli atti impositivi per relationem , che è la fattispecie che ci occupa, è nel senso che l’obbligo legale di motivazione degli atti tributari può essere assolto tramite il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale – per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente (ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale) di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento – o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass. n. 6914 del 2011; Cass., n. 13110 del 2012; Cass. n. 4176 del 2019; Cass., n. 29968 del 2019; Cass. n. 593 del 2021; Cass. n. 33327 del 2023). Questo orientamento, avente riscontro normativo nell’art. 42, comma 2, ultimo periodo, d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, secondo cui «Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale», trova ulteriore conferma nella novella di cui al d.lgs. 30 dicembre 2023 n. 219 che ha modificato l’art. 7 della l. n. 212/2000 stabilendo, al comma 1, che « Gli atti dell’amministrazione finanziaria, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, sono motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione. Se nella motivazione si fa
riferimento ad un altro atto, che non è già stato portato a conoscenza dell’interessato lo stesso è allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale e la motivazione indica espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell’atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati». È stato altresì precisato che l’onere di allegazione si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (Cass. n. 15327 del 2014) e che, al fine di soddisfare il requisito della motivazione dell’accertamento, è sufficiente che l’atto esterno, richiamato da quello impositivo, sia, se non effettivamente conosciuto, quanto meno conoscibile dal contribuente destinatario dell’avviso.
6.4. Questa interpretazione, secondo cui non è nullo l’accertamento la cui motivazione fa riferimento ad un altro atto ad esso non allegato, ma conoscibile agevolmente dal contribuente, realizza un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa (e quindi di buon andamento dell’amministrazione, ex art. 97 Cost.) – che giustificano l’ammissibilità, anche normativa, della motivazione per relationem (cfr. Cass. n. 1906 del 2008, in motivazione) – ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (rilevante ex artt. 24 e 111 Cost.) nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, che sarebbe illegittimamente compresso se la conoscibilità dell’atto esterno richiamato dalla motivazione non fosse agevole, ma richiedesse un’attività di ricerca complessa (Cass. n. 593 del 2021).
6.5. Con specifico riferimento al caso in cui la motivazione dell’atto impositivo rinvia per relationem al processo verbale di constatazione della G.d.F., si è affermato, e qui va ribadito, il principio (cfr. Cass., Sez. 5, n. 3610 del 12/02/2025, Rv. 674088 -01, che si pone in continuità con Cass. n. 32957/2018, n. 30560/2017 e n. 28060/2017) secondo cui, «In tema di avviso di accertamento, la motivazione per relationem , con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza dell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza
di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente», per essergli stato precedentemente consegnato o notificato il predetto p.v.c., come nel caso in esame, «non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio» e soddisfa il requisito motivazionale dell’atto impositivo.
6.6. La censura in esame si pone in netta contrapposizione a tale consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità e va, pertanto, rigettata.
6.7. Al riguardo osserva il Collegio che il contenuto del l’avviso di accertamento impugnato, che è stato allegato al ricorso in ossequio al principio di specificità del motivo, smentisce quanto sostenuto della ricorrente.
6.8. Si legge, infatti, nel predetto atto che « dalle indagini finanziarie effettuate sui rapporti intestati alla società e alle persone ad essa collegate, sono emerse movimentazioni per le quali non è stata fornita alcuna giustificazione e/o dimostrazione idonea e sufficiente a chiarire il loro utilizzo, ovvero la loro non rilevanza »; che « L’organo verificatore, dopo aver proceduto all’acquisizione dei conti correnti bancari intestati alla società e delle persone ad essa collegate ha ·chiesto giustificazione delle movimentazioni ivi transitate al fine di verificare se i dati rilevati dai predetti conti si riferissero ad operazioni imponibili riconducibili all’attività svolta dalla società »; « che l’organo verificatore, nell’esame delle diverse movimentazioni finanziarie, non ha tenuto conto delle operazioni neutre (giroconti), delle spese e commissioni bancarie, degli accrediti di dividendi su titoli, delle spese relative al fabbisogno personale (pagamenti con pos e prelevamenti e/o pagamenti a mezzo ATM) inferiori ad € 250,00, delle garanzie, dei finanziamenti, della gestione collettiva del risparmio e dei conto deposito titoli/obbligazioni »; « che dall’esame della documentazione
acquisita ai fini dell’attività d’indagine finanziaria, tenendo conto degli esiti dei contraddittori effettuati con le parti, è stato rilevato che non sono state fornite tutte le giustificazioni inerenti le movimentazioni richieste e/o le stesse non sono state sostenute da riscontri probatori e documentali ».
6.9. Deve inoltre osservarsi che, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, il ricorso da parte dell’ufficio finanziario all’accertamento bancario in presenza di regolare contabilità è questione che assume rilevanza non ai fini della motivazione dell’atto impositivo, ma ai soli fini della legittimità dell’accertamento espletato, da dedursi e, quindi, da valutarsi in sede giudiziaria.
