Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6041 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6041 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23880/2016 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persone del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di C.T.R. della Campani n. 2118/2016 depositata il 08/03/2016
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME
Uditi l’Avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME e l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME per l’Agenzia delle Entrate
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugna la sentenza della C.T.R. della Campania, che ha rigettato l’appello contro la sentenza della C.T.P. di Napoli, con la quale era stato respinto il ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2006, per il recupero ai fini IRPEF, a titolo di dividendi, delle somme ricevute dalla Ancora s.p.a, quale rateo del prezzo di vendita del pacchetto azionario della società RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE
La C.T.R. riassume i termini della vicenda come risultante dall’avviso di accertamento, precisando che: nell’anno 2003 NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, uunici della RAGIONE_SOCIALE s.p.a., hanno ceduto alla RAGIONE_SOCIALE s.p.a., di cui parimenti erano unici soci, l’intero pacchetto azionario, posseduto da ciascuno nella misura del 33,333%, avente valore nominale complessivo di euro 12.000.000, al prezzo di euro 10.000.000, di cui euro 1.200.000 da pagarsi alla cessione e la restante parte da pagarsi in rate annuali entro il 31 dicembre 2013, con l’applicazione di un saggio di interessi al 5% annuo; il 29 giugno 2004 la Races s.p.a. ha deliberato di distribuire utili per euro 900.000 e la Ancora li ha percepiti, pagando quasi
contestualmente la prima rata del residuo debito, pari ad euro 900.000; siffatta situazione si è replicata nei successivi anni di imposta; in particolare, nel 2006 la RAGIONE_SOCIALE s.p.a. ha distribuito utili per euro 1.900.000 e la Ancora s.p.a. ha erogato la somma corrispondente ai tre soci RAGIONE_SOCIALE a titolo di rateo del prezzo del pacchetto azionario della RAGIONE_SOCIALE dai medesimi venduto; ne è derivato che gli utili prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE s.p.a sono stati assoggettati alla tassazione nella misura del 5%, a norma dell’art. 89 del d.P.R. 917/1986 anziché nella misura del 40% a mente dell’art. 47 d.P.R. 917/1986; inoltre i soci RAGIONE_SOCIALE, in esito alla rivalutazione, ai sensi dell’art. 2 del d.l. 282/2002 ed all’applicazione dell’imposta sostitutiva, hanno appostato la vendita delle azioni non come una plusvalenza da assoggettare a tassazione, ma come una minusuvalenza, ottenendo, secondo l’Ufficio, un ulteriore risparmio di imposta. Ciò premesso la C.T.R. ha ritenuto che l’operazione posta in essere dai soci RAGIONE_SOCIALE rivestisse i caratteri della condotta elusiva, ai sensi dell’art. 37 bis del d.P.R. 600/1973. E ciò perché, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la cessione delle azioni della RAGIONE_SOCIALE era svincolata dalla costituzione della holding, posto che la RAGIONE_SOCIALE era stata costituita nel 1999, mentre la pretesa giustificazione dell’operazione come finalizzata incidere sulla conflittualità fra i soci era smentita dal fatto che la compagine di entrambe le società era identica. Inoltre, l’intento di vestire come rateo del prezzo della cessione quelli che in realtà erano dividendi era dimostrata dalla sequenza temporale intercorrente fra la cessione delle quote, la distribuzione dei dividendi da parte della Races, il pagamento della prima rata di prezzo da parte della Ancora (29 giugno-8 luglio 2004); schema riprodottosi negli anni successivi con riferimento alla distribuzione degli utili ed al pagamento della rata di prezzo. La C.T.R. ha, inoltre, ritenuto infondata l’eccezione di nullità
dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 37 bis, comma 5 d.P.R. 600/1973, posto che nell’atto impositivo si dà conto delle osservazioni proposte dai soci RAGIONE_SOCIALE Parimenti ha rigettato il motivo di appello relativo all’omessa motivazione delle sanzioni applicate, ritenendo che esse conseguano alla condotta elusiva.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Il Procuratore generale con memoria scritta conclude per il rigetto del ricorso.
