Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10706 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10706 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9025/2021 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ;
– ricorrente –
Contro
COGNOME con l’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, n. 5629/2020, depositata in data 21 ottobre 2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR della Sicilia, che ha annullato l’avviso di accertamento, accogliendo l’appello della contribuente, in riforma della sentenza di primo grado. La controversia ha origine dalla impugnazione da parte di NOME COGNOME
IRPEF -AVVISO DI ACCERTAMENTO
di avviso di accertamento, per Irpef anno 2007, per indebito utilizzo di componenti negativi di reddito derivanti da utili spettanti all’associato in partecipazione nella sua attività di rivendita di tabacchi, preso atto che per tale attività – per la quale occorreva una licenza personale intestata al titolare- vi era il divieto di stipulare un contratto di associazione in partecipazione; né avrebbe potuto la contribuente detrarre componenti negativi di reddito derivanti dagli utili spettanti agli associati in partecipazione.
La CTR, premesso che l’avviso impugnato trova fondamento nell’abuso del diritto con finalità elusive, lo ha annullato perché non preceduto dalla richiesta di chiarimenti circa la presunta elusività della fattispecie contestata, in violazione dell’art. 37 bis dpr 600/73, per mancata richiesta di chiarimenti alla contribuente tramite contraddittorio anticipato, e omessa indicazione dei motivi per cui si ritenevano applicabili i commi 1 e 2 dell’art. 37 bis D.P.R. 600/73. Richiama giurisprudenza che in tema di disciplina antielusiva ha dichiarato nullo l’avviso di accertamento che non contiene una specifica motivazione sulle giustificazioni fornite dal contribuente.
Resiste con controricorso la contribuente.
Considerato che:
Con l’unico motivo del ricorso, così rubricato, l’Ufficio lamenta la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 37 bis, comma 1,2,3, lett. 8) e art. 39 co. 1 lett. c) d.P.R. n. 600/73, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.».
Osserva l’Amministrazione che la CTR non ha tenuto conto di una serie di elementi contenuti nell’accertamento, che dimostrano un utilizzo distorto del contratto di associazione in partecipazione al solo fine di ottenere un indebito vantaggio fiscale.
Sostiene, inoltre, che la garanzia del contraddittorio prevista dall’art. 37 bis cit. non opererebbe ogniqualvolta la ripresa dell’Ufficio trovi
causa nell’abuso del diritto nel settore tributario, ma solamente nelle ipotesi tipizzate dall’art. 37 -bis cit.
Inoltre, l’Ufficio deduce, per altra via, di non avere contestato l’abuso del diritto ma la indeducibilità dei costi.
Il motivo è infondato.
2.1. In primo luogo, la condotta abusiva risulta espressamente contestata nell’atto impositivo – trascritto nei passaggi qui rilevanti dalla contribuente nel proprio controricorso – ove risulta affermato, a fondamento del recupero a tassazione, che la fattispecie posta in essere avrebbe realizzato «l’ipotesi di abuso con finalità elusive», dal momento che l’operazione non sarebbe stata fondata «su valide ragioni economiche ma su indeb iti vantaggi fiscali conseguiti dall’associante» NOME COGNOME
L a circostanza che l’Ufficio abbia individuato una fattispecie di abuso del diritto appare dunque, per quanto ora osservato, certa.
A tale riguardo, anche ipotizzando, come sostenuto dalla Difesa erariale, che l’Ufficio abbia applicato il principio generale di divieto di abuso del diritto, piuttosto che la fattispecie tipizzata di disposizione antielusiva, si deve ritenere che sussista ugualmente l’obbligo di prestare osservanza alle disposizioni di cui all ‘art. 37 bis comma 4 e 5 che prevedono, a pena di nullità, il contraddittorio preventivo e la motivazione rafforzata.
4.1. Questa Corte, in via interpretativa e costituzionalmente orientata, ha esteso il contraddittorio endoprocedimentale specifico nelle forme rigorose dell’art. 37-bis citato anche all’abuso (innominato) del diritto, affermando che «In tema di imposte sui redditi, l’applicazione della disciplina antielusiva di cui all’art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 (ratione temporis applicabile) postula l’osservanza del contraddittorio procedimentale sancito dai commi 4 e 5 e, in particolare, una richiesta di chiarimenti nella quale devono essere indicati i motivi per cui si
reputano applicabili i commi 1 e 2, pena la nullità dell’avviso di accertamento emesso: sanzione, quest’ultima, reputata non in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. dalla Corte costituzionale, nella sentenza del 7 luglio 2015, n. 132, in considerazione delle peculiarità dell’accertamento e del ruolo decisivo degli elementi forniti dal contribuente in vista della valutazione dell’Amministrazione circa l’esistenza, o meno, di valide ragioni economiche sottese alle operazioni esaminate» (così, Cass. 2439/2017; Cass. n. 16546/2019, specialmente § 11.4 e giurisprudenza ivi cit.; Cass. n. 28676/2019).
4.2. Né depone in senso contrario quanto di recente affermato da Cass. n. 33793/2022. Ed anzi la richiamata pronuncia, strettamente legata alla fattispecie del rilievo officioso dell’abuso, dopo avere ribadito come sia «diritto vivente l’estensione all’abuso innominato dei presidî del contraddittorio previsti per la diversa ipotesi dell’abu so tipizzato di cui all’art. 37-bis, d.P.R. n. 600 del 1973», ha quindi regolato diversamente lo specifico caso della riqualificazione, da parte dei giudici di appello, della condotta del contribuente in termini di elusione, a fronte dell’evasione contestata dall’Ufficio. Si è infatti ritenuto che la diversa qualificazione giuridica del fatto -che, in materia di abuso, può essere operata anche d’ufficio nel corso del giudizio – non incida sugli oneri procedimentali imposti a carico dell’Amministrazione previsti dai commi 4 e 5 dell’art. 37 bis cit. in ragione del fatto che, ove si propendesse per la soluzione opposta, verrebbe meno in radice la rilevabilità d’ufficio, anch e in sede di legittimità, del negozio abusivo, la quale, invece, è pacificamente ammessa dalla S.C. (cfr. Cass. Sez. U., n. 30055/2008; Cass. n. 17949/2012).
4.3. Ancora estranee al tema qui dibattuto sono le disposizioni antielusive tipiche che punteggiano la variegata normativa tributaria (si pensi al transfer pricing , alla disciplina delle società non operative o di comodo, al c.d. ‘valore normale’ nei diversi contesti delle IIDD, Iva,
doganale, etc.), non sovrapponibili alle prescrizioni (quali quelle endoprocedimentali del contraddittorio preventivo e dell’obbligo della motivazione rafforzata dell’atto impositivo) dell’articolo 37 -bis o dell’abuso innominato ( ex multis v. Cass. n. 6079/2023).
5. Si rileva, infine, che laddove l’Agenzia delle entrate pare voler ricondurre il recupero -anche – alla differente contestazione della mancata documentazione di componenti negativi del reddito, tale immutazione, avente ad oggetto l’elemento essenziale d ella causa petendi sottesa alla pretesa erariale, come manifestata nell’avviso di accertamento, risulterebbe comunque, per tale ragione, inammissibile; e ad ogni modo, in esito alle proprie difese, la ricorrente ribadisce che nella fattispecie in esame vi sarebbe stato un «utilizzo distorto del contratto di associazione in partecipazione al solo fine di ottenere un indebito vantaggio fiscale…» (ricorso, p. 11), così ribadendo la prospettazione in termini di abuso.
6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio n. 115, art. 13 comma 1-quater (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2025