Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2235 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2235 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 292/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE FALLIMENTO, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
sul controricorso incidentale proposto da
RAGIONE_SOCIALE IN FALLIMENTO, elettivamente domiciliato in ROMA
INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. FOGGIA n. 1531/2014 depositata il 30/06/2014.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20/12/2023 dal Co: COGNOME NOME COGNOME;
udito il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO nella persona del AVV_NOTAIO che ha chiesto l’accoglimento del terzo motivo di ricorso;
uditi l’AVV_NOTAIO dello AVV_NOTAIO NOME COGNOME per l’RAGIONE_SOCIALE e l’AVV_NOTAIO per la società contribuente.
FATTI DI CAUSA
La soc. RAGIONE_SOCIALE (già municipalizzata) esercitava attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti per il Comune di Foggia ed era oggetto di verifica per gli anni di imposta 2006 -2009, sul cui conseguente pvc si contestavano mancata esibizione di scritture contabili, l’incongruenza fra registrazioni e relative fatture, omessa conservazione di documenti di spesa.
Sotto diverso profilo, erano contestati oneri di abbancamento di rilevante importo, sostanziandosi in lavori di sistemazione della frazione di rifiuto solido urbano affidati alla ditta RAGIONE_SOCIALE nel 2006, allibrati in contro economico e dal 2008, su perizia di stima, come immobilizzazioni materiali per investimenti duraturi nel tempo, dacché la tecnica di abbancamento con muri ad argini rinforzati avrebbe aumentato la vita utile della discarica di Passo Breccioso. Il mutamento di contabilizzazione consentiva di allocare ciò che era spesa per un appalto di servizi in attività patrimoniali
soggette ad ammortamento ed aveva così effetto benefico sul bilancio societario, scongiurando una consistente perdita di esercizio, tale da imporre gli adempimenti di cui all’art. 2446 del codice civile.
Sulla scorta del pvc, l’Ufficio disconosceva detta contabilizzazione e ricostruiva il maggior reddito della società, anche in relazione ad un contributo del Comune di Foggia, socio unico di RAGIONE_SOCIALE, allibrato come contributo in conto capitale, invece che come altro provento. Ne scaturivano tre avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2006, 2007 e 2008. Con il primo, notificato il 21 dicembre 2011, si recuperavano a tassazione minori costi per l’accantonamento al fondo di ripristino ambientale, in assenza di perizia che ne individuasse il fabbisogno; nonché quota parte dell’ammortamento dedotto sugli immobili, dacché calcolato sui terreni sui quali insistevano. Altresì si riprendevano a tassazione i maggiori redditi determinati sui corrispettivi per il conferimento dei RSU. Con l’avviso relativo all’anno 2007, per quanto maggiormente interessa il prosieguo di questo giudizio, si riprendevano a tassazione, disconoscendoli, i costi per accantonamento del fondo di ripristino ambientale, calcolati in assenza di perizia sul reale fabbisogno; altresì era disconosciuta a fini fiscali l’allibrazione a immobilizzazione dei costi sostenuti per l’abbancamento della discarica, nonché una sopravvenienza passiva per credito per il corrispettivo del trattamento verde, vantato dalla Società verso il Comune di Foggia e non onorato. Con l’avviso relativo al 2008 la ripresa aveva riguardo ancora all’ammortamento per gli oneri di abbancamento, nonché ad una quota di fondo per ripristino ambientale, in ragione della perizia medio tempore prodotta ed attinente all’effettivo fabbisogno; erano poi accertati maggiori ricavi. Alle somme così riprese a tassazione si aggiungevano ritenute non versate. Con l’avviso relativo all’anno 2009 si contestavano ritenute non versate, maggior IVA, cui si
aggiungevano sanzioni per irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o per la loro mancata esibizione.
