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Abuso del diritto: vendita e riacquisto tra consociate

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8831/2024, ha definito un caso di abuso del diritto in materia fiscale. Una società immobiliare aveva venduto e, dopo soli venti giorni, riacquistato a un prezzo superiore un terreno da una società riconducibile allo stesso gruppo familiare. L’operazione, generando una perdita fittizia, mirava a ridurre l’imponibile fiscale. La Corte ha confermato la natura elusiva dell’operazione, sottolineando che l’assenza di valide ragioni economiche e lo scopo predominante di ottenere un risparmio d’imposta integrano la fattispecie di abuso del diritto, a prescindere dal fatto che l’operazione non fosse esplicitamente prevista dalle norme antielusive.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Abuso del Diritto: La Cassazione sulla Vendita e Riacquisto tra Società Collegate

L’ordinanza n. 8831/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sul concetto di abuso del diritto in materia fiscale. Il caso analizza una classica operazione di vendita e riacquisto di un immobile tra società appartenenti allo stesso gruppo, evidenziando come l’assenza di una reale sostanza economica possa portare alla contestazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Questa decisione ribadisce principi fondamentali sulla pianificazione fiscale e sui limiti che essa non deve superare per non sfociare nell’elusione.

I Fatti: Una Rapida Operazione Immobiliare tra Società Collegate

Una società immobiliare (la “Ricorrente”) effettuava due operazioni negoziali in un arco temporale molto ristretto, appena venti giorni. Inizialmente, vendeva un terreno edificabile a un’altra società (l'”Acquirente”) per un corrispettivo di circa 461.000 euro. Successivamente, la stessa Ricorrente riacquistava il medesimo terreno dall’Acquirente per un prezzo maggiorato di 550.000 euro.

È emerso che entrambe le società erano riconducibili a un unico gruppo familiare. L’operazione, di per sé, generava per la Ricorrente una perdita di circa 88.000 euro, pari alla differenza tra il costo di riacquisto e il prezzo della prima vendita. Tale perdita è stata utilizzata per abbattere l’imponibile fiscale, con un conseguente risparmio su Ires, Irap e Iva.

La Contestazione dell’Agenzia delle Entrate e l’Abuso del Diritto

L’Agenzia delle Entrate ha contestato l’operazione, qualificandola come una fattispecie elusiva finalizzata a un indebito risparmio d’imposta. Secondo l’Ufficio, la concatenazione degli atti era priva di una valida ragione economica e aveva come unico scopo quello di creare artificialmente un costo deducibile. La vicinanza temporale tra vendita e riacquisto e il legame tra le società coinvolte sono stati considerati forti indizi dell’intento elusivo.

La società contribuente si è difesa sostenendo la presenza di valide ragioni economiche, adducendo una non meglio specificata “minacciata aggressione di un fornitore”. Ha inoltre argomentato che, considerando l’intera operazione nel suo complesso (inclusi altri costi e rimanenze finali), il risultato finale era in pareggio, escludendo così un vantaggio fiscale netto. Infine, ha sostenuto che l’operazione non rientrava nell’elenco tassativo delle fattispecie previste dalla normativa antielusiva dell’epoca (art. 37-bis del D.P.R. 600/73).

La Decisione della Cassazione e i Principi sull’Abuso del Diritto

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando le decisioni dei giudici di merito. La sentenza si basa su principi consolidati in materia di abuso del diritto, oggi codificati nell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente.

Le Motivazioni

La Corte ha chiarito che il principio dell’abuso del diritto ha una portata generale e si applica a tutte le imposte, a prescindere dal fatto che una specifica operazione sia inclusa o meno in un elenco normativo. I giudici hanno identificato i tre presupposti fondamentali per configurare un’operazione abusiva:

1. Vantaggio Fiscale Indebito: L’operazione deve consentire di ottenere un risparmio d’imposta in contrasto con la finalità delle norme fiscali.
2. Assenza di Sostanza Economica: Le operazioni devono essere prive di ragioni economiche significative, diverse dal mero risparmio fiscale. La giustificazione addotta dalla società (“minacciata aggressione di un fornitore”) è stata ritenuta generica e non provata.
3. Elemento Essenziale: Il vantaggio fiscale deve essere l’obiettivo principale e assorbente dell’intera operazione.

La Cassazione ha inoltre precisato la ripartizione dell’onere della prova: spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare lo schema elusivo e il vantaggio fiscale conseguito. Una volta fornita tale prova, spetta al contribuente dimostrare l’esistenza di ragioni economiche alternative, non marginali, che giustifichino l’operazione. In questo caso, elementi come la brevissima distanza temporale, la differenza di prezzo e l’appartenenza delle società allo stesso gruppo familiare sono stati considerati prove sufficienti a dimostrare lo schema elusivo.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un messaggio chiaro a imprese e professionisti: qualsiasi operazione economica, specialmente se posta in essere tra parti correlate, deve essere sostenuta da ragioni economiche concrete, documentabili e non marginali. La mera forma giuridica degli atti non è sufficiente a garantirne la legittimità fiscale se la sostanza dell’operazione è quella di aggirare le norme tributarie. La lotta all’abuso del diritto si fonda sulla prevalenza della sostanza sulla forma, un principio cardine per garantire l’equità e la correttezza del sistema fiscale.

Cosa si intende per abuso del diritto in ambito fiscale?
Per abuso del diritto si intende un’operazione o una serie di operazioni che, pur rispettando formalmente la legge, sono prive di sostanza economica e hanno come scopo principale quello di ottenere un vantaggio fiscale indebito, aggirando la finalità delle norme tributarie.

Un’operazione può essere considerata elusiva anche se non è espressamente vietata dalla legge?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il divieto di abuso del diritto è un principio generale dell’ordinamento. Pertanto, un’operazione può essere considerata elusiva anche se non rientra in un elenco specifico di fattispecie normativamente previste, qualora ne sussistano i presupposti (vantaggio fiscale indebito e assenza di sostanza economica).

Chi deve provare l’esistenza di un’operazione abusiva?
L’onere di provare il disegno elusivo, le modalità dell’operazione e il conseguente vantaggio fiscale spetta all’Amministrazione Finanziaria. Una volta che l’Amministrazione ha fornito tale prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’esistenza di valide e non marginali ragioni economiche a sostegno dell’operazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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