Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10218 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10218 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1533/2022 R.G., proposto
DA
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma (presso gli Uffici dell’Avvocatura Capitolina), ove elettivamente domiciliata (indirizzo pec per notifiche e comunicazioni: EMAIL, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
COGNOME COGNOME nella qualità di erede legittimo e cessato tutore del defunto Marconi Guglielmo, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Acquapendente (VT), ove elettivamente domiciliato (indirizzo pec per notifiche e comunicazioni: EMAIL, giusta procura in allegato al controricorso di costituzione nel presente procedimento;
CONTRORICORRENTE
ICI IMU ACCERTAMENTO ABITAZIONE PRINCIPALE UTILIZZO DI DISTINTE UNITÀ CATASTALI
Rep.
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per il Lazio il 31 maggio 2021, n. 2802/04/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25 marzo 2025 dal Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
1. Roma Capitale ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per il Lazio il il 31 maggio 2021, n. 2802/04/2021, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento n. 34514 dell’1 dicembre 2015 (a mezzo della partecipata ‘ Aequa Roma S.p.A .RAGIONE_SOCIALE) per omesso versamento dell’I CI relativa a ll’anno 2010 nella misura complessiva di € 2.074,52 nei confronti di NOME COGNOME, in persona del tutore COGNOME Ferrero, con riguardo alla proprietà dell ‘ abitazione in Roma alla INDIRIZZO consistente in due appartamenti adiacenti (int. 13 e int. 14) in catasto con le particelle 228 sub. 13 e 228 sub. 14 del folio 193, ove NOME Marconi aveva fissato in vita la propria residenza, in conseguenza del disconoscimento dell’esenzione per l’abitazione principale, dopo che Roma Capitale aveva disposto l’ annullamento parziale in autotutela del predetto avviso di accertamento (con provvedimento reso il 28 aprile 2016, prot. n. 290968/8/1) ed aveva ridotto l’importo dovuto alla minor somma di € 908,31 con il riconoscimento dell’esenzione per una sola delle unità immobiliari, ha accolto l’appello proposto da NOME COGNOME in persona del tutore COGNOME, nei confronti di Roma Capitale avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Roma il 29 gennaio 2018, n. 2537/50/2018, con compensazione delle spese giudiziali.
Il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure -che aveva respinto il ricorso originario proposto allora da COGNOME nella qualità di tutore di NOME Marconi (ancora in vita) – sul presupposto che il contemporaneo utilizzo di più unità catastali non costituiva ostacolo all’applicazione per tutte dell’aliquota agevolata prevista per l’abitazione principale, sempre che il derivato abitativo non trascendeva la categoria catastale delle unità che la compongono, assumendo rilievo a tal fine non il numero delle unità catastali, ma la prova dell’effettiva utilizzazione ad ‘ abitazione principale ‘ dell’immobile complessivamente considerato.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso;
Il controricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1 Con il primo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, del d.l. 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, e dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che il contribuente potesse beneficiare dell’esenzione per entrambe le unità immobiliari in cui l’abitazione era stata suddivisa -dopo un iniziale accorpamento all’esito di lavori di ristrutturazione.
1.2 Con il secondo motivo, si denuncia violazione falsa applicazione degli articoli 115 e 116 cod. proc. civ., nonché dell’art . 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto
dal giudice di appello che il contribuente utilizzava in vita entrambe le unità immobiliari.
Il primo motivo è infondato.
2.1 Secondo la motivazione della sentenza impugnata, « deve essere fatta (…) applicazione della giurisprudenza più recente che, con riferimento a fattispecie analoghe, ha avuto modo di precisare che, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), il contemporaneo utilizzo di più unità catastali non costituisce ostacolo all’applicazione, per tutte, dell’aliquota agevolata prevista per l’abitazione principale, sempre che il derivato complesso abitativo utilizzato non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono, assumendo rilievo a tal fine non il numero delle unità catastali ma la prova dell’effettiva utilizzazione ad ‘abitazione principale’ dell’immobile complessivamente considerato (Cass. 22 febbraio 2021, n. 4727; 2 aprile 2019, n. 9079) ».
2.2 Si considera abitazione principale quella che, a termini dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (come modificato dall’art. 1 della legge 27 dicembre 1996, n. 296), costituisce « residenza anagrafica » del soggetto passivo. A tale riguardo, questa Corte ha già affermato il principio secondo cui il concetto di abitazione principale non ha alcuna relazione zeugmatica con il concetto di « unica unità immobiliare catastale », o con quella di « unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio », sia « in quanto lo stesso soggetto passivo fruisce “dell’aliquota ridotta ed anche della detrazione … previste” per tutti í suoi immobili adibiti ad ‘ abitazioni ‘ siano ‘ principali ‘ ovvero da considerare tali perché concessi ‘ in uso gratuito a parenti ‘ », sia in quanto « il favore del legislatore per l’ abitazione principale” si evince ulteriormente dal d.l. 27 maggio 2005, n, 86, art. 5-bis,
comma 4 (convertito nella L. 26 luglio 2005, n. 148) con il quale, al dichiarato ‘ fine di incrementare la disponibilità di alloggi da destinare ad abitazione principale ‘ , si è concesso ai Comuni la facoltà di ‘ deliberare la riduzione, anche al di sotto del limite minimo previsto dalla legislazione vigente, delle aliquote dell’imposta comunale sugli immobili stabilite per gli immobili adibiti ad abitazione principale del proprietario ‘ » (Cass., Sez. 5^, 12 febbraio 2010, n. 3397; Cass., Sez. 6^-5, 22 febbraio 2021, n. 4727; Cass., Sez. Trib., 24 marzo 2023, n. 8551).