Evocato il giudice di prossimità, le ragioni della società contribuente trovavano apprezzamento favorevole, donde ricorreva in appello l’Ufficio trovando riforma parziale della sentenza di primo grado. Segnatamente il collegio del riesame espungeva dalla propria cognizione l’avviso relativo al 2007, perché annullato in autotutela con sostituzione di altro. Quindi, per le altre riprese a tassazione, riteneva rilevante la sentenza del Tribunale di Foggia che aveva assolto gli amministratori della Società RAGIONE_SOCIALE e veniva accolto l’appello incidentale, riconoscendo la rifusione delle spese alla parte contribuente, rimasta totalmente vittoriosa in primo grado, ove erano state compensate.
Ricorre per cassazione l’Ufficio, spiegando sei motivi, cui replica la parte contribuente con controricorso ed interponendo altresì ricorso incidentale, cui risponde con tempestivo controricorso il pubblico patrono.
In prossimità dell’Udienza, il AVV_NOTAIO in persona del AVV_NOTAIO ha depositato requisitoria in forma di memoria, chiedendo l’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale, il rigetto dei restanti e del ricorso incidentale.
In prossimità dell’udienza, la parte pubblica ha depositato due memorie e la parte privata ha depositato memoria chiedendo, tra l’altro, tenersi conto della novellazione favorevole sopravvenuta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Vengono proposti sei mezzi di ricorso.
Preliminarmente va disattesa l’eccezione di improcedibilità posta a pag. 6 del controricorso societario, perché posta in forma dubitativa. In ogni caso, una copia cartacea della sentenza impugnata risulta agli atti ed è idonea ad assicurare il prosieguo del giudizio.
Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 112 stesso codice di rito per aver il secondo collegio travisato il contenuto della contestazione mossa relativamente all’indeducibilità dell’accantonamento al ‘fondo spese di ripristino ambientale’ (di cui all’art. 8, d.lgs. n. 36/2003), perché operato dalla società contribuente in assenza di perizia sulla quantificazione, ma sull’astratta debenza in quanto costo inerente all’attività svolta, ovvero una doglianza non sull’ an , ma sul quomodo .
Con il secondo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli articoli 107 e 109 del DPR 917/1986, dell’art. 2424 bis c.c., nella sostanza lamentando che la sentenza in scrutinio abbia ritenuto la deducibilità dei costi del ripristino ambientale, in quanto costo privo dei requisiti di certezza e determinabilità dell’ammontare, difettando la perizia di stima giurata. Segnatamente, si lamenta come non sia stata individuata documentazione idonea a comprovare i presupposti di deduzione per quote dell’accantonamento, non essendo previsto nel contratto di in house providing fra società e civico ente chi dovesse farsi carico degli oneri post vitam della discarica.
I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, ruotando sul comune presupposto del dovere di accantonamento dei fondi per il ripristino ambientale successivo alla conclusione dell’attività di discarica e da accantonare mentre questa produce ancora utili. Se è vero che l’accantonamento è previsto per disposizione cogente (eurounitaria e nazionale), non è men vero che nessuna disposizione richiede una valutazione con perizia giurata circa la quantificazione degli oneri da accantonare. Al contrario, secondo la sobrietà delle fonti europee, viene lasciata allo AVV_NOTAIO membro l’indicazione della quantificazione che la norma europea si limita a richiedere come adeguata al ripristino.
