Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 444 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 444 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
Oggetto: abuso del diritto/elusione – evasione riqualificazione – contraddittorio
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24682/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
avverso la sentenza n.1365/2/17 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio depositata il 15.3.2017, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 23 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio veniva accolto l’appello proposto da ll’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 11959/52/15, con la quale il giudice aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’ avviso di accertamento n. TK50CM100193/2013, avente ad oggetto maggiore IRAP per l’anno di imposta 2008, oltre a sanzioni in eguale misura e interessi.
Le riprese ad imposizione traevano origine da una verifica nei confronti della società, conclusa con la redazione del processo verbale di constatazione del 4 luglio 2012. Veniva contestato alla società di aver architettato una frode carosello, realizzata con una condotta qualificata come abusiva del diritto, al fine di far figurare costi da portare in detrazione o, come nel caso di specie, in deduzione dalla base imponibile.
In sintesi, la contribuente operava nel settore dell’ information technology e costituiva società ad hoc (cd. newco ) alle quali solo formalmente venivano assegnate risorse umane, in parte provenienti dalla stessa RETIS, le quali, di fatto, svolgevano alle dipendenze della contribuente plurime prestazioni d’opera, trasformate in prestazioni di servizi. Venivano maggiorati e trasferiti i costi da personale dipendente in capo alle società satelliti, le quali fatturavano le prestazioni alla RETIS sino a quando, dopo alcuni anni, venivano sistematicamente dismesse mediante trasferimento delle quote sociali e riduzione del loro debito verso l’erario mediante una serie di dichiarazioni
rettificative. Venivano così fatturate dalle società satelliti alla contribuente ingenti prestazioni di servizi con il triplice vantaggio fiscale per la RETIS di ottenere:
a) ai fini IRES, la rappresentazione di costi maggiori pari alla differenza del costo del personale sostenuto dalle società satelliti e il costo delle prestazioni fittiziamente rese alla contribuente e da questa portato in deduzione ai fini fiscali;
ai fini IRAP, la deduzione dell’intero costo del personale, oggetto di ripresa nel presente processo;
ai fini IVA, l’indebita detrazione sulle fatture relative alle prestazioni di servizi resi dalle società satellite.
In ultima analisi, la ricorrente realizzava una condotta antieconomica sul piano industriale, dal momento che moltiplicava i costi per le prestazioni suddette, operazione qualificata dall’Amministrazione finanziaria come abusiva del diritto/elusiva.
Il giudice di prime cure accoglieva la preliminare e assorbente doglianza della società di violazione da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’art. 37bis , comma 4, del d.P.R. n. 600/1973, ossia per mancata instaurazione del contraddittorio rafforzato ivi procedimentalizzato, e articolato nella richiesta di chiarimenti, nell’acquisizione delle eventuali osservazioni presentate dal contribuente e nella successiva motivazione circa il ravvisato fine elusivo delle operazioni effettuate. Secondo il giudice di primo grado, la suddetta garanzia del contraddittorio valeva non soltanto per le fattispecie elusive tipizzate nella norma, ma, a maggior ragione, anche per l’ipotesi meno prevedibile dell’elusione/abuso del diritto non codificato qual era ritenuto essere il caso di specie.
Il giudice d’appello, al contrario, per quanto qui interessa, riteneva superabile la questione preliminare, affermando che nel caso di specie non fosse necessario il contraddittorio preventivo previsto dall’art. 37-bis, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente ratione temporis , e decideva la causa nel merito, accogliendo
il gravame e, su concorde prospettazione delle parti, quanto alle sanzioni applicava il cumulo giuridico e la continuazione in luogo del cumulo materiale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente, affidato ad un unico motivo, al quale l’Agenzia ha replicato con controricorso.
Considerato che:
Con un unico motivo di ricorso, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., viene censurata la sentenza di appello, per aver mancato di riconoscere che nella fattispecie l’Amministrazione finanziaria ha violato l’art. 37-bis, comma 4, d.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973 nonché il generale divieto di abuso del diritto e delle relative garanzie, per aver omesso l’invio della preventiva richiesta di chiarimenti previsto dalla menzionata disposizione di legge, con conseguente illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato.
La censura è infondata.
2.1. Nel caso di specie, la ricostruzione del fatto alla base dell’avviso di accertamento e confermata dal giudice d’appello, sintetizzata nella prima parte della presente decisione, è logica e coerente e non pu ò̀ essere rivalutata in sede di legittimit à̀ . Il Collegio non ne condivide però la qualificazione giuridica in termini di abuso del diritto/elusione, poiché le contestazioni sono chiaramente dirette a contrastare l’evasione fiscale.
