Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30585 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30585 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 20/11/2025
Aiuto Crescita Economica – Aumento di capitale Abuso del diritto – PDA.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24241/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’ AVV_NOTAIO, in forza di procura allegata al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 3765/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, depositata il 7/06/2024, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 ottobre 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania rigettò l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza resa dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Napoli che ne aveva respin to il ricorso proposto contro l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2016 con il quale era stato contestato il carattere abusivo , ai sensi dell’art. 10 -bis della legge n. 212/2000, dell ‘ operazione di aumento di capitale dell’importo di euro 17.000.000,00 deliberata il 4/12/2014 in quanto finalizzata esclusivamente ad ottenere l’agevolazione fiscale denominata ACE (Aiuto alla crescita economica) di cui all’art. 1 d.l. n. 201 del 2011 conv. dalla legge n. 214/2011 e a ll’art. 2 d.m.14 marzo 2012.
In particolare, i giudici dell’appello dopo aver ricostruito la normativa e il quadro giurisprudenziale in tema di abuso del diritto, evidenziavano la natura circolare dell ‘operazione, in quanto l’importo versato dalla socia di diritto inglese RAGIONE_SOCIALE per l’aumento di capitale era stato finanziato dalla società di diritto italiano RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e restituito dalla RAGIONE_SOCIALE alla stessa RAGIONE_SOCIALE il giorno dopo la delibera (tutte le società facevano riferimento allo stesso gruppo RAGIONE_SOCIALE), con un evidente effetto compensativo che rendeva le operazioni prive di sostanza economica e finalizzate solo al conseguimento del beneficio fiscale; evidenziavano che l’assunto dell’ufficio resisteva altresì all’argomentazione dell’appellante, secondo cui l’operazione era giustificata dalla finalizzazione all’ estinzione di proprie passività in forza di un contratto di gestione accentrata di tesoreria tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, evidenziando che, in pari data, dal conto corrente intestato alla NOME era disposto in uscita un bonifico di euro 17.000.000,00 in favore di RAGIONE_SOCIALE e negando che tale importo fosse riconducibile al pagamento di debiti della società.
Contro tale decisione la società contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di un motivo, cui resiste con controricorso l’ RAGIONE_SOCIALE.
Il consigliere delegato ha depositato proposta di definizione accelerata cui ha fatto seguito tempestiva istanza di decisione.
Il ricorso è stato fissato per l ‘adunanza camerale ex art. 380bis .1 c.p.c. del 24 ottobre 2025 per la quale la ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di impugnazione, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 10 -bis della l. n. 212/2000 nonché dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Suprema Corte in relazione alla disciplina dell’abuso del diritto.
Il motivo va respinto.
2.1. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato, sin dal 2008, che in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diver se dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta c on il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali . Esso comporta
l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione. (Cass. Sez. U. n. 30055/2008; Cass. Sez. U., n. 30057/2008; Cass. n. n. 3938/2014; Cass. n. 4603/2014; Cass. n. 5090/2017; Cass. n. 14674/2024; cfr. inoltre Corte di giustizia UE, nei casi 3M-Italia, RAGIONE_SOCIALE– e Part Service); se, dunque, è consentito al contribuente di preferire fra più alternative quella che comporti una riduzione di imposta o un risparmio fiscale, ciò che rende elusiva la sua condotta sta proprio nella distorsione dell’uso degli strumenti giuridici messi a disposizione dell’ordinamento, al fine esclusivo di ottenere quel vantaggio fiscale cui non avrebbe diritto, salvo che l’operazione posta in essere fosse giustificata anche da valide e diverse ragioni economiche.
Resta fermo, tuttavia, che incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che RAGIONE_SOCIALE modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale (Cass. n. 9610/2017), mentre è onere del contribuente provare l’esistenza di un contenuto economico dell’operazione diverso dal mero risparmio fiscale ( Cass. n. 1372/2011, in motivazione).