Con memoria depositata il 2 dicembre 2024 il ricorrente ribadisce le ragioni dell’accoglimento del ricorso, rispondendo alle argomentazioni formulate dalla controricorrente e dal Procuratore generale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME formula cinque motivi di ricorso.
Con il primo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 37 bis d.P.R. 600/1973 e 10 bis l. 212/2000. Sostiene che la C.T.R. ha travisato tanto il disposto dell’art. 37 bis d.P.R. 600/1970, quanto il senso complessivo dell’operazione, sposando la ricostruzione dell’Ufficio, senza prendere in considerazione le argomentazioni svolte dal contribuente. Questi aveva precisato che l’operazione sarebbe stata comunque posta in essere, indipendentemente da qualsiasi risparmio di imposta, perché l’intento dei soci era rivolto al riassetto societario, a mezzo della creazione di un gruppo piramidale, di cui la RAGIONE_SOCIALE.p.RAGIONE_SOCIALE rappresentava il vertice. Ciò era ovviamente possibile solo a mezzo della cessione del pacchetto azionario della RAGIONE_SOCIALE alla controllante RAGIONE_SOCIALE. Ed invero, la struttura del gruppo era profondamente mutata, passando da ‘una semplice struttura familiare ad un gruppo dinamico di imprese’, ma ciò non sarebbe
risultato possibile con il mantenimento della partecipazione dei fratelli COGNOME nella RAGIONE_SOCIALE, destinata all’apertura a nuovi soci, mentre il capitale della controllante RAGIONE_SOCIALE sarebbe comunque rimasto, anche in questo caso, in capo ai soci RAGIONE_SOCIALE. Assume che la sentenza impugnata ha omesso di verificare i risultati ottenuti con il nuovo assetto societario, né ha individuato operazioni alternative che i soci avrebbero potuto porre in essere per ottenere il medesimo risultato, diversamente incidendo sul carico fiscale. Ricorda che l’art. 10 bis l. 212/2000 consente al contribuente di scegliere fra regimi opzionali che l’ordinamento gli mette a disposizione e che la conseguente generazione di un risparmio fiscale non è indice conclusivo di elusione fiscale. Osserva che la presunta convenienza fiscale è derivata dal fatto che i soci avevano potuto procedere, prima della vendita della partecipazione nella RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, alla rivalutazione delle quote azionarie, come previsto dall’art. 5 l. 448/2001, la cui applicazione è stata estesa dall’art. 2, comma 2 del d.l. 282/2002 ai detentori di partecipazioni al 1^ gennaio 2003. In assenza di siffatta rivalutazione, consentita dalla legge, la tassazione della plusvalenza sarebbe stata superiore al presunto risparmio fiscale. Nondimeno, da un lato, il ricorso alla rivalutazione non può essere considerata indice di elusione, dall’altro, la normativa non esclude che i destinatari della cessione siano gli stessi soci cedenti, per il tramite di una società acquirente dai medesimi partecipata. In ossequio al meccanismo di rivalutazione agevolata previsto dalla legge i soci hanno corrisposto all’Erario la somma di euro 480.000,00 corrispondente all’intero valore della partecipazione ceduta. La minusvalenza contestata con l’avviso di accertamento era dipesa dalla cessione della partecipazione ad un prezzo inferiore a quello indicato nella perizia, sulla base del quale era stata calcolata l’imposta (euro 10.000.000 anziché 12.000.000), ma
anche siffatta scelta non è vietata dalla legge, che si limita a prevedere la non deducibilità della minusvalenza, effettivamente non dedotta dai soci RAGIONE_SOCIALE Osserva che, dunque, non solo l’operazione non può ritenersi elusiva per avere generato un risparmio di imposta coerente con lo scopo economico perseguito, ma il presunto vantaggio fiscale relativo alla realizzazione di una minusvalenza non si è realizzato, stante la sua mancata deduzione.
