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Abuso del diritto: no a minusvalenze da dividend washing

La Corte di Cassazione ha confermato un accertamento fiscale contro una società per abuso del diritto, attuato tramite un’operazione di “dividend washing”. La Corte ha stabilito che le minusvalenze generate da operazioni prive di sostanza economica, finalizzate unicamente a ottenere vantaggi fiscali, non sono deducibili. Ha inoltre chiarito i requisiti del contraddittorio preventivo, ritenendo legittimo l’avviso emesso dopo la scadenza dei 60 giorni per le osservazioni del contribuente, anche in assenza di una risposta tempestiva.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Abuso del diritto: la Cassazione nega la deducibilità delle minusvalenze da “Dividend Washing”

Con la recente sentenza n. 22072 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema centrale del diritto tributario: l’abuso del diritto. Il caso esaminato offre importanti chiarimenti sulla qualificazione delle operazioni elusive, come il cosiddetto “dividend washing”, e sui correlati obblighi procedurali a carico dell’Amministrazione Finanziaria. La decisione ribadisce che la forma giuridica non può prevalere sulla sostanza economica, soprattutto quando l’unico scopo di complesse operazioni societarie è quello di ottenere un indebito risparmio d’imposta.

Il Caso: una Complessa Operazione Societaria

Una società in liquidazione ha impugnato due avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava, per le annualità 2004 e 2005, la deducibilità di ingenti minusvalenze. Tali perdite derivavano da una serie concatenata di operazioni straordinarie, tra cui acquisizioni di partecipazioni, scissioni, distribuzioni di dividendi e successive cessioni di quote.

Secondo l’Amministrazione Finanziaria, l’intera architettura societaria era stata preordinata al solo fine di realizzare un’operazione di “dividend washing”. Lo schema prevedeva l’acquisto di partecipazioni, l’incasso di cospicui dividendi e la successiva vendita delle stesse partecipazioni a un prezzo inferiore (svalutato proprio dalla distribuzione degli utili), generando così una minusvalenza contabile. Tale perdita, secondo i piani della società, avrebbe dovuto abbattere l’utile imponibile, riducendo drasticamente l’IRES dovuta.

L’Agenzia ha ritenuto che tali operazioni fossero prive di valide ragioni economiche e che l’unico obiettivo fosse eludere il fisco, configurando un chiaro caso di abuso del diritto.

La Questione del Contraddittorio e l’Abuso del Diritto

La società ricorrente, oltre a difendere la legittimità economica delle operazioni, ha sollevato importanti eccezioni procedurali. In particolare, ha lamentato la violazione del contraddittorio preventivo previsto dall’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/73.

Per l’annualità 2004, l’avviso di accertamento era stato notificato prima che l’Agenzia ricevesse i chiarimenti richiesti, sebbene la società li avesse inviati entro il termine di 60 giorni. Per il 2005, invece, la società sosteneva che l’atto impositivo non avesse adeguatamente motivato in relazione alle giustificazioni fornite, limitandosi a farvi un generico “cenno”.

La Corte di Cassazione ha dovuto quindi valutare non solo la sostanza delle operazioni (la loro natura elusiva), ma anche la correttezza formale dell’azione accertatrice dell’Amministrazione Finanziaria.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso della società, fornendo motivazioni dettagliate sia sul piano procedurale che su quello sostanziale.

Sulla Procedura

In merito al contraddittorio preventivo per il 2004, la Corte ha chiarito un punto fondamentale: il termine di 60 giorni concesso al contribuente per “inviare” i chiarimenti deve essere interpretato nel senso di “comunicare”, ovvero far pervenire la risposta all’Ufficio entro tale scadenza. Poiché la risposta della società era pervenuta oltre i 60 giorni, l’Agenzia aveva legittimamente emesso l’avviso di accertamento, non essendo tenuta ad attendere oltre. Per quanto riguarda il 2005, i giudici hanno ritenuto che la motivazione dell’accertamento fosse sufficiente. L’aver “fatto cenno” alle giustificazioni del contribuente non è un vizio se tale menzione si inserisce in un contesto argomentativo più ampio che confuta punto per punto la validità economica delle operazioni, come avvenuto nel caso di specie.

Sulla Sostanza: l’Abuso del Diritto

Sul merito della questione, la Cassazione ha confermato l’impianto accusatorio dell’Agenzia. Le operazioni poste in essere (acquisizione, scissione, distribuzione di dividendi e cessione) sono state valutate nel loro complesso e non singolarmente. Da questa visione d’insieme è emersa la totale assenza di una logica economica o di un valido “riordino sociale”. Le operazioni, realizzate in un breve lasso di tempo da un gruppo di persone riconducibile a poche famiglie, avevano generato minusvalenze superiori ai dividendi incassati, con l’unica evidente finalità di abbattere l’imponibile. La mancanza di motivi economici validi, unita al notevole risparmio d’imposta, ha costituito per la Corte la prova del disegno elusivo. Infine, la Corte ha confermato la legittimità delle sanzioni amministrative per dichiarazione infedele, chiarendo che la non rilevanza penale dell’abuso del diritto non esclude l’applicazione delle sanzioni tributarie.

Conclusioni: Implicazioni della Sentenza

Questa sentenza consolida alcuni principi cardine in materia di elusione fiscale. Innanzitutto, riafferma che la lotta all’abuso del diritto si basa su un’analisi della sostanza economica delle operazioni, che prevale sulla loro veste giuridica formale. In secondo luogo, fornisce un’interpretazione rigorosa degli oneri procedurali del contraddittorio preventivo, chiarendo che il rispetto dei termini è un dovere di entrambe le parti. Per le imprese, il messaggio è chiaro: le strategie di pianificazione fiscale devono essere supportate da concrete e dimostrabili ragioni economiche e commerciali, pena il disconoscimento dei vantaggi fiscali ottenuti e l’applicazione di pesanti sanzioni.

Quando un’operazione finanziaria è considerata “abuso del diritto” dal fisco?
Un’operazione è considerata abuso del diritto quando, pur rispettando formalmente la legge, è priva di sostanza economica e ha come scopo essenziale quello di ottenere un vantaggio fiscale indebito. Gli indici principali sono la mancanza di valide ragioni economiche e il conseguimento di un risparmio d’imposta altrimenti non ottenibile.

È obbligatorio per l’Agenzia delle Entrate attendere la risposta del contribuente prima di emettere un avviso di accertamento per abuso del diritto?
L’Agenzia delle Entrate è obbligata a rispettare il termine dilatorio di 60 giorni dalla ricezione della richiesta di chiarimenti da parte del contribuente. Se il contribuente non risponde entro tale termine, l’Agenzia può legittimamente procedere con l’emissione dell’avviso. Il termine per “inviare” la risposta significa che essa deve pervenire all’Ufficio entro i 60 giorni.

L’abuso del diritto, pur non essendo un reato penale, comporta l’applicazione di sanzioni amministrative?
Sì. La Corte ha confermato che le operazioni elusive che portano a una dichiarazione di un reddito inferiore a quello accertato integrano gli estremi della dichiarazione infedele. Di conseguenza, sono applicabili le sanzioni amministrative previste dalla legge, anche se la condotta non costituisce reato secondo la normativa penale tributaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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