Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6743 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6743 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 2694/2022, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi, per procura in calce al controricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliati presso il loro studio in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 94/1/2021 della Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia, depositata il 15 giugno 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME il quale ha concluso per il rigetto del ricorso principale con assorbimento di quello incidentale condizionato.
Rilevato che:
L’Amministrazione finanziaria notificò quattro avvisi di accertamento a NOME COGNOME, riprendendo a tassazione un maggior reddito a fini Irpef per gli anni di imposta 2011-2014, e un avviso di accertamento ad NOME COGNOME, con la medesima ripresa per l’anno 2011, all’esito di verifica che aveva interessato il gruppo di società riconducibile ai predetti contribuenti e dalla quale era scaturita la contestazione di un’operazione di leverage cash out connotata da finalità elusive.
Più in particolare, l ‘operazione contestata era caratterizzata da tali scansioni:
RAGIONE_SOCIALE -società a ristretta base partecipativa della quale i contribuenti, soci di maggioranza e appartenenti allo stesso gruppo familiare, detenevano il 27% delle quote ciascuno -era titolare della quasi totalità delle partecipazioni nelle altre società del gruppo e negli anni aveva incrementato le proprie riserve straordinarie prevalentemente tramite gli utili corrisposti dalle partecipate;
il 28 ottobre 2010 i soci di RAGIONE_SOCIALE avevano rivalutato le proprie partecipazioni societarie ai sensi degli artt. 5 e 7 della l. n. 448/2001 e 2 del d.l. n. 2828/2002, allineandone il valore a quello di mercato, mediante il pagamento rateizzato dell’imp osta sostitutiva (pari al 4%
per le quote qualificate, detenute dai soci COGNOME, e al 2% per le quote di minoranza, detenute dai restanti soci estranei al gruppo familiare);
il 7 dicembre 2010 i soci di maggioranza avevano costituito una nuova società, la RAGIONE_SOCIALE (in seguito mutata in RAGIONE_SOCIALE), sottoscrivendo l’intero capitale sociale, alla quale poi avevano ceduto le loro quote di partecipazione per un corrispettivo pari al valore rivalutato, senza realizzare alcuna plusvalenza tassabile e pattuendo il pagamento del corrispettivo (pari ad € 80.350.000,00 ) in due rate;
allo scadere della prima rata, RAGIONE_SOCIALE aveva distribuito dividendi a RAGIONE_SOCIALE per € 2.250.000,00 prelevati dalla riserva straordinaria;
tale somma era stata impiegata dalla newco per il pagamento della rata stessa e, successivamente, dai soci per il saldo dell’imposta sostitutiva dovuta sulla rivalutazione delle partecipazioni;
per il pagamento della seconda rata era stato, invece, convenuto che lo stesso avvenisse in parte mediante versamento soci in conto capitale e in parte mediante l’emissione in favore dei cedenti di quattro prestiti obbligazionari con titoli a rimborso rateizzato ventennale, per l’estinzione dei quali RAGIONE_SOCIALE aveva poi attinto alla riserva straordinaria di RAGIONE_SOCIALE e agli utili distribuitile nel tempo dalla stessa, con conseguente sostanziale rimborso di una quota capitale dei prestiti obbligazionari sottoscritti dai soci;
-pertanto, a partire dal 2011 e fino alla sua successiva incorporazione in altra società del gruppo (avvenuta nel 2014), RAGIONE_SOCIALE aveva incassato da RAGIONE_SOCIALE i dividendi detassati per il 95% ai sensi dell’art. 89 del TUIR e li aveva utilizzati per estinguere i debiti obbligazionari contratti con i cedenti mediante pagamento rateale, con corresponsione di interessi deducibili da parte
dell’emittente e non tassati per i percettori, in quanto costituenti corrispettivo di cessione.
Siffatta operazione, ad avviso dell’Ufficio, aveva consentito che i soci di RAGIONE_SOCIALE entrassero nella disponibilità degli utili e delle riserve della società senza scontare la tassazione connessa alla loro natura di dividendi, ciò che ne disvelava l’inten to elusivo della disposizione di cui all’art. 47 del TUIR; in altri termini, l’operazione era volta al fine di incamerare gli utili da partecipazione spettanti a RAGIONE_SOCIALE trasformandoli in parte in titoli obbligazionari produttivi di interessi deducibili dall’emittente, e in parte in apporti di capitale nella newco detassati all’atto della loro distribuzione, con ciò connotandosi come abuso del diritto ai sensi dell’art. 10 -bis della l. n. 212/2000.
Gli atti impositivi furono separatamente impugnati da NOME COGNOME innanzi alla C.T.P. di Udine, che ne riconobbe le ragioni, e da NOME COGNOME innanzi a quella di Trieste, che si pronunziò, invece, a favore dell’Erario.