Sul punto è intervenuta la CGCE, con la sentenza 14 maggio 2020, su causa C -15/19, ed ha affermato che l’art. 14 della direttiva 1999/31, nella parte in cui onera le autorità competenti di predisporre un piano di riassetto per le discariche in esercizio secondo le specifiche imposte dalla direttiva, «non può essere interpretato nel senso che esso esclude le discariche preesistenti dall’applicazione di altre disposizioni di tale direttiva» (punto 40); ed in unione con gli obblighi dettati dagli artt. 13 circa i compiti di sorveglianza cui è tenuto il gestore di seguito alla chiusura e 10 circa l’estensione da dieci a trenta anni della gestione post mortem radica il convincimento -peraltro alla stregua del principio “chi inquina paga” già enunciato dalla legislazione comunitaria secondo cui il costo dello smaltimento deve gravare sul detentore -che l’adempimento degli obblighi fissati dalla direttiva, in particolare per la proroga della gestione post mortem, esiga «l’adozione di misure da parte degli Stati membri al fine di garantire che il prezzo chiesto per lo smaltimento dei rifiuti mediante deposito in discarica venga determinato in modo tale da coprire l’insieme dei costi connessi con la creazione e la gestione di una discarica». Da qui un primo corollario secondo cui «conformemente agli artt. 10, 13 e 14 della direttiva 1999/31, il gestore di una discarica in funzione al momento del recepimento di tale direttiva deve essere tenuto a garantire, per almeno 30 anni, la gestione successiva alla chiusura della discarica» (punto 45). Quindi, con un secondo corollario, circa l’applicazione degli obblighi nascenti dalla direttiva a seconda dell’epoca di conferimento dei rifiuti, «si deve rilevare che la direttiva 1999/31 non prevede un’applicazione differenziata di detti obblighi a seconda che i rifiuti siano stati conferiti e abbancati prima o dopo la scadenza del termine di recepimento di tale direttiva. Come risulta dal tenore letterale dell’articolo 10 di detta direttiva, l’obbligo di gestione successiva alla chiusura di una discarica per un periodo di almeno 30 anni concerne, in termini
generali, lo smaltimento di qualsiasi tipo di rifiuti in tale discarica» (punto 47); «di conseguenza, si deve considerare, che l’obbligo di assicurare la gestione successiva alla chiusura di una discarica per un periodo di almeno 30 anni, quale previsto dall’art. 10 della direttiva 1999/31, si applica a prescindere dal momento in cui i rifiuti sono stati destinati alla discarica. Tale obbligo riguarda, quindi, in linea di principio, la discarica di cui trattasi nel suo insieme» (punto 49). Da ultimo, si precisa, in ossequio al già ricordato principio “chi inquina paga”, che «le normative nazionali che disciplinano le discariche devono garantire che tutti i costi di gestione di tali discariche gravino effettivamente sui detentori dei rifiuti che li depositano nelle discariche ai fini del loro smaltimento» (punto 53); ed è perciò compito di ogni AVV_NOTAIO membro «aver adottato le misure necessarie a garantire che i prezzi applicati per lo smaltimento dei rifiuti depositati in una discarica coprano, in particolare, l’insieme dei costi di chiusura della discarica nonché di gestione successiva alla sua chiusura» (punto 55).
Se ne deduce che l’accantonamento di somme durante la vita della discarica e funzionali al ripristino ambientale post mortem è dovere che fa capo al gestore e che dev’essere commisurato sulla vita attiva della discarica. Si tratta quindi di somme sottratte all’imponibile per un espresso dovere di legge, mentre la loro quantificazione non prevede modalità prefissate (secondo il paradigma eurounitario, come si è detto), di talché non può esservi violazione di legge nel non aver assunto una perizia di stima non richiesta da norma imperativa. Per contro, attiene all’apprezzamento del giudice di merito, non scrutinabile in questa sede, la congruità delle somme accantonate secondo un prudente apprezzamento di bilancio.
I motivi primo e secondo non possono dunque essere accolti.
Con il terzo motivo si deduce ancora violazione ex articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa
applicazione dell’articoli 6, comma 5, del decreto legislativo 472 del 1997 e dell’articolo 2967 del codice civile per avere il giudice d’appello dichiarato non punibili le violazioni di ritardato e omesso versamento di Iva e ritenute Irpef commesse dalla società contribuente per affermata causa di forza maggiore, tale non potendosi configurare il ritardo del Comune di Foggia, soprattutto in assenza di prova da parte della contribuente di essersi attivata per ottenere il proprio credito.
