Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10013 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10013 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 837/2018 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME già titolare dell’omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura speciale in calce al ricorso per cassazione, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma INDIRIZZO
PEC:
– ricorrente – contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore;
– intimata – e da
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i
cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME già titolare dell’omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura speciale in calce al ricorso per cassazione, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma INDIRIZZO. PEC: EMAIL
– controricorrente- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del LAZIO n. 2999/2017, depositata in data 25 maggio 2017, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello principale di COGNOME NOME COGNOME e l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate proposti avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto parzialmente il ricorso del contribuente, disponendo la rideterminazione da parte dell’Amministrazione dell’accertamento contestato per effetto dei costi riconosciuti dal Collegio nella misura forfettaria del 15% dei maggiori ricavi accertati, quali costi per la produzione dei suddetti ricavi.
I giudici di secondo grado, condividendo le statuizioni del giudice di primo grado, hanno, in via preliminare, ritenuto infondato l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate, in quanto la contestazione in ordine al riconoscimento di maggiori costi per il 15% a fronte di maggiori ricavi appariva molto equilibrata ed equa, essendo plausibile che, in caso di ricostruzione del reddito d’impresa, l’Ufficio non poteva
non tenere conto, soprattutto in assenza di documentazione certa, di un’incidenza percentuale di costi presunti a fronte di maggiori ricavi accertati, regola che doveva valere anche se in tutto o in parte i maggiori ricavi erano stati assunti tramite indagini bancarie; era legittima la ricostruzione del reddito tramite le indagini bancarie, che comportava una inversione dell’onere della prova ed era onere del contribuente dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non dovevano essere recuperati a tassazione o perché egli ne aveva già tenuto conto nelle dichiarazioni o perché non erano fiscalmente rilevanti, in quanto non si riferivano ad operazioni imponibili; le giustificazioni dovevano essere specifiche, non genericamente riferite all’attività d’impresa esercitata, concrete, rigorose e relative ad ogni singolo movimento bancario; tra l’altro, nel caso di specie, in sede di esame dell’istanza di accertamento con adesione, l’Ufficio aveva riconosciuto giustificate alcune operazioni e aveva ridotto il reddito accertato, senza tuttavia pervenire alla conciliazione.
COGNOME NOME COGNOME ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, mentre l’Agenzia delle Entrate ha depositato ricorso per cassazione affidato ad un motivo, cui resiste con controricorso COGNOME NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE
Va preliminarmente rilevato che per il principio dell’unicità del processo di impugnazione, dopo la notifica del primo ricorso, qualsiasi impugnazione successiva contro la stessa sentenza deve essere proposta in via incidentale nello stesso processo e quindi, nell’atto contenente il controricorso; ma, non essendo quest’ultima formalità essenziale, qualsiasi ricorso successivo avverso una medesima sentenza si converte in impugnazione incidentale, ancorché proposto con atto autonomo, ed è ammissibile purché sia stato proposto nel
rispetto del termine stabilito per il ricorso incidentale dall’art. 371 cod. proc. civ., onde la conversione risulta ammissibile solo se la notificazione del relativo atto non ecceda il termine di quaranta giorni da quello dell’impugnazione principale (Cass., 14 gennaio 2020, n. 448; Cass., 20 giugno 2001, n. 8365; Cass., 23 giugno 1999, n. 6400; Cass., 3 luglio 1997, n. 5993).
1.1 Poiché il ricorso proposto da COGNOME NOME COGNOME è stato notificato in data 20 dicembre 2017, dunque, prima del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate (che è stato notificato in data 27 dicembre 2017), che assume, pertanto, natura oggettivamente incidentale e va ad esso riunito a norma dell’art. 335 cod. proc. civ., si procede prioritariamente al l’ esame del ricorso presentato da COGNOME NOME COGNOME e, quindi, a quello del secondo ricorso.
Ricorso COGNOME NOME COGNOME
2. Il primo mezzo deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per l’arbitrarietà del metodo applicato in sede di accertamento con conseguente inversione onere della prova, in quanto il contribuente aveva indicato il percettore degli importi prelevati e l’indicazione del beneficiario della somma di denaro prelevato e ciò era sufficiente per vincere la presunzione prevista dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973. L’Ufficio, inoltre, aveva considerato diversi prelevamenti operati sul proprio conto quali ricavi conseguiti nell’ambito dell’esercizio dell’attività di impresa in via automatica, considerando le giustificazioni supportate dalla documentazione, insufficienti senza alcuna motivazione.
