Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2382 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2382 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato;
– ricorrente
–
contro
NOME RAGIONE_SOCIALE sedente in Roma, in persona del legale rappresentante, con avv. NOME COGNOME;
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, n. 7203/18 depositata il 18 ottobre 2018.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Si dà atto che il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso .
RILEVATO CHE
L’Agenzia emetteva avviso di accertamento a carico della società contribuente avendo disconosciuto parte dei costi per canone di locazione da essa corrisposti a RAGIONE_SOCIALE da cui era interamente partecipata, che gestiva il fondo immobiliare IRS,
PARTECIPAZIONE SOCIETARIA -COMPORTAMENTO ANTIECONOMICO – ABUSO DEL DIRITTO.
in relazione a una serie di immobili inseriti in un centro commerciale. Il rapporto contrattuale tra RAGIONE_SOCIALE e la contribuente odierna controricorrente prevedeva una porzione di canone fisso, ed una variabile, commisurata ai ricavi rinvenienti dalle locazioni ed affitti d’azienda che la stessa RAGIONE_SOCIALE avesse stipulato. In particolare, a parte una soglia di € 120 mila, tutti i ricavi superiori -nella misura del 98 %, pari -per l’anno d’imposta 2009 -ad € 344.739,00 (dedotto il canone fisso di € 2.600.000,00) – dovevano essere corrisposti alla BENI STABILI, che però non avrebbe pagato su di essi imposte in quanto esenti per la normativa propria dei fondi immobiliari. La CTP respingeva il ricorso mentre la CTR accoglieva l’appello proposto dalla contribuente, per cui L’Agenzia quindi propone ricorso in cassazione affidato a un unico complesso motivo. La contribuente resiste a mezzo di controricorso e successivamente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico mezzo si denuncia la violazione degli artt. 1 e 109, TUIR, 1343, cod. civ. e 53 Cost., ritenendo erronea la decisione laddove anzitutto riteneva che l’accertamento dovesse essere annullato in quanto non sarebbero state citate le norme ritenute violate con il comportamento asseritamente elusivo della contribuente.
In proposito osserva la ricorrente che non può non ritenersi insito nell’ordinamento il principio per cui non si possono trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto di strumenti giuridici, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili, come stabilito da questa Corte (Cass. 30055/2008).
1.1. Va premesso che in effetti la sentenza impugnata poggia su due diverse rationes decidendi , una appunto costituita dall’asserito difetto di motivazione e l’altra sulla non presenza dei requisiti per qualificare l’operazione come avente le caratteristiche
di un abuso del diritto. Il motivo, pur formalmente unico, attacca entrambe le ragioni.
1.2. Venendo così all’aspetto formale dianzi enunciato, sul punto il motivo è fondato perché anzitutto lo stesso, contrariamente alla tesi della controricorrente, spiega che l’indicazione della norma non era necessaria in quanto l’abuso del diritto sarebbe immanente all’ordinamento giuridico nel suo complesso, consistendo nel divieto di strumentalizzare norme per finalità differenti da quelle lecite, ed in particolare -nel caso che ne occupa, nel conseguire un indebito vantaggio fiscale senza che le operazioni formalmente consentite avessero una loro valida ragione economica.
Invero la giurisprudenza, e non solo nel campo fiscale, ha affermato i principi sopra enunciati. Con particolare riguardo al diritto tributario, si è in plurime occasioni affermata la sussistenza di un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili (da ultimo Cass. 14674/24), per cui non occorre -per definizione -nell’ambito del relativo procedimento accertativo, citare una specifica disposizione violata, visto che il presupposto è costituito non da una violazione specifica ma da una finalità distorta, salvo ovviamente la disciplina dei relativi effetti, contenuta ad esempio nell’art. 37 -bis d.p.r. n. 600/1973.
Tanto determina che, non esistendo una disposizione specifica violata, neppure la sua mancata indicazione può inficiare la legittimità dell’atto impositivo conseguente.
La seconda ratio decidendi della sentenza impugnata, attinente alla sussistenza dei presupposti o meno per l’abuso ipotizzato dall’atto, è attaccata dalla restante parte del motivo.