3. Con il secondo motivo censura, ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.. Lamenta che la C.T.R. non abbia deciso sulla base del compendio probatorio offerto da entrambe le parti, essendosi limitata a riscontrare quanto dedotto dall’Ufficio. In particolare la sentenza impugnata attribuisce importanza decisiva alla circostanza che nell’anno 2004 siano stati distribuiti dalla RAGIONE_SOCIALE, pochi giorni dopo la cessione, utili per euro 900.000,00, a ciò seguendo, a distanza di due giorni, il pagamento della rata di prezzo pari al medesimo importo. La decisione afferma che lo schema (distribuzione degli utili-pagamento della rata di prezzo per equivalente importo) si sia realizzata anche negli anni successivi, ove invece la parte ricorrente aveva allegato e documentato -in primo gradoche negli anni successivi l’importo degli utili liquidati dalla Races non era affatto identico a quello della rata di prezzo corrisposta dalla Ancora. Invero, nell’anno 2006 erano stati distribuiti utili per euro 1.900.000, mentre era stata corrisposta una rata pari ad euro 900.006,59. La precisazione era stata reiterata con l’atto di appello e, nondimeno, la sentenza non vi ha fatto cenno, prendendo a fondamento della decisione solo quanto contenuto nell’avviso di accertamento, che, peraltro, indicava -per l’anno 2006 -unicamente la somma relativa agli utili distribuiti e non quella
relativa all’importo della rata di prezzo pagata dalla Ancora s.p.a.. Sostiene che l’avere dato importanza alla sola sequenza temporale che ha caratterizzato la cessione delle quote, la distribuzione degli utili e il pagamento della rata nell’anno 2004, senza tenere in considerazione le contestazioni e gli elementi di fatto sottoposti dal contribuente vizia la sentenza, che è giunta alla conclusione della sussistenza della lesione sulla base di un quadro probatorio monco.
4. Con il terzo motivo si duole, ex art. 360, comma 1 comma 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 37 bis, comma 5 d.P.R. 600/1973. Sottolinea che, contrariamente a quanto affermato dalla C.T.R. che ha rigettato l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 37 bis, comma 5 cit.l’Ufficio non aveva affatto replicato a tutte le osservazioni formulate dal contribuente in risposta al Questionario inviatogli. Questi, infatti, aveva affermato che l’operazione di riassetto societario era giustificata: 1) dalla differenza delle strutture societarie ante e post cessione; 2) dalle esigenze di mercato in cui doveva inserirsi l’attività del gruppo, avuto riguardo al fatto che nell’attività di finanziamento attraverso la c.d. cessione del quinto stavano per entrare grandi gruppi bancari, rendendo così indispensabile il passaggio della società da una struttura familiare ad un progetto di natura industriale ‘con la presenza di partner istituzionali nel capitale sociale ‘ ; 3) dalle esigenze di trasformazione della RAGIONE_SOCIALE, che, a fronte dell’incremento dell’attività di finanziamento sarebbe divenuta da intermediario generale (art. 106 TUB), intermediario speciale (art. 107 TUB), sottoposto a specifica vigilanza della Banca d’Italia, in questo contesto valutando proposte di integrazione, cessione o aumento del capitale, di cui erano state fatte oggetto le trattative con Unicredit Clarima Banca, con Banca popolare di Bari e Finkarma; 4) dalla necessità
di gestire di gestire unitariamente la struttura societaria, posto che con la creazione della Holding, anche in caso di aumento di capitale della Races, la costituzione di un sindacato di voto avrebbe messo al riparo i soci nel caso in cui uno di loro avesse ceduto la propria partecipazione; dalla creazione di una ‘cassaforte di famiglia’ costituita dalla holding Ancora, separata dagli altri investimenti da realizzarsi eventualmente con altri soci. In sede di risposta al questionario veniva ulteriormente descritta l’evoluzione del gruppo societario negli anni, con l’ingresso di nuove società (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) che dimostrava l’importanza dell’opera di organizzazione e coordinamento da parte della corrispondenza fra l’importo degli utili distribuiti da RAGIONE_SOCIALE e le rate pagate da Ancora ai soci RAGIONE_SOCIALE per la cessione delle partecipazioni. Ciononostante, con l’avviso di accertamento l’Ufficio si era limitato a vagliare solo le considerazioni formulate dai contribuenti in ordine alla necessità di avere, a mezzo della holding, un unico interlocutore per le trattative con i terzi investitori. Assume che, nondimeno, l’approccio tenuto dall’Ufficio si pone in contrasto con il disposto dell’art. 37 bis, comma 5 d.P.R. 600/1973 che impone la motivazione sulle deduzioni del contribuente, ma altresì con il disposto dell’art. 12 della l. 212/2000 che pone la leale collaborazione alla base dei rapporti fra l’ente impositore ed il contribuente. Rileva che, a fronte della pluralità di rilievi sollevati dalle risposte al questionario, la sentenza ha errato laddove ha ritenuto che l’avviso di accertamento avesse specificamente motivato su ciascuno di essi, mentre la risposta era risultata del tutto incompleta, rendendo così nullo l’atto impositivo.