3. Il secondo motivo deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione e Statuto del Contribuente, in quanto nell’accertamento non veniva tutelato il lavoro del contribuente, il tutto veniva accertato su una «capacità contributiva presunta», quando, invece, per principio costituzionale la «capacità contributiva» doveva essere effettiva e non solo presunta. La sentenza della Corte
Costituzionale n. 228 del 2014, dettata in tema di lavoro autonomo, doveva trovare applicazione anche alle imprese. Tassando il ricavo lordo e non la differenza tra costi e ricavi si aveva sicuramente una grave lesione della capacità contributiva di cui al l’art. 53 della Costituzione. L’Ufficio aveva accettato numerose giustificazioni proposte dal contribuente ed aveva proposto un reddito di euro 63.458,00 per definire la pratica in sede di tentativo di conciliazione.
Il terzo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 7, comma 1, parte seconda, della legge n. 212 del 2000, art. 3 della legge n. 241 del 1990 e la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973. L’avviso di accertamento, con il richiamo ai flussi dei movimenti, era privo di motivazione ed era infondato per l’arbitrarietà del metodo applicato, con riferimento ai prelevamenti a favore dei familiari o per il solo cambio degli assegni, intervenuti sui conti correnti. Nella motivazione dell’atto impugnato, l’Ufficio si era limitato a compilare una serie di tabelle in cui aveva riportato per singolo istituto di credito e per singolo conto corrente gli accrediti e gli addebiti che ritenevano non giustificati, esponendo nel riepilogo la loro somma algebrica per determinare il reddito presunto del ricorrente, senza tenere conto dei costi inerenti.
Il quarto motivo deduce l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione al mancato esame, da parte dei giudici, delle censure e dei documenti depositati dal ricorrente nel corso del giudizio di merito che, se esaminati, avrebbero portato ad una decisione diversa da quella adottata. La sentenza non era adeguatamente motivata nella parte in cui non esponeva i parametri utilizzati e il processo logico che aveva portato il giudice a determinare la percentuale dei costi nella misura del 15%, senza tenere conto delle medie di settore per l’attività di idraulico artigiano.
Ricorso Agenzia delle Entrate
Il primo ed unico motivo del ricorso incidentale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art 32, comma primo, n. 2 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 109 del TUIR in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. La pronuncia della C.T.R. era censurabile in quanto aveva inopinatamente ritenuto di dovere confermare, in presenza di un accertamento fondato sulle risultanze dei movimenti bancari una riduzione dei redditi in ragione di costi equitativamente determinati. I giudici non avevano considerato che, nel caso di utilizzo delle risultanze delle indagini finanziarie ai fini dell’accertamento analiticoinduttivo per la deducibilità dei costi, era richiesta la sussistenza di elementi certi e precisi ai sensi dell’art. 109, comma 4, del TUIR, con la conseguenza che, nel caso in trattazione, non era possibile il riconoscimento di componenti negative di cui non fosse fornita, da parte del contribuente, prova certa.
Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
7.1 La giurisprudenza di questa Corte è nel senso che « In tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze » (Cass., 30 giugno 2020, m. 13112; Cass., 3 maggio 2018, n. 10480).
7.2 Nel dettaglio, dunque, la prova del contribuente deve essere idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie
non sono riferibili ad operazioni imponibili, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (Cass., 30 giugno 2020, n. 13112, citata, in motivazione) e a tale dimensionamento dell’onere della prova gravante sul contribuente corrisponde l’obbligo del giudice di merito, da un lato, di operare una verifica rigorosa dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, e, dall’altro, di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica (Cass., 18 novembre 2021, n. 35258).
7.3 La Corte, inoltre, ha precisato che l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 contempla « una presunzione legale relativa in virtù della quale tutti i movimenti contabili – sia i versamenti che i prelievi – effettuati da un imprenditore corrispondono ad operazioni imponibili e vincola, da un lato, l’Ufficio ad assumere che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti intestati al contribuente siano a lui imputabili, senza che risulti necessario procedere all’analisi delle singole operazioni e, dall’altro, il contribuente, che quella presunzione volesse superare, ad offrire la prova contraria di avere tenuto conto delle somme oggetto delle movimentazioni ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta, avendo registrato i versamenti in contabilità ed utilizzato prelevamenti per pagare determinati beneficiari, oppure fornendo la prova analitica della eventuale “irrilevanza” di quei movimenti, perciò riferibile al singolo movimento bancario, il che esclude già di per sé che sia sufficiente una prova generica e non puntuale » (Cass., 9 agosto 2016, n. 16686; in motivazione).
