Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32303 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32303 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 9699/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL PIEMONTE n. 1040/2015 depositata il 12/10/2015.
Udita la relazione svolta nella PUBBLICA UDIENZA dell’11/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udita la requisitoria del P.G., in persona del sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Sentiti l’avv. NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv. NOME COGNOME per la controricorrente
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 1040/26/15 del 12/10/2015, la Commissione tributaria regionale del Piemonte (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate (di seguito AE) avverso la sentenza n. 102/05/12 della Commissione tributaria provinciale di Torino (di seguito CTP), che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) nei confronti di un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2007.
1.1. Come emerge dagli atti di causa, con l’avviso di accertamento, per quanto ancora interessa in questa sede, veniva contestata alla società contribuente l’indebita deduzione di interessi concernenti un debito contratto dalla società con i soci.
1.2. La CTR accoglieva l’appello di AE, evidenziando, tra l’altro, che: a) gli interessi passivi dedotti avevano riguardato la conversione di precedenti finanziamenti infruttiferi effettuati dai soci, poi confluiti sotto forma di prestito obbligazionario; b) a fronte di poco più di lire 355.000.000 confluite nelle casse della società, il prestito dei soci era stato di lire 4.000.000.000; c) ciò implicava un comportamento abusivo che rendeva indetraibili gli interessi passivi per somme mai confluite nelle casse sociali.
Avverso la sentenza di appello COGNOME proponeva ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
NOME resisteva con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 8181 del 29/03/2017, la Sesta Sezione Civile Tributaria di questa Corte rimetteva gli atti alla Quinta Sezione Civile, in assenza dei presupposti di cui all’art. 375 cod. proc. civ.
Entrambe le parti depositavano memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso COGNOME deduce violazione e falsa applicazione del divieto di abuso del diritto, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto la sussistenza del comportamento abusivo della società contribuente, senza che ne ricorrano i presupposti. Invero, non sarebbe dimostrata la sussistenza di alcun vantaggio fiscale indebito, non potendo essere considerato tale «la deduzione di interessi passivi che sono stati effettivamente corrisposti e tassati in capo ai soggetti percipienti», mentre l’operazione sarebbe giustificata dal punto di vista economico in ragione dell’interesse della società a beneficiare della liquidità proveniente dai soci, che avrebbero potuto reclamare la restituzione degli importi erogati a titolo di finanziamento infruttifero. Inoltre, non risulterebbe dimostrata nemmeno la violazione delle norme in tema di reddito d’impresa.
1.1. Il pubblico ministero ha chiesto, altresì, l’accoglimento del ricorso evidenziando che «l’operazione oggetto del recupero, non rientra fra quelle indicate dall’art. 37 -bis. In particolare, la lettera fter) del comma 3 di tale norma contempla il caso degli interessi erogati, ma per il solo caso di cui all’art. 26 -quater, medesimo d.p.r. 600/1973, del tutto estraneo alla situazione in esame». Ed in relazione alla tassatività o meno delle fattispecie di cui all’art. 37 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ha segnalato la sussistenza di
un contrasto interpretativo nella giurisprudenza della Corte, chiedendo, se del caso, la rimessione degli atti alle Sezioni Unite.
1.2. Ritiene questa Corte che la censura proposta vada disattesa.
1.3. Si osserva, in via generale, che « in materia tributaria, alla stregua dell’elaborazione giurisprudenziale comunitaria e nazionale, costituisce pratica abusiva l’operazione economica che, attraverso l’impiego “improprio” e “distorto” dello strumento negoziale, abbia quale scopo predominante e assorbente (seppur non esclusivo) l’elusione della norma tributaria, mentre la mera astratta configurabilità di un vantaggio fiscale non è sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva, poiché è richiesta la concomitante condizione di inesistenza di ragioni economiche diverse dal semplice risparmio di imposta e l’accertamento della effettiva volontà dei contraenti di conseguire un indebito vantaggio fiscale » (così Cass. n. 25758 del 05/12/2014; si vedano, altresì, Cass. n. 29936 del 27/10/2023; Cass. n. 19234 del 07/11/2012; Cass. n. 21782 del 20/10/2011; Cass. S.U. n. 30055 del 23/12/2008).
1.3.1. Più in particolare, se è vero che va esclusa l’abusività quando sia ravvisabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, non identificabili necessariamente in una redditività immediata dell’operazione, potendo rispondere ad esigenze di natura organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda (Cass. n. 31772 del 05/12/2019; Cass. n. 18239 del 24/06/2021), deve ritenersi, invece, la sussistenza di un illecito risparmio di imposta quando questo rappresenti la parte preponderante e comunque prevalente dell’oggetto del contratto o degli accordi nel loro complesso, in quanto le ragioni economiche dell’operazione negoziale, valutata secondo la sua essenza, appaiano meramente marginali o teoriche (Cass. n. 9135 del 02/04/2021).
