Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6741 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6741 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 2694/2022, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME e RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentati e difesi, per procura in calce al controricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati presso il loro studio in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 1492/4/2021 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna, depositata il 10 dicembre 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME il quale ha concluso per il rigetto del ricorso principale con assorbimento di quello incidentale condizionato.
Rilevato che:
L’Amministrazione finanziaria notificò ad NOME COGNOME quattro avvisi di accertamento con i quali riprendeva a tassazione un maggior reddito a fini Irpef per gli anni di imposta 2011-2014; identici avvisi furono notificati, per i medesimi periodi d’imposta , a RAGIONE_SOCIALE
Le pretese erariali scaturivano dagli esiti di una verifica che aveva interessato il gruppo di società riconducibile ad NOME COGNOME -nonché ai fratelli NOME e NOME, destinatari di identiche pretese ma residenti nel territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia -e dalla quale era scaturita la contestazione di un’operazione di leverage cash out connotata da finalità elusive.
Più in particolare, l ‘operazione contestata era caratterizzata da tali scansioni:
RAGIONE_SOCIALE società a ristretta base partecipativa della quale i contribuenti, soci di maggioranza e appartenenti allo stesso gruppo familiare, detenevano il 27% delle quote ciascuno, era titolare della quasi totalità delle partecipazioni nelle altre società del gruppo (fra cui RAGIONE_SOCIALE e negli anni aveva incrementato le proprie riserve
straordinarie prevalentemente tramite gli utili corrisposti dalle partecipate;
il 28 ottobre 2010 i soci di RAGIONE_SOCIALE avevano rivalutato le proprie partecipazioni societarie ai sensi degli artt. 5 e 7 della l. n. 448/2001 e 2 del d.l. n. 2828/2002, allineandone il valore a quello di mercato, mediante il pagamento rateizzato dell’imp osta sostitutiva (pari al 4% per le quote qualificate, detenute dai soci Vescovini, e al 2% per le quote di minoranza, detenute dai restanti soci estranei al gruppo familiare);
il 7 dicembre 2010 i soci di maggioranza avevano costituito una nuova società, la RAGIONE_SOCIALE (in seguito mutata in RAGIONE_SOCIALE), sottoscrivendo l’intero capitale sociale, alla quale poi avevano ceduto le loro quote di partecipazione per un corrispettivo pari al valore rivalutato, senza realizzare alcuna plusvalenza tassabile e pattuendo il pagamento del corrispettivo (pari ad € 80.350.000,00 ) in due rate;
allo scadere della prima rata, RAGIONE_SOCIALE aveva distribuito dividendi a RAGIONE_SOCIALE per € 2.250.000,00 prelevati dalla riserva straordinaria;
tale somma era stata impiegata dalla newco per il pagamento della rata stessa e, successivamente, dai soci per il saldo dell’imposta sostitutiva dovuta sulla rivalutazione delle partecipazioni;
per il pagamento della seconda rata era stato, invece, convenuto che lo stesso avvenisse in parte mediante versamento soci in conto capitale e in parte mediante l’emissione in favore dei cedenti di quattro prestiti obbligazionari con titoli a rimborso rateizzato ventennale, per l’estinzione dei quali RAGIONE_SOCIALE aveva poi attinto alla riserva straordinaria di RAGIONE_SOCIALE e agli utili distribuitile nel tempo dalla stessa, con conseguente sostanziale rimborso di una quota capitale dei prestiti obbligazionari sottoscritti dai soci;
-pertanto, a partire dal 2011 e fino alla sua successiva incorporazione in altra società del gruppo (avvenuta nel 2014), RAGIONE_SOCIALE aveva incassato da RAGIONE_SOCIALE i dividendi detassati per il 95% ai sensi dell’art. 89 del TUIR e li aveva utilizzati per estinguere i debiti obbligazionari contratti con i cedenti mediante pagamento rateale, con corresponsione di interessi deducibili da parte dell’emittente e non tassati per i perc ettori, in quanto costituenti corrispettivo di cessione.
Siffatta operazione, ad avviso dell’Ufficio, aveva consentito che i soci di RAGIONE_SOCIALE entrassero nella disponibilità degli utili e delle riserve della società senza scontare la tassazione connessa alla loro natura di dividendi, ciò che ne disvelava l’inten to elusivo della disposizione di cui all’art. 47 del TUIR; in altri termini, l’operazione era volta al fine di incamerare gli utili da partecipazione spettanti a RAGIONE_SOCIALE trasformandoli in parte in titoli obbligazionari produttivi di interessi deducibili dall’emittente, e in parte in apporti di capitale nella newco detassati all’atto della loro distribuzione, con ciò connotandosi come abuso del diritto ai sensi dell’art. 10 -bis della l. n. 212/2000.