7.4 Sulla base di tali considerazioni, questa Corte ha evidenziato che « L’art. 32 d.P.R. n. 600/1973, al pari dell’art. 51 d.P.R. n. 633/1972, impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti
siano registrati in contabilità e che i prelevamenti siano serviti per pagare determinati beneficiari; nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria contesti complessivamente l’inattendibilità della contabilità, il giudice del merito deve, in ogni caso, verificare l’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente rispetto ad ogni singola movimentazione al fine di verificare che le movimentazioni bancarie siano o meno riferibili ad operazioni imponibili ai fini reddituali » (Cass., 13 dicembre 2023, n 34926; Cass., 5 aprile 2022, n. 14353).
7.5 La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi suesposti, peraltro sinteticamente richiamati alle pagine 6 e 7 della sentenza impugnata, che ha sostanzialmente affermato, condividendo le statuizioni di primo grado, che la valutazione operata era stato molto analitica, approfondita e puntuale e che non erano state addotte giustificazioni specifiche, concrete, rigorose e relative ad ogni singolo movimento bancario, oltre che riferite specificamente all’attività d’impresa esercitata (cfr. pagine 6 e 7 della sentenza impugnata). Giova precisare, poi, che la sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, richiamata dal ricorrente, ha chiaramente differenziato rispetto agli imprenditori la posizione dei lavoratori autonomi e dei professionisti, ritenendo che solo rispetto a questi ultimi la norma con riferimento ai prelievi fosse lesiva del principio di ragionevolezza e di capacità contributiva.
8 . Il secondo motivo è inammissibile perché lamenta in modo estremamente generico violazioni di norme costituzionali e tra queste l’art. 53 Cost., ma non si confronta con specifiche statuizioni della sentenza impugnata, rivolgendo piuttosto la censura all’Ufficio (« L’Ufficio aveva accettato numerose giustificazioni proposte dal contribuente ed aveva proposto un reddito di euro 63.458,00 per definire la pratica in sede di tentativo di conciliazione»).
Il terzo motivo del ricorso principale è inammissibile nella parte in cui, nella sua tecnica di formulazione, rivolge la censura direttamente al provvedimento impositivo. Come questa Corte ha già precisato, il motivo di ricorso attinente direttamente all’atto di accertamento è inammissibile, in quanto l’atto di accertamento non è atto del processo, bensì atto, la cui impugnazione è oggetto del processo (Cass., 27 marzo 2013, n. 7717; Cass., 7 maggio 2007, n. 10295; Cass., 13 marzo 2009, n. 6134).
Il quarto motivo del ricorso principale, nonché il primo ed unico motivo del ricorso incidentale, che devono essere congiuntamente esaminati perché connessi, in quanto riguardano la questione della determinazione dei costi in tema di accertamenti bancari ex. art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, sono fondati, pur rilevando che il quarto motivo deve essere ricondotto, avuto riguardo alla sua specifica formulazione, nell’ambito d el vizio di motivazione della sentenza impugnata.
10.1 Va precisato, al riguardo, che la Corte costituzionale, con sentenza n. 10 del 2023, si è pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui pone la presunzione per la quale i prelevamenti sul conto corrente, se non risultano dalle scritture contabili, sono considerati ricavi dell’imprenditore commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario e, dopo avere richiamato la sentenza n. 228 del 2014 (che, come già detto, aveva differenziato rispetto agli imprenditori la posizione dei lavoratori autonomi e dei professionisti, ritenendo solo rispetto a questi ultimi che la norma con riferimento ai prelievi fosse lesiva del principio di ragionevolezza e di capacità contributiva) e la sentenza n. 225 del 2005 (che aveva già deciso su alcune questioni afferenti alla legittimità costituzionale rispetto ai parametri di cui agli artt. 3 e 53 Cost. della presunzione di equiparazione dei prelievi ai ricavi espressa dalla norma censurata) ha ritenuto non fondate le
questioni di costituzionalità dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973; ciò, tuttavia, in base alla possibilità di un’interpretazione adeguatrice, orientata alla conformità agli evocati parametri, precisando (al punto 8 e 9) che bisogna tener conto dei costi in misura percentuale rispetto ai ricavi accertati e ha, pertanto, statuito che « la disposizione censurata in tanto si sottrae alle censure mosse, in riferimento agli evocati parametri, dalla Commissione tributaria rimettente sì che le sollevate questioni possono essere dichiarate non fondate – in quanto si interpreti nel senso che, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore possa sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la «incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati ».