Con il quarto motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 37 bis d.P.R. 600/1973, per avere la sentenza ritenuto legittima l’applicazione
delle sanzioni, nonostante l’art. 37 bis cit. (oggi abrogato) non le prevedesse. Sottolinea che la giurisprudenza di legittimità non è univoca sul punto e che l’intervento del nuovo art. 10 bis l. 212/2000, prevedendo l’irrogabilità di sanzioni in caso di condotte elusive, depone per l’assenza del potere sanzionatorio sotto il vigore dell’art. 37 bis d.P.R. 600/1973.
Con il quinto motivo lamenta, ex art. 360,, comma 1 n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per avere la C.T.R., in violazione dell’art. 112 c.p.c., omesso di pronunciarsi sulla doglianza -oggetto del quinto motivo di appello- con la quale si denunciava la decadenza dal termine per l’accertamento di cui all’art. 43 d.P.R. 600/1970. Rileva che la cessione delle quote è stata effettuata nel 2003 e che nel 2011, anno di notifica dell’accertamento i termini erano ampiamente decorsi, sicché l’atto impositivo è nullo.
Il primo motivo è infondato.
Il ricorrente contesta la ricostruzione della fattispecie concreta operata dalla sentenza impugnata come operazione elusiva.
8.1 Va, innanzitutto, sgombrato il campo dai plurimi riferimenti che la doglianza introduce in ordine all’apprezzamento dei fatti da parte del giudice di appello, posto che, non solo ciò esula dalla contestata violazione di legge, ma travalica la doppia conformità di cui all’art. 348 ter c.p.c.
8.2 Fatta questa premessa deve certamente condividersi il presupposto su cui si basa l’intera difesa del ricorrente, e cioè che non è sufficiente ad integrare la condotta elusiva vietata dalla legge la scelta fra due regimi fiscali diversi – entrambi consentiti- che comportino un diverso carico tributario. Siffatta regola infatti, è immanente nell’ordinamento, in quanto intrinsecamente connessa con il canone generale della buona fede oggettiva, come rivisitato alla luce dei principi
costituzionali, di solidarietà sociale (art. 2 Cost.) e della funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), di cui l’abuso del diritto costituisce il contraltare. In questa prospettiva i due principii -di buona fede oggettiva e di abuso del diritto-si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, prospettando l’abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall’ordinamento, si avrà abuso. Il che conduce, in presenza dell’abuso, al rifiuto della tutela ai poteri e diritti esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva.
8.3 La figura dell’abuso del diritto ha trovato peculiare disciplina positiva in materia tributaria nell’art. 10 bis l. 212/2000, ma era già sottesa all’art. 37 bis d.P.R. 600/1973, rubricato ‘Disposizioni antielusive’, introdotto con il d. lgs. 358/1997 e abrogato dall’art. 1, comma d. lgs. 128/2015. Ancorché il suo intervento collochi in epoca posteriore a quella in oggetto (l’atto impositivo è relativo all’anno di imposta 2006), non deve dimenticarsi che la Commissione Europea ha adottato la raccomandazione 2012/772/UE, chiedendo agli Stati membri di intervenire quando sia realizzata «una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale» e chiarendo che «una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale», ovvero di «sostanza economica», e «consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali», mentre «una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità
che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso» (cfr. sul punto approfonditamente: Sez. 5, Ordinanza n. 13220 del 20/04/2022; nonché Cass. Sez. 5, 02/03/2020; Cass. Sez. 5, 30/12/2019, n. 34595). Raccomandazione raccolta dal legislatore nazionale con l’art. 5 della legge 11 marzo 2014, n.23 che ha delegato al Governo l’attuazione della revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, cui è seguita, per mezzo dall’art. 1 d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, modificato dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, l’introduzione dell’art. 10 -bis legge 27 dicembre 2000, n. 212 (c.d. Statuto del contribuente), che ad oggi regola la materia.
