Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8912 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8912 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27473 -20 16 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dall’AVV_NOTAIO, ed elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio legale dell’AVV_NOTAIO;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO, domicilia;
– resistente –
Oggetto: Tributi – accertamenti bancari
avverso la sentenza n. 3968/44/2016 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, depositata il 2 maggio 2016;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/01/2024 dal AVV_NOTAIO;
Rilevato che:
In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento di un maggior reddito di lavoro professionale per l’anno d’imposta 200 5 emesso dall’ Amministrazione finanziaria nei confronti di NOME COGNOME sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. a seguito di verifica delle movimentazioni effettuate sul conto corrente bancario del predetto contribuente, ricondotte ad attività professionale di avvocato svolta dallo stesso, in particolare con la RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Campania rigettava l’appello proposto dal contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo che «l’omissione della dichiarazione dei redditi costituisce di per sé valido motivo per l’accertamento induttivo ai sensi dell’art. 39 comma 2 DPR 600/1973» e per la verifica delle movimentazioni bancarie e che il contribuente non aveva fornito alcuna giustificazione del versamento sul proprio conto corrente bancario della somma complessiva di 13.712,00 euro, essendosi limitato a produrre scritture private ma senza provare che «la somma erogata dall’istituto assicurativo una causale diversa dall’erog azione di un compenso professionale».
Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due articolati motivi, cui non replica per iscritto l ‘ intimata che si costituisce al solo scopo di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., viene dedotta la violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., 36, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, 32, comma 1, n. 2 e 7, 39, comma 2, e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, 56 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 7 della legge n. 212 del 2000.
1.1. Sostiene il ricorrente che i giudici di appello, con motivazione meramente apparente, violando le disposizioni di cui agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., avevano respinto l’appello con una motivazione che ricalcava quella di primo grado, ritenendo l’atto impositivo sufficientemente motivato, «senza esprimersi sulle prove contrarie» da esso fornite e che stavano a dimostrare che non aveva svolto l’attività professionale di a vvocato, iniziata soltanto nel 2009.
Il motivo, là dove viene dedotto il difetto di motivazione della sentenza impugnata, ancorché sotto il profilo dell’ error in iudicando (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) e non, invece, dell’ error in procedendo (n. 4 dell’art. 360, cod. proc. civ.), è infondato mentre è inammissibile con riferimento alle altre censure pure dedotte nel motivo.
Con riferimento alla prima censura, ricordato che la motivazione è meramente apparente quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017; v. anche Cass. n. 13248 del 2020), osserva il Collegio che nella specie
la sentenza impugnata si pone ben al di sopra del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., avendo i giudici di appello espresso una ben chiara ratio decidendi affermando che «l’omissione della dichiarazione dei redditi costituisce di per sé valido motivo per l’accertamento induttivo ai sensi dell’art. 39 comma 2 DPR 600/1973» nonché per la verifica delle movimentazioni bancarie e che il contribuente non aveva fornito alcuna giustificazione del versamento sul proprio conto corrente bancario della somma complessiva di 13.712,00 euro, essendosi limitato a produrre scritture private ma senza provare che «la somma erogata dall’istituto assicurativo una causale diversa dall’ erogazione di un compenso professionale».
Tutte le altre censure, come sopra anticipato, sono inammissibili.
In particolare, è inammissibile la censura proposta con riferimento agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. alla stregua del principio secondo cui «In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012» (cfr. Cass. n. 23940 del 2017; conf. Cass. n. 3572 del 2021); vizio, quest’ultimo, sussistente solo nell’ipotesi di mancato esame di fatti storici controversi e decisivi per il giudizio.
Con riferimento alla violazione dell ‘art. 115 c.p.c., inoltre, questa Corte insegna che con essa «occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.» (Cass., Sez. U, n. 20867 del 2020).