I successivi, contrapposti appelli, riuniti innanzi alla C.T.R. del Friuli-Venezia Giulia, furono decisi con la sentenza indicata in epigrafe, favorevole ai contribuenti.
I giudici regionali, dopo aver ricostruito i termini della complessa operazione, rilevarono che essa aveva sostanzialmente condotto alla strutturazione di un debito a carico della newco che quest’ultima aveva pagato secondo la normale gestione d’impresa, contabilizzando come componente positiva nel conto profitti e perdite l’incasso delle riserve e dei successivi dividendi; ciò consentiva di ritenere che tale società costituisse una realtà effettiva, con riflessi contabili e fiscali nei confronti dei soci, in grado di valorizzare l’importo delle quote rivalutate ed aggiornate di V.Ar.Fin.
Rilevarono inoltre, procedendo a un’indagine sulle ragioni dell’operazione posta in essere dai contribuenti come soci di maggioranza della predetta società, che l’operazione aveva loro consentito di programmare la restituzione di una parte cospicua del valore delle loro partecipazioni attraverso la liquidità immediatamente acquisita e quella sperata nel periodo di ammortamento del prestito obbligazionario.
Ritennero, conseguentemente, che non sussistessero i presupposti per configurare l’ipotizzato abuso, come identificati dalla giurisprudenza di legittimità nell’assenza di reale e consistente ragione economica dell’operazione e nella prova (spettante all’Uf ficio) del fatto che la stessa era sorretta dall’unico scopo di ottenere un effettivo risparmio d’imposta.
La sentenza d’appello è stata impugnata dall’Agenzia delle Entrate con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
I contribuenti hanno depositato controricorso e ricorso incidentale condizionato, anch’esso affidato a due motivi , illustrati da successiva memoria.
Il Pubblico Ministero ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte.
Considerato che:
Con il primo motivo del ricorso principale, l’Agenzia delle entrate denunzia la nullità della sentenza per apparenza della motivazione, assumendo che, nel ricostruire il flusso finanziario da RAGIONE_SOCIALE alla newco , la C.T.R. non avrebbe in alcun modo espresso le ragioni del suo convincimento in relazione alla produzione di utili futuri all’effettiva distribuzione degli stessi.
Il secondo motivo denuncia falsa applicazione dell’art. 10 -bis della l. n. 212/2000 e dell’art. 2697 c od. civ.
La sentenza impugnata è criticata nella parte in cui ha escluso la sussistenza di un abuso sul rilievo della effettiva operatività di RAGIONE_SOCIALE; tale circostanza, infatti, non sarebbe idonea a caratterizzare la sequenza negoziale come sorretta da effettive ragioni economiche, laddove, in particolare, non vale a giustificare la mancanza di un disinvestimento, i quanto i soci cedenti la partecipazione rimangono nel pieno controllo della società, solo formalmente dismessa.
Ad avviso della ricorrente, inoltre, la C.T.R. avrebbe errato nel ritenere che il naturale sbocco della rivalutazione delle partecipazioni fosse la loro cessione alla newco ; non era, infatti, necessario costituire un nuovo soggetto a tale scopo, poiché RAGIONE_SOCIALE già esercitava l’attività di assunzione di partecipazioni, presentando altresì tutti i vantaggi societari, finanziari e fiscali connessi alla sussistenza di un rapporto di controllo societario.
L’Agenzia delle entrate, inoltre, assume che il gruppo societario avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato ricorrendo al conferimento delle partecipazioni, anziché alla cessione delle stesse, con il che deduce la sussistenza di una «modalità alternativa di realizzazione dell’operazione» che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, costituisce indice sintomatico dell’esistenza di un abuso.
Ancora, si duole del fatto che la problematica cessione/conferimento sia stata affrontata esclusivamente dal punto di vista contabile, senza alcuna considerazione dei profili giuridici della vicenda.
Assume, infine, che i giudici d’appello avrebbero completamente omesso di affrontare la tematica della rivalutazione delle partecipazioni, in particolare trascurando di accertare se i soci di maggioranza avessero utilizzato tale strumento non già in conformità
alla sua funzione -che consiste nell’incentivare l’effettiva circolazione delle partecipazioni a terzi e contemporaneamente determinare un disinvestimento -ma solo a fini fiscali.
Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato, i contribuenti denunziano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., assumendo che la C.T.R. avrebbe omesso di pronunziarsi sulla loro eccezione di decadenza dell’Uff icio dal potere di accertamento per gli anni in questione, poiché le condotte contestate erano state poste in essere in un periodo d’imposta precedente a quello sottoposto a verifica.