8.4 Anche prima delle specifiche disposizioni normative, nondimeno, l’elaborazione giurisprudenziale aveva già cristallizzato i principi fondamentali per la lettura del fenomeno dell’abuso del diritto. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, affermato, sin dal 2008, che ‘In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere
l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione. (Sez. U, Sentenza n. 30055 del 23/12/2008; conf. Sez. U, Sentenza n. 30057 del 23/12/2008; Sez. 5, Sentenza n. 11236 del 20/05/2011; Sez. 5, Sentenza n. 21782 del 20/10/2011; Sez. 5, Sentenza n. 19234 del 07/11/2012; Sez. 5, Sentenza n. 3938 del 19/02/2014; Sez. 5, Sentenza n. 4603 del 26/02/2014; Sez. 5 – , Sentenza n. 5090 del 28/02/2017; Sez. 5, Sentenza n. 31772 del 05/12/2019; Sez. 5 – , Ordinanza n. 14674 del 27/05/2024; cfr. inoltre Corte di giustizia UE, nei casi RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE)
8.5 Se, dunque, è consentito al contribuente di preferire fra più alternative, quella che comporti una riduzione di imposta o un risparmio fiscale, ciò che rende elusiva la sua condotta sta proprio nella distorsione dell’uso degli strumenti giuridici messi a disposizione dell’ordinamento, al fine esclusivo di ottenere quel vantaggio fiscale cui non avrebbe diritto, se l’operazione posta in essere fosse giustificata anche da valide e diverse ragioni economiche. Ed invero, secondo la giurisprudenza di questa sezione ‘va esclusa l’abusività quando sia ravvisabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, non identificabili necessariamente in una redditività immediata dell’operazione, potendo rispondere ad esigenze di natura organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda’ (Sez. 5, Sentenza n. 31772 del 05/12/2019; cfr. anche: Sez. 5, Sentenza n. 1372 del 21/01/2011).
8.6 E, dunque, ‘per configurare la condotta abusiva è necessaria un’attenta valutazione delle “ragioni economiche” delle operazioni negoziali che sono poste in essere, in quanto, se le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, minore o del tutto assente è il rischio della pratica abusiva; se, invece, tali operazioni, pur se effettivamente realizzate, riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa. In tal senso, la prova dell’elusione deve incentrarsi sulle modalità di manipolazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché sulla loro mancata conformità ad una normale logica di mercato ‘ (Sez. 5, Sentenza n. 27158 del 06/10/2021).
Come già spiegato da questa Corte ‘tale regime, che nell’ordinamento comunitario è imposto dal principio di proporzionalità (sentenza della Corte di Giustizia 17 luglio 1997 in causa C – 28/ 95, A. COGNOME), nel sistema italiano costituisce applicazione dei principi di libertà d’impresa e di iniziativa economica (art. 42 Cost), oltre che della piena tutela giurisdizionale del contribuente (art. 24 Cost )’ (Sez. 5, Sentenza n. 1372 del 21/01/2011, in motivazione). L’applicazione del principio deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una giusta linea di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d’impresa ( ibidem ).
8.7 Resta fermo, tuttavia, ‘che incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato
fiscale’ (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9610 del 13/04/2017), mentre è onere del contribuente provare l’esistenza di un contenuto economico dell’operazione diverso dal mero risparmio fiscale (Sez. 5, Sentenza n. 1372 del 21/01/2011, in motivazione).