6. Osserva, inoltre, il Collegio che la censura di omesso esame dei «numerosi documenti depositati agli atti», da intendersi proposta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in tali termini riqualificata la dedotta violazione di legge alla stregua delle argomentazioni svolte nel ricorso, è comunque inammissibile per difetto di specificità, ex art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., avendo il ricorrente omesso di allegare al ricorso i documenti di cui lamenta il mancato esame, di specificare la fase del processo di merito in cui erano stati prodotti e, comunque, di trascrivere nel suo interno, anche per estratto, il contenuto o i passaggi essenziali dei documenti, onde consentire a questa Corte di valutarne la decisività, non essendo sufficiente a soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione il generico rinvio agli atti processuali (Cass., Sez. 1^, 1° marzo 2022, n. 6769, Rv. 664103-01; Cass., Sez. Trib., 5 settembre 2023, n. 26007, non massimata). Né, a tal fine, è comunque sufficiente la trascrizione effettuata a pag. 12 del ricorso di quanto dedotto dal ricorrente nelle memorie depositate in primo grado con riferimento ad alcuni versamenti sul conto corrente oggetto di verifica, trattandosi di
argomentazioni di parte circa le causali di tali versamenti non suffragati da riscontri probatori.
Nel medesimo vizio incorre la censura di difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, che la CTR ha ritenuto essere adeguatamente motivato mediante il richiamo, per relationem , al verbale di constatazione della G.d.F. Infatti, anche con riferimento a tale censura il ricorrente omette di allegare al ricorso o di trascrivere il contenuto motivazionale dell’atto impositivo.
Sull’ulteriore rilievo che il ricorrente in nessuna parte del ricorso deduce l’omessa consegna o notifica del processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F., il motivo deve ritenersi inammissibile anche ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ. ponendosi la censura in violazione del consolidato orientamento di legittimità in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, in base al quale l’art. 7, comma 1, della legge n. 212 del 2000, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione» (Cass. 14/01/2015, n. 407; conformi, ex plurimis, Cass. n. 20166 del 2016; Cass. n. 29002 del 2017; Cass. n. 2223 del 2021). Parimenti, l’art. 42, secondo comma, ultima parte, del d.P.R. n. 600 del 1973, stabilisce che solo se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale (Cass. n. 28713 del 2017; n. 407 del 2015; n. 18073 del 2008; Cass. n. 14995 del 2020).
Analogamente inammissibili sono le censure di violazione di legge pure dedotte nel motivo, in particolare degli artt. 32, comma
1, n. 2 e 7, 39, comma 2, e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione alle quali nulla viene dedotto nel ricorso.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in relazione alla declaratoria di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, n. 2 e 7, del d.P.R. n. 600 del 1973 nonché la violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 con riferimento a prelevamenti per 1.200,00 euro risultante dalle movimentazioni bancarie oggetto di verifica.
10.1. Sostiene, al riguardo, che i giudici di appello non avevano considerato, peraltro omettendo di pronunciare, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sull’eccezione all’uopo sollevata, che a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, essendo venuta meno la presunzione legale di redditività dei prelevamenti effettuati da lavoratori autonomi, il predetto importo non poteva essere ripreso a tassazione, come invece aveva fatto l’amministrazione finanziaria con l’avviso di accert amento impugnato.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità in ordine all’esistenza di prelevamenti che l’amministrazione finanziaria avrebbe ripreso a tassazione con l’atto impositivo, essendosi il ricorrente limitato con il ricorso ad effettuare un generico rinvio alle pagine 6 e 11 del processo verbale di constatazione della G.d.F., senza allegare l’avviso di accertamento o trascriverne la parte in cui risulta effettivamente ripreso a tassazione l’importo de i prelevamenti effettuati.
E’, altresì, inammissibile la censura di omessa pronuncia perché in contrasto con il principio giurisprudenziale secondo cui, «qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella
sentenza impugnata », com’è nel caso di specie , «il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa» (Cass. n. 1435 del 2013; conf. Cass. n. 23675 del 2013; n. 27568 del 2017; n. 19639 del 2019, non massimata).
13. In estrema sintesi il ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese non avendo la resistente replicato per iscritto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 18/01/2024