Gli atti impositivi furono impugnati dai contribuenti innanzi alla Commissione tributaria di Reggio Emilia, che riconobbe le ragioni dell’Erario ; il successivo appello fu accolto dalla C.T.R. del l’Emilia -Romagna con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali rilevarono in premessa che la fattispecie di abuso del diritto non sussiste ove l’operazione sia stata posta in essere in presenza di ragioni extrafiscali non marginali; nella specie, invece, l’operazione era sorretta dal triplice scopo di: (a) liquidare i soci non interessati al rilancio industriale e finanziario del gruppo, reso necessario dalla crisi del settore di riferimento (meccanica); (b)
incrementare il patrimonio netto per poter più agevolmente ricorrere al credito bancario; (c) costituire una holding familiare.
La sentenza d’appello è stata impugnata dall’Agenzia delle Entrate con ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
I contribuenti hanno depositato controricorso e ricorso incidentale condizionato, anch’esso affidato a un solo motivo, illustrato da successiva memoria.
Il Pubblico Ministero ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte.
Considerato che:
L’unico mezzo del ricorso principale denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 10 -bis della l. n. 212/2000.
Ad avviso della ricorrente, i giudici d’appello avrebbero errato nel considerare atomisticamente le singole scansioni dell’articolata operazione negoziale, anziché tutta questa nel suo complesso, ciò che avrebbe consentito di ravvisarne gli estremi dell’ab uso contestato.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale i contribuenti denunziano la violazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 , dolendosi del fatto che la C.T.R. non aveva accolto la loro eccezione di decadenza dell’Amministrazione dalla potestà impositiva, essendo spirato il termine previsto dalla disposizione invocata.
Il ricorso principale non è fondato.
3.1. Conviene, al riguardo, procedere ad un breve inquadramento degli approdi giurisprudenziali in materia.
Secondo il costante indirizzo di questa Corte, si configura un abuso del diritto -il cui divieto costituisce, in materia tributaria, principio generale antielusivo -quando l’operazione economica è volta al conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante un uso distorto, ancorché non contrastante con alcuna disposizione normativa, di
strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione (Cass. n. 9135/2021; Cass. n. 15321/2019; Cass. n. 18632/2018).
Più specificamente, è stato affermato che «in tema di redditi d ‘ impresa, l’art. 37bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ora sostituito dall’art. 10-bis della l. n. 212/2000, non contiene un’elencazione tassativa delle fattispecie abusive, ma costituisce una norma aperta, la quale trova applicazione, alla stregua del generale principio antielusivo rinvenibile nella Costituzione e nelle indicazioni della raccomandazione n. 2012/772/UE, in presenza di una o più costruzioni di puro artificio che, realizzate al fine di eludere l’imposizione, siano prive di sostanza commerciale ed economica, ma produttive di vantaggi fiscali» (Cass. n. 4631/2023; Cass. n. 2224/2021).
In sintesi, questa Corte ha affermato che, onde integrare gli estremi del comportamento abusivo, un ‘operazione economica , valutata tenendo conto sia della volontà delle parti sia del contesto fattuale e giuridico, deve porre quale suo elemento predominante e assorbente lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non si applica se l’operazione può spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta (così Cass. n. 25972/2014; più di recente, v. Cass. n. 22072/2024).
In particolare, con riguardo ai processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale effettuati nell’ambito di grandi gruppi di imprese, il divieto di comportamenti abusivi, fondati sull’assenza di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, «non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta, poiché va sempre garantita la libertà di scelta del contribuente tra diverse
operazioni comportanti anche un differente carico fiscale» (Cass. n. 439/2015).
Spetta all’Amministrazione la prova del disegno elusivo e delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato (Cass. n. 1465/2009), mentre il contribuente ha l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche che giustifichino un’operazione così strutturat a qualora l’Ufficio alleghi l’esistenza di un adeguato strumento giuridico, alternativo a quello scelto dai contraenti, che sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito (Cass. n. 21390/2012).