8.8 Ora, pare che la sentenza impugnata abbia fatto buon governo dei principi richiamati.
8.9 La decisione, invero, chiarisce il vantaggio fiscale ottenuto con l’operazione, consistito nell’assoggettare i dividendi distribuiti dalla Races s.p.a ed integralmente percepiti dalla Ancora s.p.a. al regime fiscale di cui all’art. 89 d.P.R. 917/1986, anziché a quello previsto dall’art. 47 del medesimo d.P.R. per gli utili da partecipazione. Ma chiarisce, altresì, l’assenza di una effettiva opzione per la costituzione di una diversa struttura partecipativa, non avendo trovato conferma le trattative con terzi per l’ingresso di nuovi soci nella RAGIONE_SOCIALE, che avrebbero giustificato un diverso assetto del gruppo e rimanendo, comunque, in capo ai soci RAGIONE_SOCIALE, a mezzo dello schermo della RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE, la gestione della RAGIONE_SOCIALE, sicché l’unico scopo dell’iniziativa è rivelato dal vantaggio fiscale ottenuto. E’ proprio la continuità oggettiva dell’assetto della ripartizione degli interessi societari fra i soci RAGIONE_SOCIALE, rimasto inalterato, che dimostra la manipolazione dello schema negoziale, perché la cessione di tutte le partecipazioni della RAGIONE_SOCIALE non era funzionale all’esigenza di agevolare i rapporti con gli interessati all’acquisto di partecipazioni nella prima, posto che entrambe le società erano integralmente partecipate dagli stessi soci Brancale, sicché l’intento -che il ricorrente manifesta a giustificazione del riassetto societario- era comunque realizzabile .
Il secondo motivo è inammissibile.
9.1 La doglianza è volta a scardinare lo schema, su cui i giudici del merito fondano la decisione, secondo il quale vi
sarebbe corrispondenza fra l’importo degli utili distribuiti e quello della rata di prezzo pagata. Si sostiene che se ciò è accaduto nell’anno 2004 in cui si è realizzata la cessione delle partecipazioni, al contrario negli anni successivi, ed in particolare nel 2006, siffatta equivalenza manca, come evidenziato dal ricorrente negli scritti difensivi. Cionondimeno, la sentenza non ne tiene conto, limitandosi a ripetere quanto affermato dall’Ufficio nella motivazione dell’atto impositivo impugnato, ove, peraltro, è indicata l’importo degli utili distribuiti, pari ad euro 1.900.000, ma è omessa l’indicazione della somma pagata dalla Ancora s.p.a. a titolo di rata di prezzo, pari a 900.006,59. Se la Commissione territoriale avesse giudicato sulla base dell”intero compendio probatorio, secondo i dettami dell’art. 115 c.p.c., sarebbe giunta ad escludere la natura elusiva della condotta addebitata al ricorrente.
9.2 Ora, non può ritenersi che il contribuente abbia efficacemente adempiuto all’obbligo di autosufficienza del ricorso, in armonia con i principi enunciati dalle Sezioni unite secondo cui ‘Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. -quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito’ ( cfr. Sez. U – , Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022 ), e con il Protocollo d’intesa tra la Corte di cassazione ed il Consiglio Nazionale Forense
siglato il 17 novembre 2015. Ed invero, il contribuente che neppure indica da quale documento la C.T.R. avrebbe dovuto ricavare gli elementi cui il ricorrente fa riferimento, non consentendo a questa Corte di effettuare alcuna verifica, sicché quanto affermato con il ricorso introduttivo e successivamente ribadito, resta una mera allegazione.
Il terzo motivo è parimenti inammissibile.
10.1 Sebbene sia effettivamente previsto dall’art. 37 bis, comma 4 d.P.R. 600/1973 ( ratione temporis vigente), l’obbligo di instaurare il contraddittorio con il contribuente e dal successivo comma 5 l’onere, a pena di nullità, di motivare l’avviso in relazione alle giustificazione dal medesimo fornite, va rilevato che, a fronte della conclusione di adeguatezza della motivazione dell’atto impositivo da parte della C.T.R., al fine di consentire il controllo della sua sufficienza e completezza era necessario porre a disposizione di questa Corte, non solo le giustificazioni fornite dal contribuente in sede endoprocedimentale -riportate adeguatamente nel ricorso- ma anche l’integrale passo dell’avviso di accertamento che si intende contestare.