Il secondo mezzo denunzia invece violazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973; i contribuenti, richiamate le circostanze rappresentate nella precedente censura, assumono che dovrebbe inoltre rilevarsi la scadenza del termine per l’esercizio della potestà impositiva, dovendosi retrodatare il momento iniziale della relativa decorrenza.
Il primo motivo del ricorso principale non è fondato.
Com’è noto , sussiste il vizio di nullità della sentenza per motivazione apparente quando la motivazione, «benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture» (cfr. ex plurimis , Cass. n. 6758/2022; Cass. n. 13977/2019; Cass. n. 4448/2014).
Tale fattispecie non può certo ritenersi ricorrente nel presente caso, poiché i giudici d’appello hanno reso ben intelligibili, con ampia argomentazione, le ragioni della loro decisione; prova ne sia il fatto, del resto, che la ricorrente ha poi formulato un secondo motivo di
ricorso che poggia su argomentazioni articolate e partitamente riferite ad ogni capo della decisione impugnata, dal che si deve necessariamente dedurre che la motivazione del provvedimento era, in ogni sua parte, ampiamente intelligibile.
Anche il secondo motivo del ricorso principale è infondato.
6.1. Conviene, al riguardo, procedere ad un breve inquadramento degli approdi giurisprudenziali in materia.
Secondo il costante indirizzo di questa Corte, si configura un abuso del diritto -il cui divieto costituisce, in materia tributaria, principio generale antielusivo -quando l’operazione economica è volta al conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante un uso distorto, ancorché non contrastante con alcuna disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione (Cass. n. 9135/2021; Cass. n. 15321/2019; Cass. n. 18632/2018).
Più specificamente, è stato affermato che «in tema di redditi d ‘ impresa, l’art. 37bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ora sostituito dall’art. 10-bis della l. n. 212/2000, non contiene un’elencazione tassativa delle fattispecie abusive, ma costituisce una norma aperta, la quale trova applicazione, alla stregua del generale principio antielusivo rinvenibile nella Costituzione e nelle indicazioni della raccomandazione n. 2012/772/UE, in presenza di una o più costruzioni di puro artificio che, realizzate al fine di eludere l’imposizione, siano prive di sostanza commerciale ed economica, ma produttive di vantaggi fiscali» (Cass. n. 4631/2023; Cass. n. 2224/2021).
In sintesi, questa Corte ha affermato che, onde integrare gli estremi del comportamento abusivo, un ‘operazione economica , valutata tenendo conto sia della volontà delle parti sia del contesto fattuale e giuridico, deve porre quale suo elemento predominante e
assorbente lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non si applica se l’operazione può spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta (così Cass. n. 25972/2014; più di recente, v. Cass. n. 22072/2024).
In particolare, con riguardo ai processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale effettuati nell’ambito di grandi gruppi di imprese, il divieto di comportamenti abusivi, fondati sull’assenza di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, «non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta, poiché va sempre garantita la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un differente carico fiscale» (Cass. n. 439/2015).
Spetta all’Amministrazione la prova del disegno elusivo e delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato (Cass. n. 1465/2009), mentre il contribuente ha l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche che giustifichino un’operazione così strutturat a qualora l’Ufficio alleghi l’esistenza di un adeguato strumento giuridico, alternativo a quello scelto dai contraenti, che sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito (Cass. n. 21390/2012).
6.2. Tracciate tali coordinate, e venendo alla presente vicenda, l’Amministrazione assume che attraverso la costituzione di RAGIONE_SOCIALE e la cessione alla stessa delle rivalutate partecipazioni in RAGIONE_SOCIALE -pattuita con previsione del pagamento di parte del corrispettivo mediante emissione di prestiti obbligazionari da
rimborsare ratealmente -i contribuenti avrebbero ottenuto la ‘monetizzazione’ degli utili di quest’ultima società.
Gli stessi, infatti, confluendo nella newco , non sarebbero stati sottoposti al regime impositivo proprio dei dividendi, ciò che, a dire della stessa Amministrazione, non si sarebbe verificato laddove, in luogo della cessione delle quote, queste fossero state conferite nel patrimonio di RAGIONE_SOCIALE.