Affinché operi la clausola antielusiva occorre che la società faccia un utilizzo improprio o distorto dello strumento negoziale e che tale uso sia realizzato allo scopo specifico, seppure non esclusivo, di eludere la norma tributaria e di ottenere in questo modo un vantaggio fiscale.
Al contrario, nel presente caso, dalla contestazione operata dall’Agenzia non emerge un uso distorto della normativa fiscale o del singolo strumento negoziale, in quanto la fattispecie ha riguardato una artificiosa moltiplicazione di costi da parte della contribuente attraverso il ricorso a società ad hoc fittizie cui è stato assegnato solo
formalmente il proprio personale e che hanno fatturato le prestazioni come cartiere. Le prestazioni d’opera/servizi, sulla base della contestazione dell’Amministrazione finanziaria, sono state effettivamente realizzate, ma tra soggetti diversi da quelli che risultano dalla relativa documentazione contabile. Le prestazioni d’opera, secondo la prospettazione dell’Agenzia, sono state realizzate da personale in parte proveniente dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, e non realmente dalle società satelliti, che si sono limitate a fatturare le prestazioni come servizi. Solo sulla carta sarebbero state assegnate risorse umane a tali società, che poi sono state sistematicamente dismesse con riduzione del debito fiscale verso l’erario . La condotta antieconomica contestata alla contribuente come realizzata allo scopo di detrarre l’IVA e dedurre i maggiori costi dalla base imponibile, segue perciò uno schema che va sicuramente ricondotto al fenomeno dell’evasione. Ne deriva che l’invocato art. 37 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973 giustamente non è stato ritenuto applicabile dal giudice d’appello, seppure dev’essere corretta la motivazione ex art.384, u.c., cod. proc. civ. in quanto la riconduzione della fattispecie concreta alla disciplina dell’abuso del diritto/elusione non è pertinente, errore del resto com- messo dalla stessa Amministrazione finanziaria.
Non vi sono ostacoli particolari alla riqualificazione della fattispecie da elusiva/abusiva. In un precedente relativo all’interpretazione di fattispecie negoziale (cfr. Cass. Sez. 5, sentenza n. 27550 del 30/10/2018) la Corte ha già operato un simile procedimento ermeneutico sussumendo il fatto nell’evasione e, nel presente ricorso, per effetto della riqualificazione non si realizza alcun nocumento al diritto di difesa, non solo perché i fatti posti a base dell’accertamento restano intatti e muta solo la sussunzione giuridica, ma anche in quanto nessuna lesione del contraddittorio endoprocedimentale è avvenuta nella fattispecie, riqualificata come evasione fiscale.
3.1. Al proposito il Collegio rammenta che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il vizio dell’avviso
di accertamento derivante dall’inosservanza del termine dilatorio per il contraddittorio endoprocedimentale di cui all’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000, non è rilevabile d’ufficio e dev’essere contestato dal contribuente nel ricorso introduttivo, riguardando la violazione di una norma posta a difesa del diritto dello stesso contribuente al pieno dispiegarsi del contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. Sez. 5, ordinanza n. 22549 del 18/07/2022). Nondimeno, la questione del rispetto del contraddittorio procedimentale è stata introdotta dalla contribuente nel presente processo in primo grado, sia pure sotto l’angolo del contraddittorio rafforzato in risposta alla contestazione dell’abuso del diritto/elusione formulata dall’Amministrazione e di ciò dev’essere tenuto conto all’esito della riqualificazione della fattispecie in evasione fiscale.
3.2. Orbene, le Sezioni Unite, con la sentenza 29 luglio 2013 n. 18184, hanno statuito con riferimento ai diritti e alle garanzie del contribuente sottoposto a ispezioni, verifiche e accessi fiscali, che l’art. 12, comma 7, legge 27 luglio 2000, n. 212, va interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento -salve ragioni particolari di urgenza non dedotte nell’attuale ricorso – determina la nullità dell’atto, e il termine decorre dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni.
Nel caso in esame l’ispezione si è conclusa con p.v.c. del 4 luglio 2012 e l’avviso accertamento notificato il 7 marzo 2013 rispetta anche il termine dilatorio di 60 giorni previsto dalla legge.
4. Il ricorso è conclusivamente rigettato. Le spese di lite sono regolate come da dispositivo e seguono la soccombenza.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 5.800,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23.10.2024