Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26260 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 26260 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME con avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata presso L’Avvocatura generale dello Stato, che la difende ex lege;
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, n. 58/24 depositata il 12 gennaio 2024.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del quattro giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Dato atto che il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Dato atto che l’avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, ha concluso per l’accoglimento del ricorso, mentre la difesa erariale ne ha chiesto il rigetto.
FATTI DI CAUSA
ABUSO DEL DIRITTO
1.La società RAGIONE_SOCIALE, costituita il 15/10/1998, presentava un capitale sociale di complessivi € 10.200,00 le cui quote erano detenute dai seguenti soci: 60% COGNOME; 40% NOME. Nel corso dell’anno di imposta 2012 i soci rivalutavano le partecipazioni detenute per un importo complessivo di € 10.400.000, versando un’imposta sostitutiva del 4%. Il 28/12/2012 essi cedevano interamente le loro quote di partecipazione alla newco (costituita il precedente 17 dicembre) RAGIONE_SOCIALE rispettivamente per l’importo di € 6.240.000 e di € 4.160.000, pari a quello della rivalutazione operata dagli stessi. L’Ufficio provvedeva così a recuperare a tassazione la quota imponibile di dividendi ricevuti nei diversi anni, dal 2013 al 2017. Il contribuente, con separati ricorsi, impugnava tutti gli avvisi. I procedimenti di cui ai RG 644/2019, 645/2019 e 646/2019 (anni imposta 1024, 2015 e 2017) e n. 537/2019 (anno imposta 2013) erano favorevoli all’Ufficio. Il procedimento n. 109/2020 (anno imposta 2016) era invece sfavorevole all’Ufficio. Proposti gli appelli da parte dei soccombenti la CGT di 2^ grado, dopo aver riuniti tutti i ricorsi pendenti, con sentenza n. 58/2/2024 accoglieva le ragioni dell’Ufficio, confermando tutti gli avvisi di accertamento.
Il contribuente impugna così in cassazione la decisione affidando il gravame a quattro motivi, mentre l’Agenzia resiste a mezzo di controricorso. Da ultimo il contribuente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Col primo motivo si deduce ‘ nullità della sentenza per motivazione apparente. violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 24 della costituzione (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. )’. In particolare la CGT avrebbe omesso di valutare criticamente le argomentazioni del contribuente e i documenti depositati in giudizio, da cui sarebbe risultata dimostrata per tabulas la sussistenza delle valide ragioni economiche poste a
base delle operazioni contestate, appiattendosi sulle argomentazioni dell’agenzia delle entrate.
1.1.Il motivo è infondato.
Invero sussiste motivazione parvente allorché non sia possibile ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla sua decisione, o lo stesso sia caratterizzato da invincibile contraddizione o si riduca a un argomentare del tutto scollegato con la decisione stessa.
Nella specie invece, dopo aver individuato i presupposti per l’abuso del diritto disciplinato dall’art. 10 -bis della l. n. 212/2000, e dopo aver individuato le ragioni extra-fiscali allegate dal contribuente, costituite dalla necessità di garantire il passaggio generazionale tutelando patrimonio e continuità aziendale, il che escluderebbe nell’ottica del ricorrente il contestato leverage cash out (operazione di incasso degli utili tramite una società veicolo, utilizzando la rivalutazione delle partecipazioni per ridurre la tassazione), ha ritenuto fondata la ricostruzione operata dall’Agenzia, rilevando che alla differenza formale fra le compagini azionarie della ICM e della DUE M, nella sostanza vi è invece stata continuità nella ripartizione delle quote fra le due ‘entità familiari’ rappresentate dalla famiglia COGNOME e dalla famiglia COGNOME, che hanno mantenuto le rispettive quote, i ruoli dei due soci preesistenti, tanto che uno è stato nominato amministratore e nell’atto di costituzione è previsto che l’amministrazione ordinaria e straordinaria spetta ai due soci COGNOME e COGNOME nonostante mantengano solo il 40% delle quote e inoltre ai due soci spetta di nominare l’amministratore unico ; la mancanza di deleghe di potere agli altri soci; dopo 10 anni la governance della DUE M era rimasta inalterata e COGNOME NOME rimaneva legale rappresentante della società nonché l’amministratore della RAGIONE_SOCIALE. LA CGT ha altresì osservato che non viene indicato dal contribuente alcun elemento che dimostri, sul piano gestionale, organizzativo e programmatico, l’esistenza di una
finalità di crescita, sviluppo della struttura societaria e patrimoniale; né vi è stata alcuna ulteriore partecipazione di altre società all’interno della holding DUE M, in contrasto con la finalità di una ‘holding di partecipazioni’.
La CGT ha altresì riferito della difesa secondo cui vi sarebbero state delle trattative per la cessione a terzi, che però si collocano dopo la cessione e non hanno avuto esito, né delle stesse si faceva cenno negli appelli.
Ed ha altresì escluso che quella ideata fosse l’unica modalità possibile per giungere al passaggio generazionale, visto che le stesse parti, nel 2019, erano riuscite a raggiungere intento analogo attraverso un aumento di capitale.
Da tutto ciò la CGT traeva la conclusione che con la suddetta operazione il contribuente aveva sottoposto a tassazione al 4 % gli utili realizzati dalla RAGIONE_SOCIALE, che infatti venivano dalla newco attribuiti ai soci in pagamento della cessione delle quote.
Come si vede la CGT ha sì ritenuto la fondatezza della ripresa e degli indizi individuati dall’Agenzia, ma svolgendo un proprio percorso argomentativo anche alla luce delle difese della parte, ed ha ampiamente sviluppato e reso chiaro il proprio iter logico.
Col secondo motivo si deduce ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 10 -bis della legge n. 212/2000.insussistenza dei presupposti per la configurazione dell’abuso del diritto nel caso di specie. violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 7, comma 5 -bis del d.lgs. n. 546/1992 (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.).’.
Secondo il contribuente la CGT avrebbe violato tali norme perché avrebbe trascurato che al fine di aversi un abuso del diritto in base al citato art. 10 bis, occorre l’aggiramento di una previsione normativa positiva; la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento; l’assenza di valide ragioni economiche; l’assenza di sostanza economica dell’operazione.
2.1. Anche tale motivo è infondato.
La parte riprende una ad una le argomentazioni spese dalla CGT, limitandosi però a generiche osservazioni in base alle quali esse si baserebbero su elementi del tutto ‘fisiologici’.
Ma non spiega il dato essenziale, e cioè in cosa e come la costituzione della nuova società abbia davvero reso possibile un passaggio generazionale che anzi, in base alle osservazioni della CGT, non s’è affatto realizzato dopo tanto tempo, lasciando nei fatti, ma anche in diritto attraverso apposita clausola statutaria, inalterata la guida della società in capo ai due soci originari.
L’unico elemento innegabile è che, attraverso la cessione delle quote ad una società che, così come strutturata sia per clausole che per composizione della compagine sociale, di fatto garantiva l’assoluta continuità rispetto a quella originaria e ‘ceduta’. Infatti -oltre ad essere la società riconducibile significativamente agli stessi soci attraverso quote personali rilevanti e nel resto riferibili ai propri famigliari, peraltro rispettando il ‘peso’ di ogni nucleo famigliare nell’esatta proporzione che essi avevano nella precedente compagine -a dieci anni dalla costituzione la governance della RAGIONE_SOCIALE, che peraltro ha comunicato l’inizio dell’attività alla CCIIAA solo in data 30/04/2019, è rimasta sostanzialmente inalterata e NOME COGNOME all’epoca della pronuncia d’appello, era ancora il legale rappresentante della società, e manteneva altresì il ruolo di amministratore della RAGIONE_SOCIALE.
E tutto ciò anche a mezzo di specifiche clausole statutarie, in base alle quali è previsto che l’amministrazione ordinaria e straordinaria spetta ai due soci originari appunto, nonostante mantengano solo il 40% delle quote, e inoltre agli stessi soltanto spetta di nominare l’amministratore unico.
A fronte di ciò i soci si sono garantiti la tassazione al quattro per cento degli utili percepiti di anno in anno, possibilità che l’ordinamento fiscale non consentiva loro affatto, se non appunto
attraverso questo meccanismo della cessione e poi di percepimento degli utili sotto forma di pagamento delle quote cedute, ma appunto a fronte di una cessione che, come si è appena detto, non trova tuttora una spiegazione extrafiscale concreta.
Sempre sotto tal profilo il contribuente critica la decisione anche nel punto in cui ritiene che la modalità prescelta non sarebbe in ogni caso stata l’unica per garantire il passaggio generazionale, potendosi ricorrere appunto anche all’aumento di capitale.
In particolare, il contribuente osserva che siffatto aumento avrebbe richiesto fondi non presenti, trascurando però gli stretti legami di parentela fra i subentranti e i vecchi soci, oltre alla significativa quota detenuta personalmente dagli stessi, e l’effettuazione di una analoga operazione in tempi più recenti.
E sotto il profilo dell’asserita finalità di ricambio generazionale, non solo sussisteva la clausola statutaria di cui s’è detto, che sostanzialmente la smentisce o comunque va in direzione differente, ma appunto l’amministrazione era rimasta in concreto e per tutto il periodo capo al vecchio socio e nessun ingresso di soggetti esterni si era peraltro verificato.
Tantomeno è fondata l’osservazione del contribuente secondo cui in ‘analoghe’ vicende questa Corte avrebbe affermato la non abusività (cfr. Cass. n. 24839/20) perché nel caso da ultimo citato si trattava di valutare semplicemente un dato temporale tra la data di cessione e quella di rivalutazione, non certo l’utilizzo della tassazione agevolata della partecipazione strumentalmente a quella degli utili distribuiti. Il caso poi affrontato da Cass. n. 25131/21 è basato sul fatto che l’accertamento della sussistenza di valide ragioni economiche extra-fiscali era stato oggetto di accertamento in fatto da parte del giudice del merito, come tale insindacabile in sede di legittimità.
Proprio le caratteristiche sopra delineate della vicenda la distinguono nettamente anche da altre richiamate dalla parte
contribuente, in particolare da quella oggetto di Cass. n. 6741/25 in cui erano stati individuati effettivi interessi economici dati da l fatto che l’operazione aveva consentito un aumento del patrimonio netto; l’incremento dei finanziamenti bancari, con ampliamento del ricorso al credito; l’aumento del fatturato consolidato e degli utili ante imposte, oltre a consentire l’agevole liquidazione dei soci di minoranza.
Al postutto, non può certo dirsi che le giustificazioni fornite dal contribuente siano state tali da configurare la sussistenza di un interesse extrafiscale che il giudice d’appello avrebbe trascurato, ma semmai deve ritenersi che il giudice d’appello, esaminata la giustificazione, sulla base dei rilevanti che si sono rassegnati, ha ritenuto infondata siffatta giustificazione procedendo ad un corretto inquadramento della fattispecie.
Col terzo motivo si deduce ‘omessa pronuncia in merito all’eccepita violazione dell’art. 10 -bis, comma 8 della legge n. 212/2000. violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.’.
In particolare, secondo il contribuente la CGT non avrebbe considerato la domanda relativa alla nullità degli avvisi per omissione della c.d. motivazione rafforzata, imposta dall’art. 10 bis, comma 8, l. n. 212/2000, in tema di abuso.
3.1. Il motivo è infondato.
La richiamata disposizione prevede che ‘l’atto impositivo è specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti forniti dal contribuente nel termine di cui al comma 6.’.
Come si ricava da quanto osservato sub 1.1., la CGT ha perfettamente posto in rilievo quale fosse la condotta abusiva e gli indebiti vantaggi fiscali realizzati, e sul punto gli stessi sono quelli indicati dall’Agenzia. Anzi, col primo motivo la stessa parte
ricorrente si duole proprio del fatto che la CGT abbia proprio ripercorso e valorizzato gli addebiti e gli elementi contestati dall’Agenzia, i quali dunque sorreggono la motivazione dell’atto impugnato.
Col quarto motivo si deduce ‘motivazione apparente in merito all’eccepita violazione degli artt. 7 e 10 della legge n. 212/2000. nullità della sentenza violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 24 della costituzione (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.).’
Secondo il contribuente lo stesso aveva sempre eccepito il fatto che l’Ufficio avesse integrato la motivazione degli atti in corso di giudizio.
4.1. Sul punto non solo la CGT ha motivato rendendo chiaro anche sul punto il proprio iter logico, ma la stessa ha altresì compiuto un accertamento di fatto in ordine alla completezza sul punto degli atti impositivi.
Si legge infatti nella relativa parte della motivazione che
‘Il contribuente lamenta, inoltre, il divieto di motivazioni aggiunte da parte dell’Ufficio rispetto a quanto motivato nell’avviso di accertamento; l’eccezione è priva di fondamento in quanto l’avviso di accertamento, nella sua completa formulazione, motiva sia con riguardo all’assenza di una valida motivazione economica, imprenditoriale, organizzativa o gestionale a giustificazione dell’operazione, sia con riguardo al vantaggio fiscale derivante, per i due soci, dall’insieme degli atti posti in essere mediante l’utilizzo corretto delle norme di legge, ma per finalità estranee alle norme stesse; come è per le norme sulla rivalutazione delle partecipazioni, volte al fine di patrimonializzare le imprese per consentire una loro riorganizzazione, una maggiore solidità finanziaria e gestionale, finalizzata ad un loro sviluppo; tutte finalità totalmente estranee alle operazioni poste in essere nel presente caso».
Al postutto il ricorso dev’essere rigettato, con aggravio di spese in capo al ricorrente soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna il ricorrente a pagare le spese di lite, che liquida in € 9500,00 oltre spese prenotate a debito.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2025
Il Giudice estensore
(NOME COGNOME Il Presidente
(NOME COGNOME)