Come affermato più volte da questa Corte, la causa di forza maggiore deve estrinsecarsi in fatti in elementi tali da annullare la volontà dell’agente, secondo una prospettiva di derivazione penalistica, precisando che tale non è il reiterato -e spesso notorio -comportamento delle Pubbliche amministrazioni in crisi di liquidità. Ed infatti, in tema di sanzioni tributarie, posto che il diritto sanzionatorio ha natura punitiva, la forza maggiore va intesa secondo la sua accezione penalistica, e va quindi riferita ad un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, elidendo il requisito della coscienza e volontarietà della condotta; ne consegue che non risponde a tale nozione la crisi di liquidità derivante dal reiterato, per quanto grave, inadempimento di pubbliche amministrazioni debitrici, peraltro prevedibile (cfr. Cass. V, 11111/2022; altresì, VI -5 n. 39548/2021; V, n. 2139/2020).
Donde il motivo è fondato e merita accoglimento.
Con il quarto motivo si prospetta ancora censura ex articolo 360 numero 3 cpc, nella sostanza criticando l’impugnata sentenza per aver annullato il rilievo relativo alla capitalizzazione dei costi di ampliamento della discarica. Più precisamente il patrono erariale ricorda che fino all’annualità 2006 la società avesse sostenuto oneri di abbancamento per prestazioni di servizi resi dalla società RAGIONE_SOCIALE quali corrispettivo di un appalto di servizi stipulato con quest’ultima per l’attività di lavorazione di abbancamento dei rifiuti e tali
componenti negativi di reddito erano confluiti nel conto economico quali spese di esercizio. Mentre solo a partire dal 2008, la società contribuente -in forza di perizia giurata e nonostante il parere contrario della società di revisione -mutava la tecnica di contabilizzazione, capitalizzando i costi sostenuti in considerazione del fatto che la tecnica di abbancamento utilizzata dalla società costruttrice RAGIONE_SOCIALE, realizzando muri e argini rinforzati, recuperava volumetria aumentando la vita utile della discarica.
Con apprezzamento di merito non scrutinabile in questa sede, il Collegio d’appello ha criticamente valutato e fatta propria la conclusione del giudice penale nel parallelo giudizio avente ad oggetto i medesimi fatti, ove è stata ritenuta conforme al pubblico interesse una tecnica di collocazione che -per razionalizzazione dello spazio utilizzato -abbia aumentato la vita della discarica di Passo Breccioso, concretandosi in un miglioramento del bene immobile/strumentale principale della società RAGIONE_SOCIALE, precisando che solo all’accertamento con perizia giurata dell’ing. COGNOME è seguita la presa d’atto di un effettivo allungamento di vita della discarica, donde il mutamento di contabilizzazione da costo per il corrispettivo dell’appalto di lavori a immobilizzazione. Peraltro, è fondata l’eccezione del difensore privato ove rappresenta come la censura non si confronti con l’ulteriore ratio decidendi della sentenza in scrutinio, ove afferma che la riqualificazione degli oneri di abbancamento quali costi pluriennali riversabili in più anni, permette il calcolo delle relative quote di ammortamento deducibili, escludendo quindi trattarsi di elementi passivi fittizi (cfr . pag. 12 e 13 sentenza in esame).
Neppure il quarto motivo, pertanto, può essere accolto.
