Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11756 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 11756 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
Abuso del dirittoart. 10-bis legge n. 212 del 2000
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8490/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., rappresentata e difes a dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1974/2020 depositata in data 23/09/2020, non notificata;
udita la relazione della causa tenuta nella pubblica udienza del 24/01/2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
udito il sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avv. NOME COGNOME per la società ricorrente; udito l’avv. NOME COGNOME per l’Avvocatura generale dello Stato.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate, Direzione regionale della Lombardia, emetteva un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2011 nei confronti della BNP Paribas Cardif Vita Compagnia di assicurazione e riassicurazione s.p.a., contestando ai sensi dell’art. 10bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’indebita deduzione di minusvalenze, con ripresa a tassazione dell’importo delle medesime ai fini dell’Ires, in riferimento a operazioni finanziarie di vendita e contestuale riacquisto di alcuni titoli azionari iscritti nell’attivo circolante; la contestualità delle operazioni di vendita e riacquisto, realizzate con una società appartenente allo stesso gruppo, nello stesso giorno e allo stesso prezzo, manifestava l’intento elusivo e la finalizzazione dell ‘o perazione alla sola deduzione delle minusvalenze, altrimenti vietata dall’art. 110, comma 1, t.u.i.r., che prevede che « il costo delle azioni… si intende non comprensivo dei maggiori o minori valori iscritti i quali non concorrono alla formazione del reddito»; in forza di tale contestazione, l’avviso rettificava le perdite dichiarate dalla società per l’anno in questione, riducendole da euro 411.419.309,00 ad euro 406.262.816,00.
Contro tale avviso la società proponeva ricorso che la Commissione tributaria provinciale di Milano rigettava.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello della parte privata; in particolare, dopo aver illustrato la disciplina dell’art. 10bis della legge n. 212 del 2000, evidenziava che dall ‘ operazione finanziaria di vendita e contestuale riacquisto dei titoli azionari, senza quindi che vi fosse una effettiva dismissione dei medesimi, derivava un unico vantaggio di carattere fiscale, concludendo che si trattasse di operazioni prive di alcuna giustificazione economica; la vendita e il successivo riacquisto di titoli della stessa specie, nello stesso giorno e alla stessa ora, allo stesso prezzo in relazione alla medesima controparte, peraltro appartenente al medesimo gruppo, provavano indubbiamente la volontà della società di conseguire un unico obiettivo, quello di ottenere una perdita senza dismissione del titolo venduto e nel contempo riacquistato, circostanza che dimostrava l’interesse a conservare i titoli stessi nel portafoglio della società; l’operazione era quindi finalizzata esclusivamente a eludere il divieto di svalutare i titoli con rilevanza fiscale e anche ad aggirare le indicazioni dell’Isvap, laddove esse dispongono che il risultato della gestione separata interna debba essere determinato sommando esclusivamente i proventi di competenza, gli utili e le perdite realizzati, e che quindi non considera rilevante le plusvalenze o le minusvalenze non realizzate; evidenziava ancora che le operazioni effettuate dalla società non producevano alcun effetto rilevante diverso dai vantaggi fiscali e in particolare che la società, se nel rispetto delle regole Isvap non poteva gravare la gestione separata interna, doveva in ogni caso farsene carico riducendo il margine assicurativo, onere facente parte del rischio imprenditoriale assicurativo per cui l’aggiramento degli obblighi previsti per limitare il rischio non poteva essere considerato un valido e legittimo motivo extra fiscale.
Contro tale sentenza la società propone ricorso affidato a undici motivi, illustrati da successiva memoria.
L ‘Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
La causa è stata rimessa alla pubblica udienza del 24/01/2025.
Il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., la società ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 36 d.lgs. n. 546 del 1992 e 132 cod. proc. civ., lamentando l’esistenza di una motivazione apparente, avendo il giudice d’appello omesso di motivare sui motivi per i quali le operazioni contestate avrebbero garantite a BNP Vita il realizzo di un vantaggio fiscale, in particolare non tenendo conto del fatto che il vantaggio fiscale va considerato sussistente al netto di quanto versato dal contribuente per effetto delle operazioni disconosciute.