10.2 Più specificamente, la Corte Costituzionale, richiamato il principio secondo il quale, nell’ipotesi di accertamento induttivo «puro», deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria, ha ribadito che l’interpretazione adeguatrice, orientata alla conformità ai parametri di cui agli artt. 3 e 53 Cost., richiede che il contribuente imprenditore possa sempre articolare la prova presuntiva e, in particolare, eccepire la « incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati » affinché la presunzione in esame risulti essere compatibile, in particolare, anche con il principio di capacità contributiva (art. 53, primo comma, Cost.) e ha precisato che: « Però, nell’esaminare la questione della deducibilità dei costi anche a fronte di un accertamento analitico contabile compiuto mediante indagini bancarie, occorre considerare che la disposizione censurata consente all’amministrazione finanziaria di avvalersi di una presunzione che, quanto all’equiparazione dei prelevamenti ai ricavi, è in realtà duplice (o di secondo grado): i prelievi sarebbero utilizzati per sostenere
costi occulti, i quali a loro volta avrebbero generato pari ricavi non risultanti, anch’essi, dalla contabilità dell’imprenditore. In una fattispecie siffatta dunque – tanto che il metodo di accertamento sia analitico-induttivo, quanto induttivo cosiddetto “puro” – finirebbe effettivamente con il violare i principi di ragionevolezza e di capacità contributiva un sistema nel quale fosse consentito alla stessa amministrazione dimostrare, in virtù di un meccanismo inferenziale di secondo grado, che i prelievi del contribuente-imprenditore sono serviti per sostenere costi “occulti”, dai quali sono stati prodotti ricavi “occulti”, pari ai prelievi in questione, senza che sia possibile la deduzione dei costi sostenuti dall’imprenditore per produrre tali ricavi, secondo una prova contraria per presunzioni offerta da quest’ultimo. Da una parte, infatti, da tale sistema deriverebbero esiti irragionevoli perché finirebbe per prevedere un trattamento più severo, quanto al regime della possibile prova contraria rispetto alla presunzione legale in esame, in danno del contribuente che ha tenuto una contabilità complessivamente attendibile (e che può essere destinatario di un accertamento analitico-induttivo), rispetto al regime probatorio di cui si avvale chi, destinatario di un accertamento induttivo, ha omesso qualsiasi contabilità ovvero ne ha tenuta una complessivamente inattendibile o ha posto in essere gravi condotte, quale l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi. D’altra parte, la presunzione in esame, quanto ai prelievi bancari recuperati a reddito d’impresa quali ricavi “occulti”, si porrebbe in contrasto con il principio della capacità contribuiva poiché, in mancanza di alcuna deduzione di costi, desumibile in via presuntiva, anche con riferimento alle “medie” elaborate dall’amministrazione finanziaria per il settore di riferimento, finirebbe per tassare, in parte, una ricchezza inesistente laddove, invece, ogni prelievo tributario deve avere una causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza (ex plurimis, sentenze n. 156 del 2001, n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995, n. 179 del 1985 e n. 200 del 1976) » (cfr. paragrafo 8 della sentenza delle Corte Costituzionale n. 10 del 2023).
10.3 Ciò comporta il superamento di quella giurisprudenza costante, in materia di prova contraria incombente al contribuente per vincere la presunzione relativa di cui al citato art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui è onere del contribuente dimostrare la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, fondata su concreti elementi di prova (cfr. Cass., 16 luglio 2020, n. 15161), avvicinando il riconoscimento della detrazione dei costi, in relazione ai prelevamenti non giustificati, al regime forfettario proprio dell’induttivo puro. Questa Corte, dunque,
ha enunciato il seguente principio di diritto: « In tema di accertamenti bancari di cui all’art. 32 d.P.R. 602/1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturenti da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, eccepire la incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati » e ha affermato che « Ove detti costi non siano stati riconosciuti dall’Amministrazione finanziaria, v a demandato al giudice di merito l’accertamento dell’ammontare dei costi sostenuti per la produzione del reddito, in ragione del parametro individuato nel par. 8 della sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 2023, quantificandoli in via presuntiva, anche con riferimento alle «medie» elaborate dall’amministrazione finanziaria per il settore di riferimento, o, se del caso, anche a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio » (Cass., 8 marzo 2023, n. 6874).
Per le ragioni di cui sopra, vanno accolti il quarto motivo del ricorso principale e il primo ed unico motivo del ricorso incidentale e vanno rigettati il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale; la sentenza impugnata va cassata, in relazione ai motivi accolti, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso principale e il primo ed unico motivo del ricorso incidentale e rigetta il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 13 marzo 2025.