Con il quinto motivo si prospetta censura ex articolo 360 numero 4 cpc per violazione dell’articolo 132 dello stesso codice di rito, nella sostanza lamentando motivazione apparente ove il giudice di appello siasi limitato a ritenere corretta la decisione di
primo grado, circa la detrazione di quote di ammortamento dei terreni sui quali insistono degli immobili, insufficiente essendo la citazione della prima sentenza, ritenuta sufficiente per aver affermato che la quota di ammortamento ‘è stata regolarmente inserita tra le variazioni in aumento di cui al rigo R.F. 25 (ammortamenti non deducibili) del Mod. Unico, recante la somma di euro 17.830,00’. Il motivo è fondato, non potendosi dedurre dal rinvio alla sentenza di primo grado le ragioni per le quali il collegio d’appello abbia ritenuto deducibile la quota di ammortamento degli immobili senza aver scorporato i terreni, per quale ragione debba ritenersi corretta l’iscrizione della prefata cifra nel rigo R.F. 25, nonché quale attinenza abbia detta iscrizione con lo scorporo o meno del valore dei terreni dagli edifici da ammortizzare. In questo senso, la motivazione si estrinseca in lemmi insuscettibili di ricostruire il percorso logico seguito dal giudicante. Deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI -5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI -5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr . Cass V,
n. 24313/2018). Infatti, per questa Suprema Corte di legittimità, la motivazione per relationem “è legittima soltanto nel caso in cui a) si riferisca ad una sentenza che abbia già valore di giudicato tra le parti b) ovvero riproduca la motivazione di riferimento, autonomamente ed autosufficientemente recepita e vagliata nel contesto della motivazione condizionata” (Cass., S.U. n.14815/2008). Inoltre, si è affermato che, nel processo tributario, la motivazione di una sentenza può essere redatta “per relationem” rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purché resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico -giuridica. La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. VI -5, n. 107/2015; n. 5209/2018; n. 17403/2018; n. 21978/2018). Deve, poi, considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Cass. VI – 5, n. 22022/2017).
Il quinto motivo è dunque fondato e merita accoglimento.
Con il sesto ed ultimo motivo si prospetta censura ex articolo 360 numero 3 c pc per violazione dell’articolo 9 del decreto legislativo n. 471 del 1997, perché la CTR ha annullato le sanzioni irrogate in base alla stessa norma, rilevando che non può applicarsi la sanzione prevista per la mancata esibizione di scritture contabili
non obbligatorie (di cui sia provata l’esistenza) al rifiuto di esibire libri sociali cui all’articolo 2421 del codice civile. Il motivo non merita accoglimento, poiché la CTR si è attenuta al principio di specialità normativa nel sistema penale e sanzionatorio, per cui altro è rifiutare l’esibizione di scritture contabili non obbligatorie (e fiscalmente rilevanti), altro la mancata produzione dei libri sociali, che sono obbligatori, ma che restano attratti alla disciplina del codice civile e, per esso, dell’art. 2421 del codice civile.
Anche il sesto motivo è quindi infondato, donde il ricorso principale trova accoglimento limitatamente per le ragioni attinte dai motivi terzo e quinto.
Si può ora esaminare il ricorso incidentale di parte contribuente, fondato su unico motivo, ove si lamenta censura ex art. 360 n. 5 c.p.c. per omesso esame di fatto controverso ed essenziale ai fini del decidere, sostanzialmente lamentando che il maggior ricavo accertato con metodo analitico induttivo dovesse essere escluso poiché frutto di moltiplicazione del rifiuto conferito in ragione di anno, sulla base della tariffa approvata, non considerando quanti altri utenti del servizio avessero stipulato convenzioni ad hoc , calcolando il corrispettivo a priori, invece che a consuntivo.
Il motivo si sostanzia nella doglianza di mancato esame, per poi criticare la sentenza per non aver ritenuto provate le circostanze dedotte dalla contribuente, scarrocciando coì il motivo di ricorso nell’inammissibile richiesta di riesame del merito. Ed infatti, è appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in
sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico -formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità, la coerenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
In definitiva il ricorso principale è fondato per le ragioni attinte dai motivi terzo e quinto, mentre il ricorso incidentale è inammissibile. La sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice di merito che terrà conto, altresì, dell’intervenuta legislazione eventualmente più favorevole alla parte privata.
P.Q.M.
accoglie il terzo ed il quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri; dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per la Puglia -Foggia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 20/12/2023.