1.1. Il motivo è infondato.
La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132 n. 4, cod. proc. civ. (e nel caso di specie dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. 546/1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, si configura quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della
motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (Cass., Sez. U. n. 8053/2014; successivamente tra le tante Cass. n. 22598/2018; Cass. n. 6626/2022).
In particolare si è in presenza di una motivazione apparente allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Nel caso di specie, la motivazione della sentenza esiste graficamente; essa individua la normativa rilevante nel caso di specie, l’art. 10 -bis della legge n. 212 del 2000; procede ad indicare le ragioni per le quali l’operazione contestata, descritta nei suoi precisi termini fattuali e del resto incontestata, è elusiva; individua il vantaggio fiscale nella deduzione delle perdite realizzate e precisa perché le ragioni extra fiscali dedotte dalla società non fossero rilevanti.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 10bis dello Statuto del contribuente; il giudice d’appello ha errato laddove ha ritenuto che le operazioni contestate abbiano garantito il realizzo alla società contribuente di un vantaggio fiscale in quanto l’abuso del diritto richiede per la sua configurabilità che il contribuente abbia realizzato un effettivo risparmio di imposta liquidando un ‘Ires inferiore rispetto a quella che avrebbe liquidato se non avesse posto in essere le operazioni contestate.
Nel caso di specie tale effettivo risparmio di imposta non sarebbe stato conseguito in quanto:
la società nell’anno di imposta in questione ha conseguito solo perdite e pertanto la deduzione delle minusvalenze non ha generato la liquidazione di una minor Ires ma solo maggiori perdite fiscali riportabili negli anni successivi; inoltre, le perdite sono state utilizzate nell’anno 2015;
b) il risparmio di imposta è stato compensato dalla corrispondente riduzione delle riserve tecniche deducibili ai sensi dell’art. 1 11, comma 1, t.u.i.r.; infatti la deduzione delle minusvalenze relative ad azioni comprese nell’attivo di gestioni separate poste a copertura dei contratti di assicurazione sulla vita, essendo le prestazioni di tali contratti correlate al risultato della gestione, comporta una diretta riduzione delle prestazioni medesime, la quale a sua volta comporta la necessaria riduzione delle riserve tecniche deducibili e cioè delle passività che devono essere indicate ai sensi dell’art. 36 del codice delle assicurazioni private; nel caso concreto, pertanto, la deduzione delle minusvalenze realizzate mediante la vendita delle azioni contestata ha contemporaneamente generato non solo i maggiori componenti negativi di reddito dedotti ma anche minori riserve tecniche deducibili, ai sensi dell’art. 111 t.u.i.r., come documentato nella perizia tecnica redatta dal proprio attuario e nella ulteriore perizia tecnica redatta da un attuario terzo, documentazione tutta prodotta nel corso del giudizio e non esaminata;
il risparmio di imposta non si è inoltre verificato in quanto nei periodi successivi la riduzione del costo fiscale di carico delle azioni è stata controbilanciata da maggiori plusvalenze o minori plusvalenze che sono state realizzate nei successivi periodi di imposta, quando cioè tali azioni sono state poi effettivamente vendute, come dimostrato dalla documentazione depositata in atti; in altri termini la riduzione
delle maggiori plusvalenze del 2011 ha trovato contropartita nel 2016 nella realizzazione di plusvalenze quasi identiche.
2.1. Il motivo in esame è complessivamente da respingere.
L’esistenza, nel nostro ordinamento, di un principio tendenziale -desumibile dalle fonti comunitarie, dal concetto di abuso del diritto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria (Cass. 21/10/2005, n. 20398; Cass. 14/11/2005, n. 22932) e dall’art. 53 Cost. (Cass., Sez. U., 23/12/2008, n. 30057) – secondo cui non possono trarsi benefici da operazioni intraprese ed eseguite al solo scopo di procurarsi un risparmio fiscale, è stata affermata dalla giurisprudenza già con riferimento alla disciplina anteriore all’entrata in vigore dell’art. 37bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall’art. 7 d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358.
