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Accertamenti bancari: come dedurre i costi?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3129/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di accertamenti bancari. Il caso riguardava un panificio a cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato maggiori ricavi basandosi su movimentazioni non giustificate sui conti correnti dell’imprenditore e dei suoi familiari. La Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente, chiarendo che, a fronte di ricavi presunti derivanti da accertamenti bancari, il giudice tributario deve sempre considerare e determinare, anche in via forfettaria, i costi relativi a tali ricavi. Omettere questa valutazione viola il principio di tassazione del reddito effettivo, portando a una illegittima imposizione fiscale sui ricavi lordi anziché sull’utile netto.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamenti bancari: la Cassazione ribadisce la deducibilità dei costi

Gli accertamenti bancari rappresentano uno degli strumenti più efficaci a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria, ma anche una delle maggiori fonti di preoccupazione per imprenditori e professionisti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 3129/2024) getta nuova luce su un aspetto cruciale: la necessità di considerare i costi associati ai maggiori ricavi presunti. Vediamo nel dettaglio il caso e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I fatti del caso: l’accertamento fiscale al panificio

Un’impresa individuale operante nel settore della panificazione riceveva un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. La pretesa fiscale si basava sui risultati di una verifica della Guardia di Finanza che aveva analizzato i conti correnti intestati all’imprenditore, alla moglie e ai figli, tutti collaboratori nell’attività.

Secondo gli operatori, numerose operazioni bancarie, sia versamenti che prelevamenti, non erano state adeguatamente giustificate. Di conseguenza, l’Ufficio contestava:
– Omessa registrazione di operazioni imponibili per oltre 111.000 euro.
– Un maggior reddito d’impresa di circa 134.000 euro.
– Infedele presentazione della dichiarazione e altre violazioni formali.

In sostanza, l’Agenzia applicava la presunzione legale secondo cui i versamenti non giustificati su conti correnti rappresentano ricavi non dichiarati.

La controversia e gli esiti nei gradi di merito

Il contribuente impugnava l’avviso di accertamento, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale (C.t.p.) che la Commissione Tributaria Regionale (C.t.r.) rigettavano i suoi ricorsi. I giudici di merito ritenevano che le prove fornite non fossero sufficienti a superare la presunzione legale a favore del Fisco. In particolare, non avevano dato peso alla documentazione prodotta dal contribuente (come il registro dei corrispettivi) che, a suo dire, collegava i versamenti giornalieri agli incassi regolarmente registrati.

Il contribuente, non soddisfatto della decisione, decideva di ricorrere in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’errata applicazione delle norme sulle presunzioni legali e l’omessa valutazione di prove decisive.

La decisione della Cassazione sugli accertamenti bancari

La Suprema Corte ha accolto il motivo principale del ricorso, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un altro giudice. Il punto focale della decisione riguarda un principio consolidato dalla giurisprudenza, anche costituzionale: quando si procede con accertamenti bancari e si determinano maggiori ricavi in via presuntiva, è necessario considerare anche l’incidenza dei costi relativi a tali ricavi.

Le motivazioni: il principio della deducibilità dei costi

La Corte ha spiegato che tassare i soli ricavi presunti, senza tener conto dei costi necessari per produrli, porterebbe a un risultato irragionevole e incostituzionale. Si finirebbe, infatti, per tassare un reddito lordo anziché un reddito netto, violando il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione.

I giudici di legittimità hanno chiarito che, anche in un accertamento di tipo analitico-induttivo come quello in esame, il contribuente ha sempre il diritto di opporre la prova contraria. Questa prova può includere l’eccezione sull’incidenza percentuale dei costi relativi ai ricavi accertati. Il giudice d’appello, nel caso specifico, aveva completamente omesso di compiere questa valutazione. Non aveva determinato, neanche in via forfettaria, i costi che l’imprenditore aveva presumibilmente sostenuto per generare quei maggiori ricavi contestati.

La Cassazione ha quindi censurato la sentenza impugnata per non aver effettuato un’accurata verifica degli elementi offerti dal contribuente e, soprattutto, per non aver applicato il principio secondo cui a maggiori ricavi accertati devono corrispondere, anche in via presuntiva, maggiori costi deducibili.

Le conclusioni: cosa cambia per i contribuenti

Questa ordinanza è di fondamentale importanza pratica per chiunque subisca un accertamento fiscale basato sulle movimentazioni bancarie. Essa ribadisce con forza che:

1. La tassazione deve colpire l’utile, non il fatturato: L’Amministrazione Finanziaria non può limitarsi a ricostruire i ricavi senza considerare i costi.
2. Il contribuente può difendersi: È possibile fornire la prova contraria alla presunzione legale, dimostrando la natura non imponibile delle operazioni o l’esistenza di costi correlati.
3. Il giudice ha un obbligo di valutazione: Il giudice tributario deve effettuare una verifica completa, determinando l’incidenza dei costi anche se in modo forfettario, per garantire una tassazione equa e conforme ai principi costituzionali.

In conclusione, la decisione rafforza le tutele per il contribuente, impedendo che lo strumento degli accertamenti bancari si trasformi in una forma di imposizione sul reddito lordo, e riafferma il principio di una giusta tassazione basata sull’effettiva capacità economica.

Cosa succede se vengono trovati versamenti non giustificati sul conto corrente di un imprenditore?
Per la legge fiscale, i versamenti bancari non giustificati si presumono ricavi non dichiarati. Spetta al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando che tali somme non costituiscono reddito imponibile o sono già state tassate.

L’accertamento fiscale può estendersi ai conti correnti dei familiari?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che l’accertamento può estendersi ai conti di terzi, come i familiari stretti, se esistono elementi che suggeriscono un collegamento con l’attività d’impresa (es. contiguità familiare, collaborazione nell’attività, ingiustificata capacità reddituale dei familiari).

Se l’Agenzia delle Entrate presume maggiori ricavi da un accertamento bancario, i costi relativi devono essere riconosciuti?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che è un obbligo per il giudice tributario considerare e determinare i costi correlati ai maggiori ricavi presunti, anche in via forfettaria. Tassare i soli ricavi presunti senza dedurre i costi violerebbe il principio costituzionale di tassazione basato sulla capacità contributiva effettiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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