Tali principi risultano richiamati dalla sentenza impugnata e in effetti la stessa ricorrente evidenzia la corretta ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale che i giudici di appello hanno delineato in tema di abuso del diritto; la società infatti espone due censure.
2.2. Con la prima lamenta che la Corte di giustizia di secondo grado avrebbe erratamente ritenuto «incontestata» la natura restitutoria
dell’operazione di versamento in data 5/12/2014 da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, laddove invece la difesa della società aveva dedotto che essa non costituiva una restituzione ma era posta in essere in esecuzione di un accordo infragruppo di fornitura dei servizi di gestione finanziaria del 30/04/2011, in base al quale RAGIONE_SOCIALE era tenuta a fornire in favore di RAGIONE_SOCIALE i predetti servizi.
La censura è infondata, in quanto dalla lettura integrale della decisione emerge chiaramente che i giudici di appello non abbiano inteso ritenere incontestata la natura «restitutoria» della operazione del 5/12/2014 ma solo il fatto materiale che in quella data fosse avvenuto il trasferimento, da parte di RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, della medesima somma oggetto dell’aumento di capitale.
Ciò è reso del resto evidente dal fatto che la stessa Corte esamina espressamente la contestazione della società, mossa al riguardo della natura di tale operazione e secondo cui in realtà tale somma era versata in esecuzione dell’accordo infragruppo di pool sharing .
Deve quindi escludersi che la Corte di giustizia abbia dato rilievo al principio di non contestazione della cui mancanza di presupposti si duole la ricorrente.
2.3. Con una seconda censura la società evidenzia che la Corte avrebbe di fatto non considerato che effettivamente la RAGIONE_SOCIALE aveva pagato i debiti di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di terzi in esecuzione del predetto accordo e che quindi l’operazione di riversamento dei fondi, necessari a tale scopo, era reale e non fittizia.
Tale censura va considerata inammissibile.
La Corte campana ha esaminato gli elementi distorsivi e anomali che hanno determinato la decisone dei primi giudici a ritenere sussistente un indebito vantaggio fiscale non giustificato: in particolare la modalità con cui l’aumento di capitale è stato effettuato, cioè attraverso un contratto di gestione accentrata di tesoreria, e la
restituzione dopo un solo giorno dell’importo ricevuto, ha nno portato a concludere che l’aumento di capitale non era stato effettuato per scopi tipici come la realizzazione di un plano industriale, ma era finalizzato solo all’avvalimento dell’agevolazione fiscale di cui all’art. 1 del d.l n. 201 del 2011 , negando che l’importo fosse riconducibile al pagamento di debiti.
Trattasi di ragionamento esente da critiche e in realtà la censura esposta appare, più che altro, preordinata ad un nuovo esame del merito, da ritenersi escluso in sede di legittimità (tra le altre, Cass. n. 34837/2023); essa, infatti, appare finalizzata ad un accertamento fattuale di segno opposto a quello espresso dalla CGT di II grado in sede di apprezzamento della fattispecie concreta, mediante l’evidenziazione di taluni elementi in fatto ( l’avvenuto pagamento da parte di RAGIONE_SOCIALE dei debiti di RAGIONE_SOCIALE e volto a dimostrare l’effettività dell’operazione di trasferimento dei fondi) il cui esame risulterebbe omesso o insufficiente.
Il motivo peraltro sfugge alla possibile riqualificazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., ostandovi il disposto dell’art. 360, quarto comma, c.p.c., in presenza di una cd. doppia conforme.
Il ricorso va pertanto respinto.
Alla soccombenza segue la condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore dell’RAGIONE_SOCIALE.
Trattandosi di decisione conforme alla proposta di definizione, la parte ricorrente va, inoltre, condannata, al pagamento, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. di una somma in favore del controricorrente, nonché, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., al pagamento dell’ulteriore somma liquidata in dispositivo in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende, in virtù del richiamo a tali disposizioni operato dal l’art. 380 -bis c.p.c.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito, nonché della somma di euro 2.500,00 ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna la ricorrente RAGIONE_SOCIALE al pagamento di euro 1.000,00 , ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME