Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11758 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 11758 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
Abuso del dirittoart. 10-bis legge n. 212/2000
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20797/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., rappresentata e difes a dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore ;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 5625/2018 depositata in data 28/12/2018, non notificata;
udita la relazione della causa tenuta nella pubblica udienza del 24/01/2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME udito il sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME per la ricorrente società; udito l’avv. NOME COGNOME per l’Avvocatura generale dello Stato;
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate, Direzione regionale della Lombardia, emetteva un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2010 nei confronti della BNP Paribas Cardif Vita Compagnia di assicurazione e riassicurazione s.p.a., contestando ai sensi dell’art. 10bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’indebita deduzione di minusvalenze, con ripresa a tassazione dell’importo delle medesime ai fini dell’Ires, in riferimento a operazioni finanziarie di vendita e contestuale riacquisto di alcuni titoli azionari iscritti nell’attivo circolante; la contestualità delle operazioni di vendita e riacquisto, realizzate con una società appartenente allo stesso gruppo, nello stesso giorno e allo stesso prezzo, manifestava l’intento elusivo e la finalizzazione dell ‘o perazione alla sola deduzione delle minusvalenze, altrimenti vietata dall’art. 110, comma 1, t.u.i.r., che prevede che « il costo delle azioni… si intende non comprensivo dei maggiori o minori valori iscritti i quali non concorrono alla formazione del reddito»; in forza di tale contestazione, l’avviso rettificava le perdite dichiarate dalla società per l’anno in questione, riducendole da euro 53.039.400,00 ad euro 37.489.533,00.
Contro tale avviso la società proponeva ricorso che la Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello principale dell’ufficio, relativamente al merito della ripresa, e rigettava quello incidentale della parte privata, relativamente alla sussistenza della decadenza; in particolare, quanto alla insussistenza
della decadenza dell’ufficio dal potere di accertamento, ai sensi dell’art. 10bis , comma 7, della legge n. 212 del 2000, evidenziava che tale disposizione consente all’ufficio di replicare ai chiarimenti forniti dal contribuente nel rispetto del principio del contraddittorio per cui nel caso in esame l’avviso di accertamento notificato al contribuente il 5/02/2016 era tempestivo con riferimento ai 60 giorni indicati dalla disposizione; riguardo al merito, dopo aver illustrato la disciplina dell’art. 10bis della legge n. 212 del 2000, evidenziava che l’operazione era evidentemente elusiva in considerazione del fatto che l’acquisto e la vendita dei titoli erano avvenuti contestualmente, alla medesima data e ora, e con la medesima controparte, appartenente al gruppo della verificata; che infine l’acquisto e la vendita dei titoli erano avvenuti al medesimo prezzo al lordo delle commissioni di intermediazione; in base a tali circostanze nessun effettivo realizzo era avvenuto in quanto la contribuente aveva conservato nel proprio portafoglio i titoli in oggetto e l’apparente cessione aveva avuto come fine quello di aggirare la norma riguardo alla indeducibilità della svalutazione dei titoli mentre la deduzione della minusvalenza sarebbe stata legittima ove la cessione fosse stata realizzata nei confronti di terzi con l’uscita definitiva dei titoli compravenduti dal relativo portafoglio; riteneva infine che le questioni sopra esaminate fossero assorbenti di tutte le altre questioni ed eccezioni sollevate dalle parti.
Contro tale sentenza la società ha proposto ricorso affidato a dieci motivi, illustrati da successiva memoria.
L ‘Agenzia delle entrate non ha resistito con controricorso.
La causa è stata rimessa alla pubblica udienza del 24/01/2025 ove le parti hanno discusso e il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., la società deduce la violazione del comma 7 dell’art. 10 -bis dello Statuto del contribuente, censurando la decisione laddove ha ritenuto che l’amministrazione possa sempre e comunque avvalersi della proroga del termine di decadenza per la notifica dell’atto impositivo in tema di abuso del diritto in quanto tale facoltà spetta solo se la prossimità della scadenza del termine di decadenza non le consente di instaurare il contraddittorio preventivo. Deduce, in particolare, che l’ufficio aveva avuto notizia dalla Guardia di finanza dei fatti posti a base della richiesta di chiarimenti e poi dell’avviso, in data 16 settembre 2014 , data di notifica del PVC, per poi attendere fino al 13 ottobre 2015 per richiedere i chiarimenti.