Lo stesso art. 37bis d.P.R. n. 600 del 1973 è stato poi sostituito dall’art. 10bis legge 27 luglio 2000, n. 212, nella cui vigenza si svolge la fattispecie in esame.
Già prima questa Corte (Cass. 02/02/2021, n. 2224, cit., in motivazione), in materia tributaria, aveva affermato che il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo rinvenibile negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano oltre che nei principi comunitari (Cass. 19/02/2014, n. 3938) -che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente (Cass. 5/12/2019, n. 31772; Cass. 08/03/2019, n. 6836; Cass. 6/06/2019, n. 15321).
La stessa Commissione Europea, nell’ottica di perseguire la pianificazione fiscale aggressiva, ha diramato agli Stati membri la
raccomandazione 2012/772/UE di intervenire quando sia realizzata «una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale», chiarendo che «una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale», ovvero di «sostanza economica», e «consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali», mentre «una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso» (cfr. Cass. 16/03/2016, n. 5155, cit.; Cass. 14/01/2015, n. 438 e n. 439, tutte in motivazione).
Il legislatore nazionale, con l’art. 5 della legge 11 marzo 2014, n.23 ha raccolto la citata raccomandazione dell’UE, delegando al Governo l’attuazione «della revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, il che è avvenuto con l’art. 10bis della legge 27 dicembre 2000, n. 212 (c.d. Statuto del contribuente), introdotto dall’art. 1 d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, modificato dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, che, nei primi quattro commi, così dispone: «1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni. 2. Ai fini del comma 1 si considerano: a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti
significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato; b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario. 3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente. 4. Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale … » Il riparto degli oneri probatori è regolato dal comma 9 che prevede «L’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3».
2.2. Il motivo è infondato nella doglianza descritta sub a) laddove deduce che non vi sarebbe vantaggio di imposta poiché non vi è stato materiale esborso di maggior Ires, in quanto la deduzione delle minusvalenze ha solo aumentato le perdite dichiarate (in misura marginale rispetto al loro complessivo ammontare).
Infatti, il comma 2 dell’art. 10bis dello Statuto alla lettera b) individua come vantaggi fiscali indebiti «i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario», con nozione ampia che esplicitamente fa riferimento a qualunque beneficio e anche a quello non immediato, il che non supporta la tesi della società contribuente
secondo cui non vi sarebbe vantaggio fiscale ove non vi sia minor Ires liquidata nell’anno di imposta in questione.
In altri termini il beneficio può essere anche differito, cioè non conseguito sotto forma di un immediato minor versamento d’imposta ma che sia comunque conseguibile con certezza in esito alle operazioni realizzate.
Quanto alle doglianze descritte sub b) e sub c), le censure deducono che non vi sarebbe vantaggio di imposta sia poiché la deduzione delle minusvalenze sarebbe stata compensata dalla riduzione delle riserve tecniche, resasi necessaria, come documentato nella perizia tecnica redatta dal proprio attuario e nella ulteriore perizia tecnica redatta da un attuario terzo, documentazione tutta prodotta nel corso del giudizio e non esaminata (questione dedotta tanto nel secondo quanto nel terzo motivo), sia perché la riduzione del costo fiscale di carico delle azioni è stata controbilanciata da maggiori plusvalenze o minori plusvalenze che sono state realizzate nei successivi periodi di imposta, quando cioè tali azioni sono state poi effettivamente vendute.
Le doglianze sono inammissibili poiché fanno riferimento a questioni relative alla ricostruzione del fatto, non deducibili come violazione o falsa applicazione di legge, che consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica, pertanto, un problema interpretativo di quest’ultima, laddove l’allegazione di un’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ed inerisce, pertanto, alla tipica valutazione del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (da ultimo Cass. 19/09/2024, n. 25182).
3. Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ., si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti avendo il giudice dell’ appello omesso di esaminare che la deduzione da parte di BNP Vita dall’imponibile Ires del periodo imposta 2011 delle minusvalenze era stata più che compensata dalle minori riserve tecniche incluse nel medesimo imponibile. Il motivo deduce l ‘o messo esame della circostanza, già descritta nel motivo precedente alla lettera b), costituita dal fatto che non vi è stato vantaggio fiscale in quanto la realizzazione della minusvalenza ha determinato anche una riduzione dell’importo delle riserve tecniche e della deduzione relativa.
3.1. Il motivo è inammissibile.
La previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ., esclude che possa essere impugnata ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. la sentenza di appello «che conferma la decisione di primo grado», e si applica, agli effetti dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dall’11 settembre 2012 (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 11/05/2018, n. 11439), come nel caso di specie, ove la CTR ha espressamente confermato la sentenza di primo grado.
Si deve anche precisare che l’ipotesi ricorre non solo quando la decisione di secondo grado corrisponda in toto a quella di primo grado, ma è sufficiente che le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico -argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa. Non osta, dunque, alla configurazione della cd. «doppia conforme» il fatto che il giudice di appello, nel condividere e
confermare la decisione impugnata, abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione (Cass. 9/03/2022, n.7724).
In casi siffatti, il motivo, innanzi tutto, è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5947/2023; Cass. n. 26774/2016), il che nel caso di specie non è avvenuto specificamente.
Non può accedersi, sul punto, alla difesa della società contribuente, secondo cui non sussisterebbe doppia conforme quando «una data questione di fatto seppur facendo parte del thema decidendum del giudizio di appello non sia stata esaminata dal giudice d’appello in questo caso potendo essere legittimamente sottoposto al vaglio del giudice di legittimità», con la conclusione che non avendo la CTR esaminato la questione relativa alla idoneità delle operazioni contestuale a far conseguire un risparmio d’imposta, non vi sarebbe doppia conforme.
In primo luogo, ciò attiene ai casi in cui non vi sia stata istruttoria e quindi alcuna valutazione del fatto, come evincibile dagli stessi precedenti citati dalla difesa della società.
Del resto, in secondo luogo, il fatto in esame, oggetto della duplice conforme decisione dei giudici di merito, è espressamente individuato dalla stessa ricorrente, a pagina 37 del ricorso, nella «questione relativa alla idoneità delle operazioni contestate a far conseguire a BNL Vita un risparmio di imposta», e la possibilità di censurare con vizio motivazionale tale questione in fatto è esclusa, nel giudizio in esame, dalla presenza di una cd. doppia conforme.
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 36 d.lgs. n. 546 del 1992 e 132 cod. proc. civ. nella parte in cui ha sostenuto che le operazioni di vendita e di
riacquisto delle medesime azioni, poste in essere da RAGIONE_SOCIALE per conto di BNP Vita, sarebbero abusive ai sensi dell’art. 10bis dello Statuto del contribuente in quanto il vantaggio fiscale sarebbe indebito, ma la motivazione sarebbe meramente apparente laddove non ha spiegato quale sarebbe la finalità del divieto di svalutare i titoli e laddove ha individuato quale scopo delle operazioni medesime l’elusione del divieto di aggirare le indicazioni dell’ ISVAP.
4.1. Il motivo è infondato.
Sul punto valgono le medesime considerazioni già esposte nel primo motivo, in quanto la sentenza sul punto reca una succinta ma compiuta motivazione, che soddisfa il cd. minimo costituzionale.
Occorre appena aggiungere che inoltre il motivo non si confronta adeguatamente con la sentenza impugnata in quanto la CTR esamina la questione delle indicazioni dell’ISVAP non in relazione alla descrizione del vantaggio indebito ma a proposito della sussistenza o meno delle valide ragioni extrafiscali.
Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., si deduce la violazione dell’art. 10bis dello Statuto del contribuente.
Il motivo espone due censure.
5.1. Con la prima censura la società ricorrente deduce la violazione di legge per il fatto che la CTR ha omesso di considerare il collegamento tra il divieto di svalutazione dei titoli con rilevanza fiscale e i principi generali dell’ordinamento tributario, in particolare il principio secondo cui un’operazione non è abusiva se comporta esclusivamente un differimento del pagamento dell’imposta.