6.3. Il Collegio non è di questo avviso.
Invero, in ordine alla ricostruzione della complessiva operazione, i giudici d’appello hanno affermato che:
essa era « finalizzata al trasferimento da parte di tutti i soci, secondo le rispettive quote possedute nella RAGIONE_SOCIALE, ad una nuova società costituita subito dopo e con pari oggetto sociale, dai soli tre fratelli COGNOME »;
per effetto del meccanismo negoziale congegnato, i predetti COGNOME si trovavano contemporaneamente ad essere soci e creditori della nuova società RAGIONE_SOCIALE;
il debito veniva saldato mediante pagamento in denaro liquido della prima rata e, quanto al residuo, mediante emissione di prestiti obbligazionari, « previa conversione dei soli soci Vescovini di una parte del loro credito in capitale sociale e riserve »; tale pagamento, beninteso, veniva effettuato dalla nuova società « attraverso la normale gestione d’impresa secondo il proprio oggetto sociale », in particolare attingendo alle riserve in sospensione d’imposta;
ciò consentiva, in particolare, che RAGIONE_SOCIALE restituisse nel tempo il patrimonio netto già posseduto dai fratelli COGNOME senza intaccare le partecipazioni nominali di questi ultimi nella newco ; in altri termini, tutti i soci della cedente RAGIONE_SOCIALE sarebbero stati saldati nel
tempo, ma « i soli Vescovini avrebbero mantenuta inalterata la loro partecipazione »;
-l’operazione realizzata costituiva, pertanto, « l’unico strumento in grado di valorizzare l’importo delle quote rivalutate ed aggiornate nella V.Ar.Fin. », mediante la liquidazione dei soci di minoranza della stessa e, al contempo, la creazione di un nuovo soggetto imprenditoriale di pertinenza del solo gruppo familiare;
-in particolare, l’operazione consentiva che i Vescovini restituissero « una parte cospicua del valore delle proprie partecipazioni attraverso la liquidità immediatamente acquisita e quella sperata nel periodo di ammortamento del prestito obbligazionario »; l’obiettivo dell’operazione, pertanto, « non riguarda tecnicamente la distribuzione degli utili di esercizio, ma l’impiego della liquidità di esercizio »;
-pertanto, l’operazione realizzata non comportava, in sé, alcun vantaggio fiscale apprezzabile che la rendesse preferibile al conferimento di quote, realizzando entrambe le operazioni « un drenaggio di liquidità che non condiziona il risultato di esercizio bensì -in caso positivo -la relativa assegnazione ».
6.4. Questa ricostruzione dei fatti accertati, operata dai giudici d’appello nell’ottica della fattispecie denunziata dall’Erario, conduce ad escludere la sussistenza di un abuso, avuto riguardo ai principi richiamati.
Ciò che emerge, infatti, è un ‘operazione supportata non solo dall’intento di risparmiare un’ imposta, ma da ben altre ragioni economiche; più specificamente, la scansione delle operazioni poste in essere -dapprima la rivalutazione delle partecipazioni nella capogruppo, quindi la cessione delle stesse alla newco costituita dai soli Vescovini -appariva indicativa della volontà di questi ultimi di
procedere a una riorganizzazione del gruppo che valorizzasse i soci appartenenti al medesimo nucleo familiare.
A tale ratio giustificativa si aggancia la scelta di procedere, poi, al finanziamento della cessione mediante l’emissione di titoli obbligazionari; ciò permetteva, al contempo, la liquidazione dei soci ‘non familiari’ (non interessati alla costituzione della nuova holding strumentale al complessivo riassetto del gruppo), consentendo l’aumento del patrimonio netto della newco in dipendenza del fatto che il corrispettivo di spettanza dei soci COGNOME sarebbe stato postergato nel tempo e vincolato all’effett ivo conseguimento di utili da parte della società.
Quest’ultimo rilievo, peraltro, pone in luce la specifica utilità dell’operazione realizzata in luogo di quella che avrebbe potuto apportare un semplice conferimento: in quest’ultimo caso, infatti, e come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata, solo una quota delle azioni conferite avrebbe potuto essere imputata a capitale sociale, mentre il residuo sarebbe stato qualificabile come riserva di capitale distribuibile ai soci senza alcuna tassazione.
Il quadro che emerge da tali complessivi rilievi è, dunque, quello di un’operazione caratterizzata da un’ apprezzabile sostanza economica, costituita da singole scansioni tutte poste in essere in forza di specifiche disposizioni di legge aventi finalità agevolative; dal che deve escludersi la sussistenza del denunziato abuso del diritto, come correttamente rilevato dalla sentenza d’appello .
Il ricorso principale va dunque disatteso; ciò rende superfluo lo scrutinio del ricorso incidentale condizionato.
L’Agenzia delle entrate va condannata al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.
Trattandosi di amministrazione dello Stato patrocinata dall’Avvocatura generale, essa non va invece condannata al pagamento dell’importo previsto dall’art. 13, commi 1 -bis e 1quater , del d.P.R. n. 115/2002
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 11.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso forfetario e oneri accessori.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2025.