2.3 Diversamente, a i fini dell’ICI (ma non anche dell’IMU ), costituisce elemento centrale ai fini dell’attribuzione dell’agevolazione in oggetto il mero uso quale abitazione principale dell’immobile nel suo complesso (Cass., Sez. 5^, 29 ottobre 2008, n. 25902), con conseguente irrilevanza dell’accatastamento unitario e affermazione del « principio secondo cui ai fini dell’imposta comunale sugli immobili, il contemporaneo utilizzo di più di una unità catastale come ‘ abitazione principale” non costituisce ostacolo all’applicazione, per tutte, dell’aliquota prevista per l’ ‘ abitazione principale ‘ , sempre che il derivato complesso abitativo utilizzato non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono, assumendo rilievo, a tal fine, non il numero delle unità catastali ma la prova dell’effettiva utilizzazione ad ‘ abitazione principale ‘ dell’immobile complessivamente considerato, ferma restando, ovviamente, la spettanza della detrazione prevista dell’art. 8, comma 2, una sola volta per tutte le unità » (Cass., Sez. 5^, 12 febbraio 2010, n. 3397; Cass., Sez. 5^, 19 maggio 2010,
n. 12269; Cass., Sez. 5^, 7 ottobre 2011, n. 20567; Cass., Sez. 6^-5, 3 luglio 2014, n. 15198; Cass., Sez. 6^-5, 6 aprile 2017, n. 9030; Cass., Sez. 6^-5, 25 giugno 2019, n. 17015; Cass., Sez. 6^-5, 22 febbraio 2021, n. 4727; Cass., Sez. Trib., 24 marzo 2023, n. 8551; Cass., Sez. Trib., 20 febbraio 2024, n. 4530).
Tanto in distonia con l’indirizzo espresso dalla risoluzione resa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 7 maggio 2002, n. 6, secondo la quale « non è corretto affermare che il contribuente ‘dimora in un’unica unità immobiliare che si presenta divisa catastalmente con l’attribuzione di due rendite catastali’ perché in tal caso ci si trova, in realtà, in presenza di due unità immobiliari che come tali vanno singolarmente e separatamente soggette ad imposizione, ciascuna per la propria rendita: una unità può essere assoggettata ad ICI come abitazione principale con applicazione delle agevolazioni e delle riduzioni per questa previste, l’altra invece va considerata come seconda abitazione, con l’applicazione dell’aliquota deliberata dal comune per tali tipologie di fabbricati », occorrendo, ai fini dell’agevolazione, « che il contribuente richieda l’accatastamento unitario dei due distinti cespiti ».
2.4 Peraltro, l’art. 11, comma 2, del regolamento comunale ICI (approvato con deliberazione adottata dal Consiglio Comunale il 21 dicembre 1998, n. 335) prevedeva che: « 2. Si considera direttamente adibita ad abitazione principale l’unità immobiliare non locata posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da cittadini italiani non residenti nello Stato, nonché quella, non locata, posseduta allo stesso titolo da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente ».
Ed è significativo che la stessa ricorrente, che lo ha richiamato a contrario sotto altro profilo, ammetta che: « Secondo controparte, (…) la circostanza che siano individuabili diverse unità immobiliari distinte catastalmente di per sé non consente di escludere l’applicazione dell’agevolazione ad entrambe le unità immobiliari in quanto, ai fini del suo riconoscimento, ciò che conta è l’effettiva utilizzazione dell’immobile come abitazione principale. Tale tesi, in teoria corretta, necessita, però, di una puntuale prova in concreto dell’effettiva utilizzazione quale abitazione principale di entrambe le unità immobiliari (…) ».
2.5 Ne discende che la sentenza impugnata si è pienamente uniformata ai principi enunciati, ritenendo irrilevante che i due appartamenti adiacenti fossero muniti di autonoma identificazione sul piano catastale a fronte dell’utilizzazione unitaria da parte del proprietario a titolo di propria abitazione.
Il secondo motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
3.1 Ora, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale
attività consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (tra le tante: Cass. Sez. 6^-3, 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass., Sez. Trib., 15 ottobre 2024, n. 26739).