La censura è inammissibile poiché non coglie la ratio decidendi della sentenza della CTR che non individua la condotta abusiva nel differimento del pagamento delle imposte ma nella elusione del divieto di deduzione delle minusvalenze non realizzate di cui all’art. 1 10,
comma 1, lett. d) t.u.i.r., determinato dal carattere sostanzialmente fittizio dell’alienazione dei titoli iscritti nell’attivo circolante, come provato dal loro immediato riacquisto allo stesso prezzo, peraltro da società appartenente allo stesso gruppo, il che prova, secondo la CTR, la insussistenza della volontà di cessione effettiva degli stessi.
5.2. La seconda censura riguarda la parte della sentenza laddove la CTR ha sostenuto che le operazioni di vendita e di riacquisto sarebbero abusive in riferimento alle indicazioni dell’ISVAP; secondo la ricorrente l’art. 10 -bis considera come indebiti soltanto i vantaggi fiscali e solo se siano realizzati in contrasto con le finalità delle norme e dei principi fiscali.
All’esame della censura, va premesso che la circolare ISVAP n. 38 del 2011 prevedeva che al calcolo dei rendimenti dei titoli oggetto della cd. gestione separata collegata ai contratti di assicurazione sulla vita, contribuissero solo i proventi dei titoli e le plusvalenze o minusvalenze effettivamente realizzate.
Ciò premesso, la censura è inammissibile.
In primo luogo, infatti la CTR, ai fini della ricostruzione della condotta abusiva, non attribuisce esclusiva rilevanza alla circostanza che essa avrebbe violato le indicazioni dell’ISVAP ma, come visto, alla elusione del divieto di deduzione delle minusvalenze solo latenti e non effettivamente realizzate.
In secondo luogo, come già visto, la CTR esamina la questione delle indicazioni dell’ISVAP , che imponevano di ritenere rilevante ai fini del calcolo dei rendimenti della gestione separata solo le plusvalenze e le minusvalenze effettivamente realizzate, non in relazione alla descrizione del vantaggio indebito ma a proposito della sussistenza o meno delle valide ragioni extrafiscali che potessero giustificare l’operazione .
6. Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 cod. proc. civ., denunciando l’apparenza della motivazione ove la CTR ha escluso che sia configurabile come una valida ragione extrafiscale, idonea a legittimare la condotta contestata, l’esigenza di riallineare il risultato della gestione separata a cui erano collegate le prestazioni dei contratti di assicurazione sulla vita al suo risultato effettivo sulla base dell ‘ assunto, ritenuto apodittico, secondo cui tale riallineamento avrebbe comportato l’aggiramento delle istruzioni dell’ISVAP.
Con il settimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 10bis dello Statuto del contribuente laddove il giudice d’appello ha ritenuto irrilevante l’esigenza di riallineare il risultato della gestione separata costituita a copertura dei contratti di assicurazione sulla vita stipulati dai clienti al suo risultato effettivo in quanto il comma 2 dell’art. 10bis statuisce che si considerano operazioni prive di sostanza economica le operazioni inidonee a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali e il comma 3 dispone che non possono essere considerate abusive le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali. In particolare la società assume che la norma non subordina la rilevanza anche alla liceità civilistica e amministrativa di tali operazioni e riconosce espressamente valore esimente in ogni caso e quindi anche nel caso in cui le ragioni possano ridondare in un aggiramento delle indicazioni fornite da un’autorità amministrativa; ciò sarebbe confermato dalla previsione dell’articolo 14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, che prevede la tassabilità dei redditi derivanti da illeciti amministrativi con le stesse modalità della tassazione dei redditi da atti leciti.
6.1. I due motivi attengono alla sussistenza delle valide ragioni extrafiscali che ai sensi del comma 3 dell’art. 10bis dello Statuto, rilevano al fine di escludere la sussistenza dell’abuso.
L’art. 10bis della l. n. 212/2000, infatti, al comma 3, dispone che «non si considerano abusive in ogni caso le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente»; giova precisare che il comma 9 del medesimo articolo dispone che l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3 grava sul contribuente.
