Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1132 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1132 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24675/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE I ROMA -intimata-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-resistente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO n. 1438/2016 depositata il 18/03/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio ( hinc: CTR), con sentenza n. 1438/2016 depositata in data 18/03/2016, ha respinto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 23734/2014, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Roma aveva rigettato il ricorso proposto contro l’av viso di accertamento per IRES e IVA relativo all’anno 2006, con il quale veniva contestata la deduzione di Euro 2.000.0000 a titolo di minusvalenza realizzata sulla cessione di una partecipazione azionaria e la contabilizzazione di una fattura per l’importo di Euro 60.000 oltre I.VA., emessa a seguito di operazioni considerate insussistenti.
La CTR -richiamata la giurisprudenza secondo la quale il principio di capacità contributiva ex art. 53, primo comma, Cost. e di progressività dell’imposizione ex art. 53, secondo comma, Cost. costituisce fondamento anche delle norme attributive di vantaggi e ben efici fiscali e dato atto dell’esistenza, sia nella giurisprudenza interna che di quella europea, di un principio teso a evitare condotte elusive in ambito tributario codificato dapprima nell’art. 37 bis d.P.R.
29/09/1973, n. 600 e, successivamente, attuato con l’art. 10 bis legge 27/07/2000, n. 212 -ha ritenuto che la minusvalenza contestata dall’amministrazione finanziaria nasce sse dalla differenza tra il costo di Euro 2.600.000, sopportato dalla ricorrente per l’acquisto , nel maggio 2005, della quota di partecipazione del 40% della società RAGIONE_SOCIALE e quello per il quale la medesima partecipazione era stata rivenduta, l’anno successivo, pari a Euro 600.000.
2.1. Oltre alla differenza di prezzo è stato dato rilievo al fatto che la provvista economica per l’acquisto del 2005 provenisse da un bonifico (di uguale importo), pervenuto il giorno prima all’amministratore di RAGIONE_SOCIALE dalla società RAGIONE_SOCIALE, per una fattura emessa in favore della società RAGIONE_SOCIALE (socia di RAGIONE_SOCIALE). Dagli atti di causa emergeva, quindi, l’assenza di un’adeguata causa economica che giustificasse l’operazione.
2.2. In merito al recupero relativo all’ IVA per la fattura di Euro 60.000 emessa da RAGIONE_SOCIALE la CTR ha rilevato che -alla luce del l’omessa presentazione della dichiarazione da parte della società emittente per gli anni compresi tra il 2004 e il 2006 -sarebbe stato onere della ricorrente provare l’effettiva esecuzione della prestazione. Non è possibile, poi, che tale prova possa essere raggiunta sulla base della scrittura privata tra la ricorrente e la società.
Contro la sentenza della CTR, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha proposto ricorso in cassazione con sette motivi.
L’Agenzia delle Entrate non si è costituita mediante controricorso, limitandosi al deposito di una memoria funzionale all’eventuale partecipazione all’udienza .
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è stata contestata la violazione dell’art. 109, quinto comma, d.P.R. n. 917 del 1987, dell’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
1.1. La ricorrente ha evidenziato come la minusvalenza del valore della quota di partecipazione in RAGIONE_SOCIALE fosse riconducibile alla decisione della società partecipata (senza alcuna consultazione con la socia di minoranza) di vendere l’unico immobile di notevole pregio detenuto con un contratto di leasing, con l’ inevitabile perdita di valore della partecipazione. Tale circostanza è stata accertata anche dagli agenti in sede di pvc. La società non presentava ulteriori cespiti giustificativi del mantenimento del valore d’acquisto della partecipazione.
1.2. Rileva, poi, come la provvista per l’acquisto della partecipazione provenisse da operazioni commerciali del tutto legittime e mai contestate dall’Agenzia delle Entrate , oltre che documentate. In particolare, la società RAGIONE_SOCIALE aveva corrisposto alla RAGIONE_SOCIALE il pagamento di una regolare fattura, emessa per la prestazione di attività d’ intermediazione nella compravendita di un immobile posto in Roma, INDIRIZZO.
1.3. Ad avviso della ricorrente, dalla motivazione della sentenza impugnata risulta come i giudici di merito abbiano ignorato totalmente la normativa in materia di determinazione del reddito d’impresa (con particolare riferimento alla deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito) e non si siano curati di valutare il contenuto della documentazione prodotta dalla società in
entrambi i gradi di merito, al fine di giustificare le ragioni della cessione della partecipazione in RAGIONE_SOCIALE a un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto, nonché la documentazione relativa alla legittima provenienza della provvista impiegata per il relativo acquisto. Peraltro, l’onere della prova in merito alla indeducibilità dei componenti negativi di reddito non può che spettare all’amministrazione finanziaria, che ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, può procedere alla rettificazione del reddito d’impresa anche sulla base di presunzioni semplici, purché siano gravi, precise e concordanti e a condizione che l’ufficio accerti l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione.
1.4. Deve ritenersi che tale motivo di ricorso sia inammissibile, in quanto la parte ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, incentrata sull’abuso del diritto, di cui ha richiamato i tre elementi: a) l’assenza di sostanza economica delle operazioni effettuate; b) la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito; 3) la circostanza che il vantaggio è l’effetto essenziale dell’op erazione. Ha poi ritenuto che la ragione del depauperamento del valore della partecipazione (dal prezzo di acquisto di Euro 2.600.000 a quello di rivendita di Euro 600.000 l’anno successivo) non fornisse la prova della ragione economica della cessione, proprio quando si presentava così poco opportuna da un punto di vista economico.
1.5. Peraltro, a pag. 14, la ricorrente sostiene che la CTR non avrebbe valutato il contenuto della documentazione prodotta dalla società al fine di giustificare le ragioni della cessione della partecipazione in RAGIONE_SOCIALE a un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto, nonché della documentazione attestante la legittima provenienza e movimentazione della provvista economica
necessaria per l’acquisto di tale partecipazione. Tale censura è inammissibile, poiché non introdotta con il corretto paradigma processuale (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) e conseguentemente da ritenere, comunque, in violazione degli ultimi due commi dell’art. 348 ter c.p.c.
Con il secondo motivo di ricorso è stata contestata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.
2.1. Ad avviso della ricorrente la sentenza impugnata integra un’ipotesi di motivazione apparente. È stato infatti ritenuto senza illustrarne le ragioni logico-giuridiche – che non costituissero valide ragioni economiche dell’operazione contestata le all egazioni di parte ricorrente e cioè che: a) l’acquisto della partecipazione al prezzo di Euro 2.400.000 (successivamente portati a Euro 2.600.000 per avvenuto aumento di capitale) fosse determinato esclusivamente dal fatto che la società partecipata deteneva, tramite contratto di leasing, un immobile di particolare valore economico; b) la successiva cessione della partecipazione al minor prezzo di Euro 600.000 fosse riconducibile alla decisione della RAGIONE_SOCIALErRAGIONE_SOCIALE di cedere l’immobile; c) la RAGIONE_SOCIALE non possedesse altri beni rilevanti.
Con il terzo motivo è stata contestata , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., rilevando che incorre nel vizio di motivazione apparente, perché il giudice d’appello, nel ricostruire la provvista economica per l’acquisto della partecipazione, ha dato rilievo alla circostanza che sia la RAGIONE_SOCIALE, sia la RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE -che ha pagato una regolare fattura all’odierna ricorrente sarebbero riconducibili a un medesimo soggetto (sig. NOME COGNOME. Anche in tale ipotesi i giudici di
secondo grado non chiariscono le ragioni per le quali la riconducibilità delle due società a un unico soggetto porti a escludere la presenza di valide ragioni economiche.
4. Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati insieme e sono, in parte inammissibili (in quanto le contestazioni del vizio di motivazione apparente della sentenza veicolano una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio) e, in parte infondate, essendo ampiamente ricostruibile l’iter logico seguito dalla sentenza della CTR nella sentenza impugnata. Questa Corte ha, infatti, precisato che: « Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture. » (Cass., 01/03/2022, n. 6758).
5. Con il quarto motivo è stato contestato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti. A pag. 20 del ricorso la ricorrente descrive il fatto storico, evidenziando che: « la Commissione Tributaria Regionale di Roma ha omesso di esaminare nel dettaglio i documenti prodotti dalla società in entrambi i gradi di merito del presente giudizio per giustificare le ragioni della cessione della partecipazione in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ad un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto della stessa (con conseguente realizzazione di una minusvalenza legittimamente dedotta dal reddito complessivo), nonché la documentazione attestante la legittima provenienza e
movimentazione della provvista economica necessaria per l’acquisto di detta partecipazione.»
A pag. 21-22 ha riportato gli atti dai quali, a suo dire, emergeva l’esistenza del fatto il cui esame è stato omesso e rileva (pag. 22) che, laddove i fatti e la documentazione prodotta in giudizio fossero stati effettivamente esaminati, i giudici sarebbero pervenuti a soluzioni diametralmente opposte. La decisione della vendita della partecipazione a un prezzo inferiore a quello di acquisto era sorretta, quindi, da valide ragioni economiche, compendiabili nella circostanza che RAGIONE_SOCIALE, senza consultare la socia di minoranza, aveva venduto l’unico immobile di notevole pregio detenuto, con inevitabile perdita del valore della partecipazione, considerato che non possedeva ulteriori immobili.
5.1. Tale motivo di ricorso è inammissibile, considerato che, nella specie, la sentenza di appello è confermativa della sentenza di primo grado, che ha rigettato il ricorso del contribuente. Di conseguenza, ai sensi dell’art. 348 ter , ultimi due commi, c.p.c. (applicabili, ratione temporis , al caso in esame), è precluso alla parte ricorrente il motivo di ricorso incentrato sull’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
Con il quinto motivo è stata contestata , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza e la violazione dell’art. 116 c.p.c. per l’omessa valutazione di elementi istruttori offerti in entrambi i gradi di merito.
6.1. Con tale motivo viene censurata l’omessa valutazione sia della documentazione prodotta dalla società in entrambi i gradi di giudizio, dalla quale risultava che la decisione di cedere, nel 2006, la partecipazione in RAGIONE_SOCIALE a un prezzo inferiore a quello di acquisto (con la conseguente minusvalenza legittimamente dedotta) era sorretta da valide e documentate ragioni economiche, compendiabili nella circostanza che la partecipata avesse venduto
l’unico immobile di pregio che deteneva e che non aveva altri beni; sia della documentazione attestante la provvista necessaria all’acquisto della partecipazione, proveniente da operazioni legittime.
6.2. Tale motivo di ricorso è inammissibile, in quanto veicola una rivalutazione dei fatti e del materiale probatorio avulsa dal sindacato di legittimità di questa Corte. Quest’ultima ha, peraltro, precisato che, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 01/03/2022, n. 66774).
Con il sesto motivo è stata contestata , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione di legge e, in particolare, degli artt. 21, 54 e 55 d.P.R. 26/10/1972, n. 633 e dell’art. 2697 c.c.
7.1. Con tale motivo è censurata l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale non sarebbe provata l’esistenza dell’operazione realizzata con la RAGIONE_SOCIALE, con la conseguente impossibilità di portare in detrazione l’IVA connessa alla fattura emessa da quest’ultima. In particolare, viene contestata la seguente affermazione: « stante l’avvenuta omissione di dichiarazioni d parte della per gli anni compresi tra il 2004 e il 2006 -la parte ricorrente era onerata di provare l’effettività della prestazione de qua. Tale prova non può considerarsi fornita attraverso la produzione della scrittura privata
tra la ricorrente e la citata società, in quanto priva di data certa e, pertanto, inidonea a fornire la predetta prova. »
Sul punto la ricorrente ha richiamato gli indirizzi di questa Corte in materia di detraibilità dell’IVA in caso di operazioni (soggettivamente e oggettivamente) inesistenti, rilevando che il diritto del contribuente alla detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo. Di conseguenza, l’amministrazione ha l’onere di provare, in caso di operazioni inesistenti, che non sono state effettuate e, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, che il contribuente, al momento dell’acqu isto del bene o del servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza , che l’operazione invocata a fondamento del diritto alla detrazione si inseriva in un’evasione commessa dal fornitore. Tale indirizzo sarebbe stato, quindi, disatteso dalla CTR, che ha illegittimamente ribaltato sulla RAGIONE_SOCIALE l’onere di dimostrare la propria mancanza di consapevolezza degli elementi di fatto caratterizzanti la frode.
7.2. Passando all’esame del motivo, n el caso di specie è stata disconosciuta la detrazione dell’IVA relativa a una fattura emessa da una società (RAGIONE_SOCIALE, che aveva omesso di presentare le dichiarazioni per gli anni compresi dal 2004 al 2006. La CTR ha ritenuto che la prova della prestazione non potesse essere ricavata dalla scrittura privata tra la ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE, in quanto priva di data certa.
7.3. Il motivo è inammissibile in quanto attraverso la contestazione della violazione di legge tende a ottenere una rivalutazione dei fatti e delle prove riservata al giudice di merito ed estranea al sindacato di legittimità di questa Corte.
Con il settimo motivo ( favor rei ) è stata chiesta l’applicazione del d.lgs. n. 158 del 2015 in ordine all’irrogazione delle sanzioni.
8.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità: la ricorrente non indica le sanzioni applicate, né evidenzia che quelle irrogabili in base al d.lgs. 24/09/2015, n. 158 sono nella specie effettivamente più favorevoli.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, senza alcuna statuizione sulle spese di lite, considerato che la parte intimata non si è costituita, nei termini di legge, mediante controricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21/11/2024.