La ricorrente evidenzia che ove l’interpretazione non fosse quest’ultima, la norma sarebbe incostituzionale, sia in riferimento all’art. 76 Cost., per eccesso di delega rispetto all’art. 5 della legge n. 23 del 2014, non avendo previsto il legislatore alcun intervento sui termini dell’e sercizio del potere di accertamento e senza che tale proroga possa essere ritenuta un coerente sviluppo delle scelte espresse dal delegante, sia in riferimento all’art. 3 Cost., e ciò per due ragioni: a) in quanto sarebbe irragionevole rispetto alla finalità che la delega intendeva perseguire, che nel caso di specie era tutelare il diritto di difesa del contribuente prima dell’avviso di accertamento ; b) in quanto creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento del termine di decadenza in caso di accertamento antiabuso rispetto ad altri casi di accertamento con contraddittorio preventivo.
1.1. Il motivo non è fondato.
L’art. 10 -bis dello Statuto del contribuente, come novellato dal d.lgs. n. 128/2015, nel regolare l’istituto del contraddittorio nel procedimento di accertamento in tema di abuso del diritto, prevede l’obbligo dell’amministrazione di richiedere chiarimenti al contribuente
e a seguire che «La richiesta di chiarimenti è notificata dall’amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell’atto impositivo. Tra la data di ricevimento dei chiarimenti ovvero di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per rispondere alla richiesta e quella di decadenza dell’amministrazione dal potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrono non meno di sessanta giorni. In difetto, il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a concorrenza dei sessanta giorni».
La disposizione, quindi, prevede espressamente una (limitata) proroga dei termini di accertamento, proroga che è ancorata esclusivamente alla necessità di instaurazione preventiva del contraddittorio prevista dal legislatore in tale ipotesi e che è funzionale a consentire un effettivo esame dei chiarimenti esposti dal contribuente, e non è subordinata alla circostanza che vi sia stata conoscenza tardiva dei fatti posti a base della pretesa.
1.2. Devono ritenersi altresì manifestamente infondate le prospettate eccezioni di illegittimità costituzionale.
1.2.1. Quanto al paventato eccesso di delega, si evidenzia che l’art. 5, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23 prevedeva che «Il Governo è delegato ad attuare, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, la revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi, coordinandoli con quelli contenuti nella raccomandazione della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012», e, alla lett. f), disponeva di «prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’amministrazione
finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario».
Questa Corte (Cass. 14/11/2024, n. 29442) ha di recente evidenziato che, in tema di eccesso di delega, deve riconoscersi comunque al legislatore delegato «un limitato margine di discrezionalità per l’introduzione di soluzioni innovative» (Corte cost. n. 94 del 2014, considerato in diritto, par. 4; Corte cost. n. 105 del 2022, punto 12), purché conformi ai principi e ai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante, i quali devono «consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare» (Corte cost. n. 158 del 1985, considerato in diritto, par. 1. 24).
In tale perimetro, unitariamente delimitato dall’oggetto della delega e dai principi e criteri direttivi, il Governo è dunque abilitato a svolgere la propria attività di «riempimento» normativo, che non consiste nella mera esecuzione delle previsioni contenute nella legge di delega, ma nello sviluppo di queste ultime (Corte cost. n. 104 del 2017; Corte cost. n. 166 del 2023, punto 3.1). Pertanto, la valutazione di conformità della legge delegata alle prescrizioni rese dal legislatore delegante deve essere effettuata operando «due processi ermeneutici paralleli» (Corte cost. n. 250 del 2016, considerato in diritto, par. 5.1; Corte cost. n. 149 del 2024, punto 3.1). Il primo riguarda la legge di delega, le cui disposizioni in tema di oggetto, principi e criteri direttivi vanno interpretate considerando anche il contesto sul quale il legislatore delegante interviene e le finalità che l’intervento normativo persegue; il secondo attiene alle norme dettate dal legislatore delegato, che devono essere interpretate nel significato compatibile con i principi e i criteri direttivi della delega.
Nel caso di specie, l’esito dei due piani d’indagine appare a questa Corte pienamente coerente, in quanto la prescrizione dettata dal
legislatore delegato in tema di termine di decadenza, è funzionale a consentire all’amministrazione di vagliare con la dovuta attenzione quanto dedotto dal contribuente nell’esercizio del contraddittorio consentitogli dalla previsione, ed appare quindi attuativa dei principi e dei criteri direttivi espressi dal legislatore delegante, con il fine di garantire l’effettività del contraddittorio medesimo.
Il che induce ad escludere anche che la previsione sia contraria all’art. 3 in quanto non coerente con la ratio della delega.
1.2.2. Quanto alla prospettata disparità di trattamento e quindi al parametro, nuovamente, dell’art. 3 Cost., la questione è prospettata in termini assolutamente generici, senza individuare le altre fattispecie destinatarie di una disciplina irragionevolmente diversa. Peraltro, previsioni in parte analoghe sono contenute nell’art. 6 -bis dello Statuto del contribuente, introdotto dal d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, in attuazione della delega di cui alla legge 9 agosto 2023, n. 111.
Occorre comunque rammentare che la Corte costituzionale (Corte cost. n. 247 del 2011) ha già precisato, in tema di termini di decadenza raddoppiati in presenza dell’obbligo di comun icazione della notizia di reato, che in questi casi non è dato parlare di una «proroga» dei termini ordinari, da disporsi a discrezione dell’amministrazione finanziaria procedente, in presenza di «eventi peculiari ed eccezionali», evidenziando che « Al contrario, i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva (allorché, cioè, sussista l’obbligo di denuncia pe nale per i reati tributari previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000), senza che all’amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione».
Tali considerazioni appaiono valide anche in riferimento al contesto normativo in esame, ove il limitato maggior termine opera in presenza della condizione obiettiva della natura della contestazione in fieri e
proprio tale presupposto esclude alcun margine di discrezionalità dell’amministrazione in materia , laddove la tesi della società contribuente invece finirebbe per rimettere ad elementi incerti l’operatività della proroga.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, p rimo comma, n. 3 cod. proc. civ., la società deduce la violazione e falsa applicazione dell’ art. 10bis dello Statuto del contribuente, laddove la CTR ha ritenuto che ai fini della configurazione dell’abuso sia sufficiente che l’operazione abbia garantito la de duzione di minusvalenze altrimenti indeducibili, mentre la norma richiede anche che il contribuente abbia conseguito un risparmio di imposta, liquidando un ‘Ires inferiore rispetto a quella che avrebbe liquidato se non avesse posto in essere le operazioni contestate; nel caso di specie:
in primo luogo, nell’anno di imposta 2010 la parte aveva conseguito solo perdite che le minusvalenze negate avevano incrementato, mentre tali perdite erano state utilizzate solo in anni successivi;
l’indebito vantaggio fiscale era escluso dal fatto che il risparmio di imposta non si è inoltre verificato in quanto nei periodi successivi la riduzione del costo fiscale di carico delle azioni è stata controbilanciata da maggiori plusvalenze o minori minusvalenze che sono state realizzate nei successivi periodi di imposta, quando cioè tali azioni sono state poi effettivamente vendute, come dimostrato dalla documentazione depositata in atti; in altri termini la riduzione delle maggiori plusvalenze del 2010 ha trovato contropartita nel 2016 nella realizzazione di plusvalenze quasi identiche.
2.1. Il motivo in esame è complessivamente da respingere.
L’esistenza, nel nostro ordinamento, di un principio tendenziale -desumibile dalle fonti comunitarie, dal concetto di abuso del diritto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria (Cass. 21/10/2005, n.
20398; Cass. 14/11/2005, n. 22932) e dall’art. 53 Cost. (Cass., Sez. U., 23/12/2008, n. 30057) – secondo cui non possono trarsi benefici da operazioni intraprese ed eseguite al solo scopo di procurarsi un risparmio fiscale, è stata affermata dalla giurisprudenza già con riferimento alla disciplina anteriore all’entrata in vigore dell’art. 37bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall’art. 7 d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358.
Lo stesso art. 37bis d.P.R. n. 600 del 1973 è stato poi sostituito dall’art. 10bis legge 27 luglio 2000, n. 212, nella cui vigenza si svolge la fattispecie in esame.
Già prima questa Corte (Cass. 02/02/2021, n. 2224, cit., in motivazione), in materia tributaria, aveva affermato che il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo rinvenibile negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano oltre che nei principi comunitari (Cass. 19/02/2014, n. 3938) -che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente (Cass. 5/12/2019, n. 31772; Cass. 08/03/2019, n. 6836; Cass. 6/06/2019, n. 15321).
La stessa Commissione Europea, nell’ottica di perseguire la pianificazione fiscale aggressiva, ha diramato agli Stati membri la raccomandazione 2012/772/UE di intervenire quando sia realizzata «una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale», chiarendo che «una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale», ovvero di «sostanza economica», e «consiste
nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali», mentre «una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso» (cfr. Cass. 16/03/2016, n. 5155, cit.; Cass. 14/01/2015, n. 438 e n. 439, tutte in motivazione).
Il legislatore nazionale, con l’art. 5 della legge 11 marzo 2014, n.23 ha raccolto la citata raccomandazione dell’UE, delegando al Governo l’attuazione «della revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, il che è avvenuto con l’art. 10bis della legge 27 dicembre 2000, n. 212 (c.d. Statuto del contribuente), introdotto dall’art. 1 d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, modificato dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, che, nei primi quattro commi, così dispone: «1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni. 2. Ai fini del comma 1 si considerano: a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato; b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi
dell’ordinamento tributario. 3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente. 4. Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale…» Il riparto degli oneri probatori è regolato dal comma 9 che prevede «L’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3».
2.2. Il motivo è infondato nella doglianza descritta sub a) laddove deduce che non vi sarebbe vantaggio di imposta poiché non vi è stato materiale esborso di maggior Ires, in quanto la deduzione delle minusvalenze ha solo aumentato le perdite dichiarate (in misura marginale rispetto alla loro complessivo ammontare).
Infatti, il comma 2 dell’art. 10bis dello Statuto, alla lettera b) individua come vantaggi fiscali indebiti «i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario», con nozione ampia che esplicitamente fa riferimento a qualunque beneficio e anche a quello non immediato, il che non supporta la tesi della società contribuente secondo cui non vi sarebbe vantaggio fiscale ove non vi sia minor Ires liquidata nell’anno di imposta in questione.
In altri termini il beneficio può essere anche differito, cioè non conseguito sotto forma di un immediato minor versamento d’imposta ma che sia comunque conseguibile con certezza in esito alle operazioni realizzate.
La doglianza descritta sub b) è invece inammissibile poiché fa riferimento a questioni relative alla ricostruzione del fatto, non deducibili come violazione o falsa applicazione di legge, che consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica, pertanto, un problema interpretativo di quest’ultima, laddove l’allegazione di un’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ed inerisce, pertanto, alla tipica valutazione del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (da ultimo Cass. 19/09/2024, n. 25182).
3. Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ., si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti avendo il giudice dell’ appello omesso di esaminare che la deduzione da parte di BNP Vita dall’imponibile Ires del periodo imposta 2010 delle minusvalenze era stata più che compensata dalle minori riserve tecniche incluse nel medesimo imponibile , in forza dell’art. 111 t.u.i.r., come provato dalla perizia attuariale prodotta in atti e posta a fondamento dell’accoglimento del ricorso da parte della CTP.
3.1. Il motivo è ammissibile e fondato.
La deduzione del vizio motivazionale di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. deve avere ad oggetto l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, inteso nel senso di circostanza fattuale o preciso accadimento in senso storico naturalistico (Cass. 06/09/2019, n. 22397; Cass. 03/10/2018, n. 24035; Cass. 08/09/2016, n. 17761; Cass., Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. 08/10/2014, n. 21152; Cass. 04/04/2014, n. 7983; Cass. 05/03/2014, n. 5133), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia e postula la sua concreta e specifica indicazione, anche in relazione alla sede processuale ove sia stata dedotta. Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 7/04/2014, n. 8053).
Il motivo soddisfa tali requisiti di ammissibilità e del resto appare pacifico che la CTP aveva accolto il ricorso proprio in base a tale motivazione.
Occorre appena evidenziare che la disciplina fiscale delle riserve di cui all’art. 111 t.u.i.r. prevede che le variazioni in diminuzione o in aumento delle riserve iscritte nel passivo rilevano quali componenti rispettivamente positivi o negativi di reddito.
Il motivo va quindi accolto, avendo omesso del tutto la CTR di esaminare tale circostanza fattuale, astrattamente idonea a incidere sull’esistenza del vantaggio fiscale .
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36 d.lgs. n. 546 del 1992 e 132 cod. proc. civ., in quanto il giudice di appello ha sostenuto che le operazioni di vendita e di riacquisto delle medesime azioni poste in essere da UGF
assicurazioni per conto di BNP Vita sarebbero abusive ai sensi dell’art. 10bis d ello Statuto del contribuente in quanto prive di sostanza economica, con motivazione meramente apparente, laddove ha ritenuto che le operazioni potessero produrre effetti solo dal punto di vista fiscale, mentre la società aveva dedotto la sussistenza di una giustificazione costituita dalla necessità di allineare il rendimento dei contratti di assicurazione sulla vita a prestazioni rivalutabili riconosciuto agli assicurati al rendimento effettivo degli investimenti, giustificazione che aveva indotto la CTP ad accogliere il rilievo.
Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ., si deduce omesso esame di un fatto decisivo, consistente nella circostanza che le operazioni di vendita e di riacquisto in pari data delle medesime azioni poste in essere per conto di BNP Vita nel corso del 2010 hanno consentito a tale società di riallineare il rendimento di contratti di assicurazione sulla vita al rendimento effettivo degli investimenti posti a loro copertura.
4.1. I due motivi attengono alla medesima questione, la circostanza che le operazioni avessero un effetto significativo diverso dal vantaggio fiscale, e le ragioni economiche extrafiscali dell’operazione, che non sarebbe stata esaminata e che viene declinata come vizio di motivazione apparente (con il quarto motivo) e come omesso esame di fatto decisivo, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 (con il quinto motivo) .
Effettivamente dalla lettura della sentenza della CTR non emerge in alcun modo che essa abbia esaminato, anche solo implicitamente, le giustificazioni addotte dalla società , essendosi i giudici dell’appello limitati ad affermare che l’operazione era funzionale a conseguire solo il vantaggio di imposta, individuato nella deduzione della minusvalenza.
Il quarto motivo è quindi fondato con assorbimento del quinto.
Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ., si deduce l’ome sso esame di un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti in quanto la CTR, laddove ha ritenuto che le operazioni di vendita e di riacquisto delle medesime azioni fossero preordinate a realizzare un vantaggio fiscale indebito, ha completamente omesso di esaminare la circostanza che le operazioni di vendita e di riacquisto in pari data sono state decise in piena autonomia dal gestore RAGIONE_SOCIALE.
5.1. Anche tale motivo è fondato.
La ricorrente ha dedotto l’autonomia nelle scelte del gestore dei titoli oggetto della gestione separata, invocando le previsioni contrattuali al riguardo, debitamente localizzate e descritte nel motivo di ricorso.
Anche tali circostanze, fatte oggetto di motivo di ricorso e riproposte nelle controdeduzioni di appello, risultano del tutto prive di alcun esame nella sentenza impugnata dovendosi quindi accogliere il motivo.
6. Con il settimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ. in quanto la CTR ha omesso di pronunciarsi sull’eccezione proposta in subordine con cui la società aveva contestato l’illegittimità dell’avviso di accertamento per il fatto che la maggior Ires accertata per il periodo d’imposta 2010 non era stata determinata al netto della maggior Ires versata nel periodo di imposta 2010 e nei successivi per effetto delle operazioni contestate, in conseguenza della tassazione della maggiori plusvalenze realizzate e della deduzione di minori plusvalenze realizzate, in conseguenza del minor valore di carico delle azioni.
Con l’ottavo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce la violazione dell’art. 36 n. 4 d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ., deducendo la nullità della sentenza per motivazione apparente, laddove la CTR, nel decidere in merito all’ eccezione descritta nel settimo motivo, l ‘ abbia implicitamente rigettata senza alcuna motivazione.
Con il nono motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., si deduce nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ., laddove la CTR ha omesso di pronunciare sull’eccezione formulata in via di subordine con cui la società aveva contestato l’illegittimità dell’accertamento per il fatto che con tale atto l’ufficio, pur avendo disconosciuto la deducibilità delle minusvalenze, non ha poi tenuto conto del maggior costo fiscale delle azioni nella determinazione delle plusvalenze e minusvalenze realizzate nel predetto periodo di imposta, anche in violazione del divieto di doppia imposizione di cui all’art. 163 t.u.i.r.
Con il decimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce nullità della sentenza per motivazione apparente laddove si ritenga che la CTR della Lombardia ha rigettato l’eccezione di cui al precedente motivo, senza alcuna motivazione.
6.1. Il settimo ed il nono motivo sono fondati, con conseguente assorbimento dell’ottavo e del decimo.
La CTR ha di fatto omesso di esaminare tali originari motivi di ricorso, riproposti in appello, debitamente individuati e localizzati nel ricorso, limitandosi a ritenere assorbite le altre questioni ed eccezioni sollevate dalle parti.
L’assorbimento di una domanda in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte che, con la pronuncia sulla domanda
assorbente, ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre quello in senso improprio è ravvisabile quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento erroneamente dichiarato si traduce in una omessa pronunzia (Cass. 22/06/2020, n. 22193).
Concludendo, vanno accolti il terzo, il quarto, il sesto, il settimo ed il nono motivo, assorbiti il quinto, l’ottavo e il decimo, con rigetto dei restanti.
La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame, cui è altresì demandato di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo, il quarto, il sesto, il settimo ed il nono motivo di ricorso, rigettati il primo ed il secondo e dichiarati assorbiti il quinto, l’ottavo e il decimo ;
cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 24 gennaio 2025.