Seppure non sia necessaria la sua trascrizione, come ben hanno chiarito non solo le Sezioni Unite testé riprese, ma anche il Protocollo di intesa prima richiamato, nondimeno, occorre mettere il giudice di legittimità nella condizione di conoscere l’atto su cui la doglianza si fonda. Ciò può avvenire tanto con la sua trascrizione nel ricorso per cassazione, che con l’indicazione del ‘luogo’ in cui l’atto si trova, e del ‘tempo’ e della ‘fase’ in cui è stato prodotto oppure a mezzo dell’allegazione al ricorso per cassazione (in apposito fascicoletto, che va pertanto ad aggiungersi all’allegazione del fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi del giudizio) ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.. In assenza di almeno uno di questi
adempimenti deve ritenersi che il ricorso difetti di autosufficienza (Sezioni unite, Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022).
10.2 In questo caso il ricorso effettivamente difetta di autosufficienza, mancando la riproduzione dell’avviso di accertamento nella parte dedicata alla motivazione sui chiarimenti forniti dal contribuente in risposta al questionario dell’Amministrazione finanziaria e non essendo stata questa Corte messa nella condizioni di conoscere il contenuto dell’atto impositivo, a mezzo di uno degli adempimenti appena richiamati. Sicché non è possibile controllare se il giudice abbia errato nel ritenere completa e congrua la risposta fornita dall’Ufficio nell’atto impositivo, in ottemperanza al disposto dell’art. 37 bis, commi 4 e 5 d.P.R. 600/1973.
11. Il quarto motivo è infondato.
11.1 Questa Corte ha infatti precisato che ‘non sussiste alcuna incompatibilità logica tra la condotta prevista dall’art. 37 bis d.p.r. n.600/73 e l’applicazione di sanzioni, perché, come si è detto, “in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che trova fondamento nell’art. 37 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, secondo il quale l’Amministrazione finanziaria disconosce e dichiara non opponibili le operazioni e gli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, rendendo così evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l’applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale
conseguenza dell’esito dell’accertamento volto a contrastare il fenomeno l’abuso del diritto” (Sez. 5, Sentenza n. 34750 del 31/12/2019; Sez. 5, Sentenza n. 25537 del 30/11/2011; cfr. anche recentemente Sez. 5 – , Sentenza n. 862 del 13/01/2022, in materia di IVA, che esaminando la questione, anche alla luce della giurisprudenza unionale, dopo avere individuato nell’art. 37 bis d.P.R. 600/1973 la norma fondante il divieto di abuso del diritto, afferma che non ‘è prospettabile che si tratti di un precetto privo di sanzione: esiste infatti nell’ordinamento positivo un’espressa previsione generale, l’arti comma 2 del d.P.R. n.471 del 1997, la quale sanziona la condotta di indicazione nella dichiarazione, ai fini delle singole imposte di un «reddito o un valore della produzione imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un’imposta inferiore a. quella dovuta o un credito superiore a quello spettante», con altrettanto espressa determinazione di sanzione amministrativa specificamente correlata all’anzidetta condotta. E’ perciò da escludersi che il generale principio della riserva di legge in materia tributaria, letto unitamente al correlato principio del divieto di estensione analogica di norme sanzionatorie, costituisca ostacolo per attribuire rilevanza sul piano punitivo amministrativo delle condotte che, con abuso del diritto, realizzino l’effetto di sottrazione di ricchezza imponibile ‘) .
Il quinto motivo è infondato.
12.1 Con la doglianza ci si duole dell’omessa pronuncia sul motivo, formulato con l’appello, inerente alla decadenza dell’amministrazione fiscale dal potere di accertamento, per essere spirati, alla data dell’accertamento, i termini di cui all’art. 43 d.P.R. 600/1973.
Il ricorrente pretende, infatti, che detti termini decorrano dal periodo di imposta nel quale si colloca l’operazione ritenuta abusiva.
Ora, premesso che ‘Nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto. (Cass. Sez. 5, 28/10/2015, n. 21968), l’impostazione difensiva non può essere condivisa, essendo contraria alla lettera della legge che espressamente stabilisce che ‘Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione’. Trattandosi dei redditi relativi all’anno di imposta 2006, la dichiarazione cui fare riferimento è quella del 2007, con la conseguenza che l’avviso di accertamento notificato nel 2011 deve senz’altro ritenersi tempestivo.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, da liquidarsi in euro 5.600,00 a favore della Agenzia delle Entrate, oltre a spese prenotate a debito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600,00 a favore dell’Agenzia delle Entrate, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2024