Con il sesto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 32 D.P.R. n. 600/1973, dell’art. 51 D.P.R. n. 633/1972 nonché dell’art. 2697 cod. civ.» per avere i giu dici di secondo grado erroneamente ritenuto legittima la verifica delle movimentazioni bancarie effettuate su conti correnti intestati a soggetti diversi dalla società contribuente, ancorché in qualche modo legate alla stessa, senza che l’ufficio avesse dimostrato, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità (viene citata Cass. n. 25623/2009), che tali conti fossero riferibili ad intestazioni fittizie e le relative movimentazioni riconducibili al soggetto verificato.
7.1. In buona sostanza, la ricorrente lamenta che la CTR si è limitata ad applicare un automatismo, in alcun modo desumibile dalla legge, mentre l’Ufficio non ha offerto la prova, neppure presuntiva, della riferibilità alla società delle operazioni svolte sui conti correnti dei soggetti terzi.
7.2. Viene, quindi, in rilievo la questione della legittimità delle riprese fiscali operate a carico di una società a ristretta base partecipativa, com’è quella in esame, sulla scorta delle risultanze delle verifiche sulle movimentazioni dei conti correnti intestati non solo alla società verificata ma anche ai soci, amministratori o a soggetti legati a questi da particolari stretti rapporti personali. Questione di cui questa Corte si è più volte
occupata (tra le più recenti, cfr. Cass. n. 7583/2025, Cass. n. 31750/2024, Cass. n. 20816/2024 e Cass. n. 35856/2023) enucleando i principi di seguito riportati che il Collegio intende ribadire.
7.3. Innanzitutto, si è affermato che in tema di accertamenti fiscali, tanto in materia di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600/1973, quanto in materia di IVA, ex art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633/1972, le presunzioni ivi stabilite, secondo cui le movimentazioni sui conti bancari risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili, operano anche in relazione alle società di capitali con riferimento alle somme di denaro movimentate sui conti intestati ai soci o ai loro congiunti, conti che debbono ritenersi riferibili alla società contribuente stessa, in presenza di alcuni elementi sintomatici, come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministratore, o i soci, ed i congiunti intestatari dei conti bancari soggetti a verifica, risultando, in tal caso, particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci e dei loro familiari debbano, in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario, ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica (Cass. n. 22224 del 2018; Cass. sez. 6-5, ord. 14 ottobre 2016, n. 20851; Cass. sez. 5, 11 marzo 2016, n. 4788; Cass. sez. 5, 12 giugno 2015, n. 12276; Cass. sez. 5, 14 gennaio 2015, n. 428; Cass. sez. 5, 18 dicembre 2014, n. 26829; v. anche Cass. n. 33596 del 2019).
7.4. Nel senso della riconducibilità delle movimentazioni dei conti correnti dei soci alla società verificata nel caso di ristretta base azionaria, va richiamata Cass., Sez. 5, n. 30098 del 21/11/2018, secondo cui, in tema di accertamenti sui redditi di società di persone a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, perché la relazione di parentela tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e
societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà dell’ente di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa.
7.5. Tali principi devono, però, confrontarsi con quell’orientamento, pure da tempo presente nella giurisprudenza di questa Corte, che non reputa sufficiente, per acquisire i dati bancari relativi a terzi, estranei alla società, la sola sussistenza del rapporto familiare o della qualità di socio o di amministratore, ma impone che l’Agenzia delle entrate dimostri la sussistenza di indizi che facciano presumere la riconducibilità alla società delle somme transitate nei conti correnti personali, e si è affermato il principio in base al quale «le indagini bancarie nei confronti di una società a responsabilità limitata possono essere estese ai conti correnti dei soci della stessa soltanto se sussistano elementi indiziari che inducano a ritenere che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti» (Cass., Sez. 5, n. 33596 del 18/12/2019, Rv. 656410-02, in cui si richiamano Cass. n. 12817/2018, n. 17423/2003, n. 11145/2011; n. 17243/2003, n. 8826/2001).
7.6. Si tratta di un orientamento rinvenibile anche nelle più recenti pronunce di cui si è sopra dato atto e che è stato affermato anche con riferimento agli accertamenti in materia di imposte dirette.
7.7. In tale materia, questa Corte, pur ribadendo che le verifiche fiscali finalizzate a provare, per presunzioni, la condotta evasiva possono riguardare anche i conti bancari intestati al coniuge o al familiare del contribuente, potendo desumersi la riferibilità a quest’ultimo da elementi sintomatici, quali: il rapporto di stretta familiarità, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta considerato, l’infedeltà delle dichiarazioni e l’esercizio di attività da parte del contribuente compatibile con la produzione della maggiore redditività riferita a dette persone (Cass. n. 546 del 15/01/2020), si è comunque precisato che la sola sussistenza dello stretto vincolo familiare fra il contribuente e il terzo non è un dato sufficiente per assurgere a prova
presuntiva qualificata delle riferibilità, in tutto o in parte, al contribuente accertato delle movimentazioni del conto corrente intestato al familiare, occorrendo che tale vincolo sia accompagnato dalla indicazioni di altri elementi, il cui onere di allegazione è a carico dell’Ufficio, idonei a dimostrare, in via logico-presuntiva, che la situazione reddituale del soggetto terzo intestatario del conto è incompatibile o comunque non può giustificare le movimentazioni riscontrate sul conto che, per tale ragione, può fondatamente ritenersi nella disponibilità effettiva del contribuente accertato (Cass. n. 32974/2018; n. 34747/2023, n. 20816/2024).
7.8. Orbene, nel caso di specie i giudici di appello si sono attenuti ai suddetti principi avendo rilevato, da un lato, la sussistenza della ristretta compagine della società contribuente costituita da soggetti avvinti da stretti vincoli familiari (si legge a pag. 3 della motivazione della sentenza impugnata che « le operazioni poste in essere sui conti correnti riguardano da un lato una società con compagine a ristretta base sociale e unita da vincoli familiari e le riprese sono avvenute su tutti i conti intestati al socio che è amministratore unico e rappresentante legale e su genitore che recentemente è stato anche rappresentante legale »), e dall’altro che « dalle operazioni verificate sono emerse voci riconducibili alla società non giustificate ». Tale ultimo rilievo, che in maniera inequivocabile ricollega le movimentazioni accertate all’attività svolta dalla società contribuente, è frutto di un accertamento di fatto operato dai giudici di appello non adeguatamente contestato dalla ricorrente con la deduzione del corretto paradigma censorio.
7.9. Il motivo di ricorso va, quindi, rigettato.
Il settimo, ottavo e nono motivo di ricorso, che sotto diversi profili censurano la sentenza impugnata con riferimento alla medesima questione delle modalità di verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dalla contribuente a giustificazione delle movimentazioni contestate, vanno trattati congiuntamente.
8.1. Più precisamente, con il settimo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 D.lgs. n. 546/1992, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione» per avere i giudici di secondo grado soltanto genericamente motivato sulla asserita non idoneità delle movimentazioni finanziarie dedotte dalla società contribuente, omettendo di esaminare quanto dedotto nel ricorso di primo grado e ribadito in secondo grado, in ordine alla documentazione fornita per giustificare le movimentazioni bancarie oggetto di ripresa a tassazione.
8.2. Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 32 D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 51 D.P.R. n. 633/1972» per non avere la CTR considerato che aveva indicato il nominativo del beneficiario del versamento di 25.000,00 euro che era relativo ad un’operazione di giroconto tra due conti del socio NOME COGNOME.
8.3. Con il nono motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., l’«Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti» per non avere la CTR « minimamente valutato se le prove documentali come esposte dal contribuente siano o meno efficaci a superare le presunzioni fornite dall’Ufficio ».
8.4. Sostiene la ricorrente di aver dedotto e provato nei gradi di merito la non imputabilità ai ricavi della società contribuente di alcuni dei movimenti bancari oggetto di verifica, in particolare il bonifico per l’importo di € 25.000,00 effettuato dal c/c BPF n. 290011, intestato a COGNOME NOME, al c/c IWBANK SPA n. CODICE_FISCALE pure intestato a COGNOME NOME, che pertanto costituiva un semplice giroconto, ed i versamenti bancari pari a complessivi € 51.786 ,38 sul c/c BPF intestato al sig. COGNOME NOME (estraneo alla società) in quanto relativi a canoni di locazione percepiti in nero da quest’ultimo , come accertato dalla stessa G.d.F.
8.5. I motivi sono fondati e vanno accolti.
8.6. Al riguardo si rende necessario ricordare che in tema di accertamenti bancari è consolidato l’orientamento giurisprudenziale di legittimità, confortato anche dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 10 del 2023, secondo cui una volta che l’amministrazione finanziaria abbia fornito la prova dei movimenti in entrata e in uscita operati dal contribuente su conto corrente bancario, integrando così il meccanismo presuntivo posto a favore della stessa (cfr. Cass. n. 34638 del 2022) – che, avendo fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici -, spetta al contribuente, per evitare che le risultanze delle verifiche bancarie siano poste a base di successivi eventuali atti impositivi, fornire la prova della loro inclusione nella base imponibile oppure dell’estraneità alla produzione del reddito (Cass. n. 40221 del 2021; Cass. n. 26014 del 2024); prova che dev’essere analitica (Cass. n. 13112 del 2020), per ogni movimento bancario contestato, e non generica (Cass. n. 15857 del 2016) ma che, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici (Cass. n. 3777/2015, in motivazione).
8.7. Ad un tale specifico onere probatorio gravante sul contribuente, corrisponde un altrettanto specifico obbligo del giudice di merito, da un lato, di operare una verifica rigorosa dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie – in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. n. 21800 del 2017) -, e, dall’altro, di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica (cfr. Cass. n. 10480 del 03/05/2018, Rv. 648064 -01; conf. Cass. n. 13112 del 30/06/2020, Rv. 658392 – 01).
8.8. Una verifica che il giudice deve, quindi, compiere con particolare accuratezza, essendo tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative” (Cass. n. 3577/2015 e Cass. n. 22502/2011).
8.9. A tali principi non si è attenuta la sentenza impugnata che, al riguardo, si è limitata ad affermare che la società contribuente non aveva fornito alcuna prova contraria, mentre le circostanze dedotte dalla ricorrente in relazione ai movimenti di cui si è detto al precedente par. 8.4. emergevano già dal processo verbale di constatazione della G.D.F.
Con il decimo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 D.lgs. n. 546/1992, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione» per non essersi i giudici di seconde cure pronunziati in merito ai costi relativi ai maggiori ricavi.
9.1. Il motivo, in relazione al quale valgono le considerazioni espresse al par. 2.1., è fondato e va accolto alla stregua del principio secondo cui «In tema di accertamento dei redditi con il metodo analitico-induttivo, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, che ha operato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. del 1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti» (Cass., Sez. 5, n. 18653 del 03/07/2023, Rv. 668247 -01).
9.2. La CTR non si è pronunciata sulla domanda avanzata sul punto dalla società contribuente con il ricorso di primo (domanda trascritta a pag. 25 del ricorso in ossequio al principio di specificità sancito dall’art. 366,
primo comma, n. 6, cod. proc. civ.), e riproposta in grado di appello come undicesimo motivo di impugnazione.
9.3. Comportando la necessità di espletamento di accertamenti di fatto riservati al giudice di merito, la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado affinché provveda a rideterminare il reddito imponibile della società contribuente riconoscendo una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi in relazione ai ricavi accertati, avvalendosi anche – se del caso dell’ausilio di consulenza tecnica d’ufficio (in tal senso la citata Cass. n. 18653/2023 nonché Cass. n. 5586/2023).
L ‘undicesimo motivo di ricorso, con cui viene dedotta, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 D.lgs. n. 546/1992, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione» per non essers i i giudici di seconde cure pronunziati in merito alla legittimità o meno delle sanzioni irrogate , resta assorbito dall’accoglimento dei precedenti motivi di ricorso.
10.1. In sede di rinvio, il giudice di merito provvederà a rideterminare le sanzioni in applicazione del principio del trattamento sanzionatorio più favorevole alla contribuente, stabilito dall’art. 3, comma 3, del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. d.lgs. n. 472 del 1997. Invero, la sopravvenuta revisione del sistema sanzionatorio tributario introdotta dal decreto legislativo n.158 del 2015, vigente dal 1° gennaio 2016 a norma dell’art. 32 del d.lgs. n.158 del 2015, come modificato dall’art. 1, comma 133, della legge 28 dicembre 2015 n.208, è applicabile retroattivamente alla condizione, ricorrente nel caso in esame, che il processo sia ancora in corso con la conseguente non definitività della parte sanzionatoria del provvedimento impugnato (Cass. n. n. 8716/2021; conforme Cass. n. 15978/2017 e n. 1706/2018).
Venendo, quindi, al motivo di ricorso incidentale, l’Ufficio deduce, ai sensi dell’art. 360 primo comma, n. 3 cod. proc. civ. , la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115 del 2002» per avere la CTR erroneamente disposto in capo all’Agenzia delle Entrate
l’onere del versamento del maggior contributo sancito dall’art. 13, comma 1quater del D.P.R. n. 115 del 2002.
11.1. Il motivo è inammissibile in quanto la sentenza d’appello non contiene nel dispositivo alcuna statuizione di condanna al pagamento del cd. doppio contributo, mentre l’attestazione di debenza del predetto doppio contributo, contenuta nella parte motiva, peraltro riferita alla parte processual e integralmente vittoriosa, costituisce all’evidenza un mero refuso.
12. In estrema sintesi, vanno accolti il settimo, ottavo, nono e decimo motivo, assorbito l’ undicesimo, rigettati tutti gli altri ed il motivo di ricorso incidentale. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata, anche per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio.
P.Q.M.
accoglie il settimo, ottavo, nono e decimo motivo, assorbito l’undicesimo, rigettati tutti gli altri ed il motivo di ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2025