Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 104 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5   Num. 104  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , con AVV_NOTAIO; –  ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ; –   controricorrente –
Avverso  la  sentenza  della  Commissione  Tributaria  Regionale della Toscana, n. 1532/16/16 depositata il 19 settembre 2016.
Udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio del 16 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
L’Agenzia  rilevava  come  la  seguente  operazione  posta  in essere dalla  società  ricorrente  costituisse  un’ipotesi  di  abuso  del diritto, volta così a percepire un indebito risparmio fiscale.
Il 28 maggio 2007 veniva costituita la RAGIONE_SOCIALE tra vari soggetti legati da vincoli famigliari. Tre di tali soci  erano  altresì  soci,  con  identica  proporzione,  della  RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
ABUSO DIRITTO
Il  12  luglio  2007  RAGIONE_SOCIALE  COGNOME  acquistava  terreni  edificabili per  €  3.768.290,00,  che  rivendeva  a  RAGIONE_SOCIALE  DI  RAGIONE_SOCIALE  il  26 marzo 2008 per l’importo di € 4 milioni.
Il  giorno  27  marzo  2008  i  beni  acquistati  da  RAGIONE_SOCIALE  DI RAGIONE_SOCIALE  venivano  periziati  ad  un  valore  di  €  10  milioni.  Il  28 aprile  2008 i  soci  di  RAGIONE_SOCIALE  DI  RAGIONE_SOCIALE (come visto  titolare di immobili per € 10 milioni) cedevano le proprie partecipazioni sociali a  RAGIONE_SOCIALE,  al  prezzo  di  €  6  milioni,  oltre  a  rimborso finanziamento soci per € 4.800.000, pagando sul prezzo di cessione l’imposta sostitutiva del 2 %.
Il  successivo  7  ottobre  2008  RAGIONE_SOCIALE  DI  RAGIONE_SOCIALE  veniva incorporata in RAGIONE_SOCIALE.
Dalla complessa operazione immobiliare l’Agenzia traeva la conseguenza che si trattasse di un’operazione caratterizzata da abuso del diritto, in quanto RAGIONE_SOCIALE si presentava all’evidenza come società veicolo, partecipata in proporzione dalla stessa compagine di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, estesa ad altri famigliari, costituita solo per quell’operazione e solo per sedici mesi, per finire incorporata dalla stessa acquirente dei terreni; l’alienante vendendo a € 4 milioni ciò che in realtà ne valeva 10 aveva rinunciato ingiustificatamente ad un notevole guadagno, al solo scopo in realtà di consentire ai soci di tassare il notevole guadagno (euro 6 milioni) anziché con l’aliquota progressiva ex art. TUIR, con l’imposta sostitutiva del 2 %.
La CTP respingeva il ricorso e la CTR confermava la sentenza di primo grado.
Da qui il ricorso in cassazione della contribuente basato su due motivi, mentre l’Agenzia resiste a mezzo di controricorso.
Successivamente la ricorrente depositava memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE
1. Col primo motivo si deduce falsa applicazione dell’art. 37 -bis, d.p.r.  n.  600/1973  e  dell’art.  2,  commi  1  e  2,  d.l.  n.  282/2002,
nella  parte  in  cui  i  giudici  d’appello  ebbero  a  concludere  che obiettivo della complessa operazione descritta era il trasferimento dei beni dalla ricorrente alla RAGIONE_SOCIALE, il cui trasferimento diretto  avrebbe  determinato  un’elevata  tassazione  soggetta  al principio  di  progressività  in  capo  ai  soci.  Risparmio  che  avrebbe costituito  l’esclusiva  ragione  dell’operazione,  caratterizzata  dagli elementi in precedenza indicati.
Osserva  in  particolare  la  ricorrente  che  l’abuso  del  diritto, configurato  dall’art.  37 -bis,  d.p.r.  n.  600/1973,  presuppone  che una  delle  operazioni  ivi  citate  siano  determinate  esclusivamente dallo  scopo  di  ottenere  un  risparmio  fiscale  o  quantomeno  che  la compresenza dello scopo extra-fiscale non sia marginale.
1.1. Va sottolineato anzitutto come lo scopo abusivo, e quindi l’assenza o la marginalità dello scopo extra -fiscale, debbano essere oggetto di dimostrazione da parte dell’ufficio.
Nella specie siffatta prova può dirsi raggiunta, perché a fronte della già descritta operazione, risultano evidenti gli elementi che portano a presumere la suddetta abusività, laddove viene valorizzata dalla stessa CTR l’assenza di ragioni economiche. In effetti vengono in rilievo la costituzione di una società per un periodo di tempo limitato avente all’attivo i soli beni immobili oggetto poi di compravendita; con una compagine sociale che rispecchia la proporzione di quella venditrice; estesa ad altri soggetti ma sempre legati ai soci della ricorrente, i quali ultimi conseguono anche un risparmio certo in sede di rivalutazione, perché la loro partecipazione non risulta più qualificata; la società costituita rinuncia ingiustificatamente ad un notevole guadagno, viene poco dopo incorporata nella società acquirente, dunque si qualifica come società-veicolo.
Alla luce di quanto precede neppure è invocabile nella specie il precedente  indicato  dalla  controricorrente,  Cass.  8484/24,  che appunto prescrive condivisibilmente la necessità di verificare
puntualmente  la  sussistenza  di  indici  di  elusività,  quali  infatti appunto quelli appena rassegnati, e di assenza di effettive ragioni economiche diverse dal mero risparmio fiscale, in ciò adeguandosi alla consolidata giurisprudenza di questa Corte.
A  fronte  di  tutto  ciò,  nessuna  giustificazione -in  ordine  alla ragione  economica  sia  pur  concomitante  a  quella  fiscale  ma  non marginale -porta la parte ricorrente. La stessa sentenza impugnata accerta l’assenza di prove su alcune ragioni abbozzate.
Anche la circostanza che nel frattempo sia stata emanata una norma di rivalutazione (art. 9, l. n. 244/2007), risulta irrilevante, perché  non  tange  in  maniera  apprezzabile  l’operazione  di  fondo, cioè il  fatto  che  l’unica  ragione  era  e  rimaneva  la  sottrazione  alla tassazione  progressiva  del  rilevante  utile  realizzato  dai  soci  a seguito dell’operazione.
Il motivo è quindi infondato.
Col secondo motivo si deduce violazione dell’art. 27, primo comma, d.p.r. n. 600/1973, mancando il presupposto della distribuzione degli utili ed operando il divieto di praesumptio de praesumpto . Sostiene in proposito la ricorrente che l’applicazione della ritenuta del 12,5 % sugli utili presuppone che i soci tali utili abbiano effettivamente conseguito, mentre essa non avvenne, ed anzi sarebbe frutto della doppia presunzione per cui l’utile deriverebbe dall’operazione di vendita diretta del terreno da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, a quel punto i relativi utili sarebbero stati distribuiti.
2.1.  L’art.  37  bis  d.p.r.  n.  600/1973  stabilisce  l’inopponibilità all’erario  dei  negozi  diretti  ad  aggirare  obblighi  o  divieti  previsti dall’ordinamento tributario.
Per quanto si è osservato al motivo precedente, risulta accertata  un’operazione  abusiva  che  pertanto  è  inopponibile  e dunque va applicata la disciplina come se la stessa non fosse stata
posta in  essere,  cioè  appunto  come  se  la  vendita  fosse  avvenuta direttamente da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE.
A  tale  stregua  risulta  pienamente  giustificata  l’applicazione della ritenuta sugli utili che si sarebbero così determinati, posto che a  quel  punto  la  sussistenza  degli  stessi  e  il  diritto  al  relativo percepimento  da  parte  dei  soci  non  è  oggetto  di  alcuna  ulteriore presunzione.
 Il  ricorso  in  conclusione  merita  rigetto,  con  spese  a  carico della ricorrente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare,  ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1quater ,  del  d.P.R.  30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto  dall’art.  1,  comma  17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso, condannando  la ricorrente al pagamento  delle  spese  che  liquida  in  €  10.000,00,  oltre  spese prenotate a debito.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare  un  ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato,  se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2024