Deve preliminarmente escludersi in radice la fondatezza del dedotto vizio di motivazione apparente in quanto sul punto la CTR ha esplicitamente motivato, evidenziando che quanto dedotto dalla società non potesse configurare un valido motivo extra fiscale in quanto la stessa doveva farsi carico del rispetto delle regole ISVAP, che imponevano di dare rilievo ai fini dei rendimenti della gestione separata esclusivamente alle plusvalenze e minusvalenze effettivamente realizzate, e non poteva gravare la gestione separata interna, riducendo il margine assicurativo, in base al principio che si tratti di un onere che fa parte del rischio imprenditoriale; per cui l’aggiramento dei relativi delle relative indicazioni dell’ISVAP, effettuato per limitare il rischio di impresa, non poteva essere considerato un valido motivo extra fiscale.
La motivazione esiste graficamente e non viola il cd. minimo costituzionale, sfuggendo quindi il motivo ai canoni di deduzione del vizio di motivazione già illustrati nell’esame del primo e del quarto motivo.
In secondo luogo, e con riferimento alla dedotta violazione di legge, trattasi di un apprezzamento in fatto che sfugge alla possibilità di
essere censurato in termini di violazione di legge; inoltre, il principio dell’unicità dell’ordinamento non lascia prevedere che la violazione di una regola possa costituire la giustificazione di un comportamento parimenti vietato.
Con l’ottavo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ. in quanto la CTR ha erroneamente ritenuto assorbita e quindi omesso di pronunciare sull’eccezione formulata con il secondo motivo di appello con cui la società aveva contestato l’illegittimità dell’avviso di accertamento per il fatto che la maggior Ires accertata per il periodo d’imposta 2011 non era stata determinata al netto della maggior Ires liquidabile nel periodo di imposta 2011 e nei successivi per effetto delle operazioni contestate e precisamente tenendo conto delle plusvalenze, realizzate a seguito della vendita delle medesime azioni, determinate dal maggior prezzo conseguito rispetto al costo iscritto in base al riacquisto contestato nonché al netto della maggior Ires versata a seguito della riduzione delle riserve tecniche e della conseguente minore deduzione.
Con il nono motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente, laddove la CTR, nel decidere in merito al secondo motivo di appello descritto nel precedente motivo, ha omesso ogni motivazione.
Con il decimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., si deduce nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ., laddove la CTR ha ritenuto assorbito e quindi omesso di pronunciarsi sull’eccezione formulata dalla società contribuente con il terzo motivo di appello con cui la società aveva contestato l’illegittimità dell’accertamento per il fatto che con tale atto
l’ufficio, pur avendo disconosciuto la deducibilità delle minusvalenze, non ha poi tenuto conto del maggior costo fiscale delle azioni nella determinazione delle plusvalenze e minusvalenze realizzate nel predetto periodo di imposta, anche in violazione del divieto di doppia imposizione di cui all’articolo 163 t.u.i.r.
Con l’undicesimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce nullità della sentenza per motivazione apparente laddove si ritenga che la CTR della Lombardia ha rigettato l’eccezione di cui al precedente motivo, senza alcuna motivazione.
7.1. L’ottavo e il decimo motivo sono fondati, con conseguente assorbimento del nono e dell’undicesimo.
La CTR ha di fatto omesso di esaminare tali motivi di appello, debitamente individuati e localizzati nel ricorso, limitandosi ad affermare che «ogni altra deduzione trova assorbenza nella parte motiva esposta».
L’assorbimento di una domanda in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte che, con la pronuncia sulla domanda assorbente, ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre quello in senso improprio è ravvisabile quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento erroneamente dichiarato si traduce in una omessa pronunzia (Cass. 22/06/2020, n. 22193).
8 . Concludendo, vanno accolti l’ottavo e il decimo motivo, assorbiti il nono e l’undicesimo, mentre vanno rigettati gli altri motivi.
La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in
diversa composizione, per nuovo esame, cui è altresì demandato di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie l’ottavo e il decimo motivo, assorbiti il nono e l’undicesimo, e rigettati gli altri;
cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 24 gennaio 2025.