In ogni caso, nessuna contravvenzione alle regole di ripartizione dell’onere probatorio può imputarsi al giudice di appello. Difatti, l’infrazione alla regola generale dell’art. 2697 cod. civ. (che è stata lamentata dalla ricorrente) si può configurare sol tanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (tra le tante: Cass., Sez. 6^-3, 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass., Sez. 1^, 20 aprile 2020, n. 7919; Cass., Sez. Lav., 19 agosto 2020, n. 17313; Cass., Sez. 5^, 20 ottobre 2021, n. 29041; Cass., Sez. 6^-5, 26 gennaio 2022, n. 2286; Cass., Sez. Trib., 7 aprile 2023, n. 9529; Cass., Sez. Lav., 23 maggio 2024, n. 14482; Cass., Sez. 1^, 25 novembre 2024, n. 30389; Cass., Sez. 1^, 14 febbraio 2025, n. 3761), ma non anche nell’ipotesi in cui oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, ritenendo che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è (nella prospettazione del ricorrente) un fallace apprezzamento sull’esito della prova, che è sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., nei limiti in cui questa censura è ammessa (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 19 agosto 2020, n. 17313; Cass., Sez. 5^, 20 ottobre 2021, n. 29041; Cass., Sez. Lav., 28 marzo 2022, n. 9933; Cass., Sez. Trib., 26 maggio 2023, n. 14766; Cass., Sez. Trib., 26 marzo 2025, n. 8031). Si rammenta, inoltre, che, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. (sotto il
profilo del risultato probatorio), occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), e cioè, sia quando la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio, sia quando da una fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo, a condizione che il ricorrente assolva al duplice onere di prospettare l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto a una decisione diversa, non già in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza, mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867; Cass., Sez. 5^, 17 dicembre 2020, n. 28940; Cass., Sez. 5^, 9 giugno 2021, n. 16016; Cass., Sez. 6^-5, 9 dicembre 2021, n. 39057; Cass., Sez. 5^, 15 dicembre 2021, n. 40214; Cass., Sez. 5^, 24 marzo 2022, n. 9541; Cass., Sez. Trib., 31 agosto 2023, n. 25518; Cass., Sez. Trib., 31 ottobre 2023, n. 30303; Cass., Sez. 2^, 31 ottobre 2024, n. 28116), la cui violazione è censurabile in sede di legittimità solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo ” prudente apprezzamento “, pretendendo di attribuirle un
altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867; Cass., Sez. 5^, 9 giugno 2021, n. 16016; Cass., Sez. Trib., 27 ottobre 2023, n. 29956; Cass., Sez. 2^, 20 ottobre 2024, n. 27585).
A tanto va aggiunto che, in linea di principio, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (tra le tante: Cass., Sez. 2^, 30 novembre 2016, n. 24434; Cass., Sez. 3^, 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., Sez. 3^, 11 febbraio 2021, n. 3572; Cass., Sez. 5^, 13 gennaio 2022, n. 867; Cass., Sez. 5^, 27 luglio 2023, n. 22942; Cass., Sez. 5^, 29 aprile 2024, n. 11329), dovendosi peraltro ribadire che, in relazione al nuovo testo di questa norma, qualora il giudice abbia preso in considerazione il fatto storico rilevante, l’omesso esame di elementi probatori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).
3.2 Ciò premesso, secondo il tenore della censura: « Nel caso di specie è evidente come nessuna prova il ricorrente abbia fornito della reale utilizzazione di entrambe le unità immobiliari quale abitazione principale, essendosi limitato a sostenere che fino ad una certa data le due unità immobiliari erano unite, sebbene in catasto le stesse risultassero come due unità immobiliari perfettamente distinte . (…) Né risulta dimostrato e dimostrabile da parte dell’appellante, con la generica documentazione depositata, che i due immobili fossero utilizzati unitariamente come abitazione principale, peraltro da parte di un soggetto residente in casa di cura ».
3.3 A ben vedere, la doglianza si risolve nella contestazione della valutazione delle risultanze probatorie da parte del giudice di merito, sollecitando, sotto l’egida di una apparente violazione di legge, una revisione del merito, che è preclusa al giudice di legittimità.
In tal senso, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., Sez. Trib., 22 novembre 2023, n. 32505).
3.4 Ad ogni buon conto, in rigoroso ossequio alle regole di ripartizione dell’ onus probandi , il giudice di appello ha accertato che: « In punto di fatto, la ricostruzione operata dal contribuente non è smentita nel senso che l’unità immobiliare di che trattasi, prima unitaria, in seguito a lavori di riqualificazione è stata divisa in due unità catastali contigue che, dal 30 ottobre 2012, risultano intestate all’interdetto Sig. COGNOME; le predette due unità non risultano locate a terzi e sono state utilizzate entrambe dal predetto intestatario, sebbene egli fosse comunque residente in una casa di cura (ma ciò non ha impedito al Comune di Roma di considerare, almeno per una delle due unità catastali, l’esenzione ICI prevista per l’abitazione principale, ai sensi dell’art. 13, comma 2, del DL n. 201 del 2011) ».
Pertanto, valutandosi l ‘in fondatezza/inammissibilità dei motivi dedotti, alla stregua delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore del controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 1.000,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 25 marzo