1.3.2. Con specifico riferimento alle imposte dirette, che vengono in esame nella presente fattispecie, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che trova fondamento, dapprima, negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano (Cass. n. 3938 del 19/02/2014; Cass. n. 4604 del 26/02/2014) e, quindi, nell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 (Cass. n. 405 del 14/01/2015; Cass. n. 4561 del 06/03/2015), che consente all’Amministrazione finanziaria di disconoscere e dichiarare non opponibili le operazioni e gli atti, in sé privi di valide ragioni economiche e diretti al solo scopo di conseguire vantaggi fiscali diversamente non spettanti.
1.3.3. Proprio la sussistenza di una generale principio antielusivo ha condotto, da ultimo, questa Corte a chiarire -superando il pregresso diverso orientamento -che « l’art. 37-bis d.P.R. n. 600 del 1973, ora sostituito dall’art. 10-bis l. n. 212 del 2000, non contiene un’elencazione tassativa delle fattispecie abusive, ma costituisce una norma aperta, la quale trova applicazione , (…), in presenza di una o più costruzioni di puro artificio che, realizzate al fine di eludere l’imposizione, siano prive di sostanza commerciale ed economica, ma produttive di vantaggi fiscali » (Cass. n. 2224 del 02/02/2021).
1.3.4. Per completezza e come già accennato, va detto che la clausola antielusiva è stata oggi tradotta in una norma generale, l’art. 10 bis della l. 27 luglio 2000, n. 212 (non applicabile alla fattispecie) che, al comma 1, così recita: «Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni».
1.3.5. In conclusione, quindi, perché operi la clausola antielusiva occorre che il contribuente faccia un uso improprio o distorto dello strumento negoziale e che tale uso sia posto in essere con lo specifico scopo (seppure non esclusivo) di eludere la norma tributaria e di ottenere in questo modo un vantaggio fiscale altrimenti non dovuto.
1.4. Nel caso di specie, come evidenziato dalla CTR, l’operazione elusiva è caratterizzata dalla circostanza che, a fronte di un prestito obbligazionario di 4 miliardi è transitata nella cassa della società la sola somma di poco più di 350 milioni di lire, essendo stata la parte residua precedentemente acquisita a titolo di prestito infruttifero. La trasformazione del prestito infruttifero in prestito obbligazionario ha consentito alla società di dedurre integralmente gli interessi passivi (prima non deducibili in quanto il prestito originario era infruttifero) e ai soci di conseguire un utile finanziario (derivante dagli interessi maturati sul prestito) al posto della percezione dei dividendi, sottoposti ad un trattamento fiscale meno favorevole.
1.5. A fronte di un’acquisizione patrimoniale modesta rispetto all’ammontare complessivo del prestito, il giudice di appello ha ritenuto -con accertamento in fatto insuscettibile di essere messo in discussione con la proposizione di un vizio di violazione di legge -che una simile operazione non ha altra giustificazione economica per la società se non quella di conseguire un vantaggio fiscale indebito (peraltro duplice, sia per la società che per i soci).
1.6. Né può ragionevolmente sostenersi che la giustificazione economica sia quella di conseguire liquidità da parte della società, atteso che il finanziamento era già stato in gran parte erogato dai soci, sia pure in forma infruttifera; e gli stessi soci hanno interesse a sostenere economicamente la società, dalla quale percepiscono (o dovrebbero percepire) dei dividendi.
1.7. Appare, poi, convincente l’osservazione della difesa erariale, per la quale il prestito obbligazionario costituisce normalmente, per la società, uno strumento di reperimento di capitali di terzi e non già provenienti dai soci: il che costituisce un ulteriore elemento indiziario della circostanza che la condotta tenuta da COGNOME sia del tutto priva di sostanza economica (cfr., da ultimo, Cass. n. 22072 del 05/08/2024).
1.8. Le ulteriori valutazioni compiute da parte ricorrente implicano la contestazione dell’accertamento compiuto dalla CTR, e mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017; Cass. n. 8758 del 04/07/2017; Cass. n. 8315 del 05/04/2013).
1.9. Quanto, infine, alla circostanza, evidenziata dal pubblico ministero, che l’art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 non contemplerebbe la condotta contestata tra le ipotesi tipizzate di abuso del diritto, si è già accennato al fatto che l’interpretazione restrittiva della disposizione è superata dalla successiva elaborazione giurisprudenziale, anche in ragione della valenza interpretativa esercitata dall’entrata in vigore dell’art. 10 bis della l. n. 212 del 2000 (oltre alla già menzionata Cass. n. 2224 del 2021, si rimanda all’ampia argomentazione di Cass. n. 29936 del 27/10/2023).
1.9.1. L’assorbimento del contrasto, pertanto, non impone la necessità della rimessione degli atti alle Sezioni Unite di questa Corte.
In conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente procedimento, liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite di euro 132.800,00.
2.1. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente procedimento, che si liquidano in euro 7.600,00, oltre alle spese di prenotazione a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 11/06/2024.