2.1. Anche in questa parte lo stesso dev’essere accolto.
L’accordo intervenuto tra la società contribuente e la propria partecipante totalitaria, era nel senso che, oltre alla corresponsione a quest’ultima di un canone fisso, la prima si obbligava altresì a corrispondere -dedotto un plafond fisso di € 120.000,00, il 98 % dei canoni (o meglio del differenziale dei canoni rispetto al canone base da essa corrisposto di € 2.600.000,00) che le sarebbero stati corrisposti da locatari e affittuari (tre infatti erano le locazione commerciali, e 52 gli affitti di rami d’azienda).
Si deve anzitutto notare che i canoni suddetti rappresentano l’intero ricavo dell’attività aziendale, per cui con l’anzidetta clausola, dedotta una quota (il ‘fisso’ di € 120.000), comporta di fatto il trasferimento di quasi tutto il fatturato alla partecipante, essendo potenzialmente idonea a privare ab origine la società contribuente anche solo della possibilità di conseguire la remunerazione della propria attività imprenditoriale che costituisce l’essenza di qualsiasi attività economica, collettiva od individuale che sia, esercitata professionalmente in virtù del disposto di cui all’art. 2082 cod. civ.
2.2. L’esclusione anche in astratto della possibilità di conseguire un utile renderebbe l’operazione, dal punto di vista della società odierna controricorrente, del tutto deprivata di ragioni economiche valide, che non siano quelle di consentire il trasferimento dell’intero lucro alla società partecipante, la quale per quanto s’è premesso non è poi assoggettata a imposizione fiscale.
Né coglie il segno l’osservazione del giudice d’appello secondo cui tale operazione non aveva alternativa: certamente il fondo immobiliare non poteva gestire in prima persona l’attività imprenditoriale, ma ciò non le impediva di avvalersi di un soggetto
(imprenditore), sia pure interamente partecipato, che conformemente alle disposizioni remunerasse la propria attività, rendendo la stessa rispondente ad una logica economica.
Né vale l’osservazione poi per cui non vi sarebbe alcun aggiramento della disciplina fiscale in quanto comunque i fondi immobiliari non sarebbero soggetti a tassazione, perché ciò non toglie che a tassazione sarebbe soggetto chi svolge un’attività imprenditoriale ordinaria, come appunto la ricorrente, che non sceglie quindi fra alternative possibili quella che è fiscalmente più vantaggiosa, ma sceglie una strada che come già detto è del tutto ingiustificata perché priva di qualsivoglia valida ragione economica (esercitare un’impresa senza alcuna possibile remunerazione in astratto).
Né il motivo devolve al giudice della legittimità la rinnovazione di un esame nel merito, ma semplicemente quest’ultimo viene chiamato a verificare la corretta applicazione di una disposizione -quella della disciplina anti-elusiva -che si giustifica quando l’operazione sia posta in essere in assenza di valide ragioni economiche. Si tratta dunque non di accertare i fatti, che sono pacifici (è infatti pacifica la clausola e la distribuzione del ricavato in base alla stessa), quanto la loro qualificazione (appunto, di operazioni prive o aventi valide ragioni economiche) che consenta la corretta sussunzione della fattispecie nella disposizione suddetta.
Né le ulteriori deduzioni in ordine al rapporto fra il valore aziendale e il margine comunque riservato alla ANDRIA (i già ricordati € 120.000,00 e il 2 % dei canoni) assumono rilievo preclusivo all’accoglimento del motivo, sia perché è evidente che il volume dei ricavi (potenziali, in quanto poi nella quasi totalità oggetto di trasferimento a titolo di canone) determina dei costi proporzionali, sia perché la (bassa) valutazione aziendale non può che essere influenzata dai vincoli contrattuali stipulati dall’impresa,
in particolare da quelli qui riportati e di cui si discute, che la deprivavano di gran parte dell’utile d’esercizio.
In accoglimento dei superiori motivi deve dunque essere cassata la sentenza impugnata, con rinvio al giudice di secondo grado che dovrà provvedere ad una concreta rivalutazione della vicenda alla luce dei principi qui espressi, nonché all’esame di eventuali questioni rimaste assorbite, incluse quelle inerenti alle sanzioni per le quali dovrà farsi applicazione della sopravvenuta lex mitior (art. 15, d.lgs. n. 158/15) e altresì alla liquidazione delle spese.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso e, cassata la sentenza impugnata, rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio che, in diversa composizione, procederà a nuovo giudizio adeguandosi ai principi espressi nella presente pronuncia, ed all’esame di eventuali questioni rimaste assorbite, incluse quelle inerenti alle sanzioni per le quali dovrà farsi applicazione della sopravvenuta lex mitior, provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2024