3.2. Tracciate tali coordinate, e venendo alla presente vicenda, l’Amministrazione assume che attraverso la costituzione di RAGIONE_SOCIALE e la cessione alla stessa delle rivalutate partecipazioni in RAGIONE_SOCIALE -pattuita con previsione del pagamento di parte del corrispettivo mediante emissione di prestiti obbligazionari da rimborsare ratealmente -i contribuenti avrebbero ottenuto la ‘monetizzazione’ degli utili di quest’ultima società.
Gli stessi, infatti, confluendo nella newco , non sarebbero stati sottoposti al regime impositivo proprio dei dividendi, ciò che, a dire della stessa Amministrazione, non si sarebbe verificato laddove, in luogo della cessione delle quote, queste fossero state conferite nel patrimonio di RAGIONE_SOCIALE.
3.3. Il Collegio non è di questo avviso.
Invero, e come si è già rilevato, i giudici d’appello hanno ritenuto sussistenti le circostanze dedotte dai contribuenti a fondamento dell’operazione infragruppo, rappresentando poi la sussistenza di una serie di indicatori dell’effettiva corrispondenza di tali fi nalità con la realtà effettiva dell’operazione, quali:
-il fatto che l’operazione aveva consentito un aumento del patrimonio netto;
il corrispondente incremento dei finanziamenti bancari, con ampliamento del ricorso al credito;
-in via ulteriormente derivata, l’aumento del fatturato consolidato e degli utili ante imposte.
Gli stessi giudici, inoltre, hanno rilevato che la creazione di nuova capacità patrimoniale in capo ai soci di maggioranza aveva consentito l’agevole liquidazione di quelli di minoranza, e che agli stessi esiti non si sarebbe potuti pervenire per la via naturale del conferimento delle azioni, operazione -quest’ultima che avrebbe fra l’altro imposto il deposito della relazione peritale di stima presso il Registro delle Imprese che i soci intendevano legittimamente scongiurare per la possibilità che si rendessero così pubbliche informazioni invece riservate.
3.4. Questa ricostruzione dei fatti designa l’insussistenza de lla fattispecie denunziata dall’Erario .
In particolare, è emerso che l’operazione non era motivata da un solo risparmio di imposta, ma supportata da altre ragioni economiche; più specificamente, la scansione delle operazioni poste in essere -dapprima la rivalutazione delle partecipazioni nella capogruppo, quindi la cessione delle stesse alla newco costituita dai soli Vescovini -appariva indicativa della volontà di procedere ad una riorganizzazione del gruppo che valorizzasse i soci appartenenti al medesimo nucleo familiare.
A tale ratio giustificativa si aggancia la scelta di procedere, poi, al finanziamento della cessione mediante l’emissione di titoli obbligazionari; ciò consentiva, al contempo, la liquidazione dei soci ‘non familiari’ (non interessati alla costituzione della nuova holding
strumentale al complessivo riassetto del gruppo), consentendo l’aumento del patrimonio netto della newco in dipendenza del fatto che il corrispettivo di spettanza dei soci COGNOME sarebbe stato postergato nel tempo, e vincolato all’effettivo conseguimento di utili da parte della società.
Quest’ultimo rilievo, peraltro, pone in luce la specifica utilità dell’operazione realizzata in luogo di quella che avrebbe potuto apportare un semplice conferimento: in quest’ultimo caso, infatti, solo una quota delle azioni conferite avrebbe potuto essere imputata a capitale sociale, mentre il residuo sarebbe stato qualificabile come riserva di capitale distribuibile ai soci senza alcuna tassazione; e ciò in disparte l’ulteriore rilievo concernente il legittimo intento dei soci di non procedere al deposit o di cui all’art. 2343 cod. civ.
Il quadro che emerge da tali complessivi rilievi è, dunque, quello di un’operazione caratterizzata da un’ apprezzabile sostanza economica, costituita da singole scansioni tutte poste in essere in forza di specifiche disposizioni di legge aventi finalità agevolative; dal che deve escludersi la sussistenza del denunziato abuso del diritto, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata.
Il ricorso principale va dunque disatteso; ciò rende superfluo lo scrutinio del ricorso incidentale condizionato.
L’Agenzia delle entrate va condannata al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.
Trattandosi di amministrazione dello Stato patrocinata dall’Avvocatura generale, essa non va invece condannata al pagamento dell’importo previsto dall’art. 13, commi 1 -bis e 1quater , del d.P.R. n. 115/2002
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 11.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso forfetario e oneri accessori.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2025.