Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14954 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14954 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Umbriatico il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Reggio Calabria il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Melito di Porto Salvo il DATA_NASCITA:3
COGNOME NOME, nato a Reggio Calabria il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/02/2023 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso di COGNOME NOME e pe l’inammissibilità degli altri ricorsi;
uditi, per i ricorrenti, l’avvocato NOME COGNOME, in sostituzione del difensore fiducia di COGNOME NOME, avvocato NOME COGNOME, nonché l’avvocato NOME COGNOME, quale difensore di COGNOME NOME, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 14 febbraio 2023, la Corte di appello di Milano, pronunciando in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano all’esito di giudizio abbreviato, per quanto di interesse in questa sede, ha: 1) confermato la dichiarazione di penale responsabilità di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per reati di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per reati di cui all’art. 2 e di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, quest’ultimo con riferimento ai reati commessi a far data dal 14 febbraio 2013; 2) dichiarato l’estinzione per prescrizione dei reati contestati a NOME COGNOME di cui all’art. 2 e di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, con riferimento ai fatti commessi fino alla data del 14 febbraio 2013; 3) confermato le pene irrogate ad COGNOME, COGNOME e COGNOME; 4) rideterminato, riducendola, la pena inflitta a COGNOME.
Secondo la Corte d’appello, precisamente: 1) NOME COGNOME e NOME COGNOME, il primo nella qualità di legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE“, ed il secondo come coadiutore del primo, sarebbero concorsi nell’emissione di tre fatture per operazioni inesistenti per un imponibile complessivo di 350.000,00 euro e per IVA complessiva di 77.000,00 euro, tra il 31 ottobre 2015 ed il 5 novembre 2015 (capo E); 2) NOME COGNOME, nella qualità di coadiutore del gestore di fatto della società “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, sarebbe concorso nell’emissione di quattro fatture per operazioni inesistenti per un imponibile complessivo di 100.000,00 euro e per IVA complessiva di 22.000,00 euro, tra il 30 settembre 2014 ed il 31 dicembre 2014 (capo F); 3) NOME COGNOME, nella qualità di caoadiutore del gestore di fatto della società “RAGIONE_SOCIALE“, e al fine consentire a questa di evadere le imposte, avrebbe predisposto e trasmesso la dichiarazione annuale IVA per l’anno 2014, apponendovi il visto di conformità necessario per la compensazione dei crediti, nonostante tale dichiarazione utilizzasse fatture per operazioni oggettivamente inesistenti per un imponibile complessivo di 8.216.131,48 euro, comprensivo di IVA per 1.481.597,48 euro, tra il 30 aprile 2015 ed il 28 settembre 2015 (capo H); 4) NOME COGNOME, nella qualità di caoadiutore del gestore di fatto della società “RAGIONE_SOCIALE“, avrebbe compensato crediti IVA inesistenti per un importo superiore alla soglia di punibilità, risultanti dalle dichiarazioni della medesima società per l’anno 2014, tra il 16 marzo 2015 ed il 17 dicembre 2015 (capo I); 5) NOME COGNOME, nella qualità di amministratore pro tempore della “RAGIONE_SOCIALE“, avrebbe presentato la dichiarazione IVA per l’anno 2013 utilizzando, al fine di evadere le imposte, fatture per operazioni oggettivamente inesistenti per un imponibile complessivo di 2.774.989,80 euro, comprensivo di IVA per 481.609,80 euro, il 20 febbraio 2014 (capo P); 6) NOME COGNOME, nella qualità di amministratore
pro tempore della “RAGIONE_SOCIALE“, avrebbe compensato crediti IVA inesistenti per un importo superiore alla soglia di punibilità, risultanti dal dichiarazioni della medesima società per l’anno 2013, fino al 29 gennaio 2015 (capo Q).
Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME e NOME COGNOME, con un unico atto sottoscritto dall’avvocato NOME COGNOME, NOME COGNOME, con atto sottoscritto dall’avvocato NOME COGNOME, e NOME COGNOME, con atto sottoscritto dall’avvocato NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME, contenuto in un unico atto, è articolato in tre motivi.
3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 125, comma 3, e 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comrna 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dei reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui ai capi E) ed F).
Si deduce che la motivazione della sentenza impugnata è gravemente carente perché si limita a richiamare quella di primo grado nonché quella pronunciata in altro processo, affermativa della penale responsabilità dei ricorrenti per la partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata la commissione di reati fiscali diretta da NOME COGNOME. Si osserva, con riferimento all’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, che la dichiarazione di colpevolezza è fondata sul dato dell’avvenuta cessazione della partita IVA da parte della società emittente le fatture ritenute mendaci, e che, però, tale circostanza non è stata dimostrata, come non è stata provata la fittizietà dei rapporti sottostanti. Si rileva, poi, che non vi sono elementi per ritenere accertato il dolo specifico di evasione, e che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’accettazione, quale prestanome, della carica di amministratore di una società, non dimostra l’immediata consapevolezza, nel medesimo soggetto, della preordinazione dell’omessa dichiarazione dell’IVA al mancato pagamento dell’imposta (si cita, in particolare, Sez. 3, n. 36474 del 07/06/2019).
3.2. Con il secondo motivo, si denuncia omessa assunzione di prova decisiva, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata assunzione di perizia calligrafica sulle fatture, al fine di verificare se la firma apposta sulle stesse sia effettivamente di NOME COGNOME.
Si deduce che la sentenza impugnata non ha spiegato in alcun modo perché non deve ritenersi necessaria la perizia calligrafica richiesta.
3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 125, comma 3, e 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., e 157 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione.
Si deduce che la sentenza impugnata avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione dei reati per prescrizione, in quanti il capo E) è stato commesso il 5 novembre 2015 ed il capo F) è stato commesso il 31 dicembre 2014.
Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in due motivi.
4.1. Con il primo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo in ordine ai reati contestatigli, per mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Si deduce che l’affermazione del dolo dell’imputato discende da un’analisi parcellizzata RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie e dal difetto di un effettivo confronto c le prospettazioni della difesa, evidenzianti la non consapevolezza del medesimo del mendacio relativo alle operazioni poste a base della dichiarazione alla quale egli ha apposto il visto di conformità.
4.1.1. Si premette che l’accertamento della consapevolezza del professionista abilitato di rilasciare un visto mendace non può prescindere dal tipo di attività di controllo al medesimo richiesta.
Si osserva che il c.d. visto di conformità “leggero” richiede di vagliare la sola corrispondenza formale dei dati esposti in dichiarazione alle risultanze della documentazione, al fine di evitare errori materiali e di calcolo, a differenza del c.d. visto di conformità “pesante”, il quale implica una verifica sostanziale sulla corretta applicazione della disciplina tributaria. Si precisa che questa premessa è tanto più rilevante nel caso di specie, perché il ricorrente non era organico al sodalizio criminale nel cui ambito sono stati commessi anche i reati a lui contestati come concorrente. Si aggiunge che la sentenza impugnata non ha spiegato perché l’attività di controllo effettuata non è sufficiente a ritenere adempiuti i dove connessi al rilascio del visto “leggero”, e perché avrebbe dovuto procedere a controlli ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge.
4.1.2. Si rappresenta, in secondo luogo, che il ricorrente ha adempiuto i doveri gravanti per legge, e secondo prassi, sul professionista che rilascia il c.d. visto leggero di conformità, e che questo fatto, specificamente indicato con un motivo di appello, è stato del tutto trascurato dalla sentenza impugnata.
Si segnala che il ricorrente: 1) ha verificato la genesi del credito IVA, accertando la sua derivazione da un elevato volume di acquisti non seguito da un corrispondente volume di vendite e dal riporto di un credito dalla dichiarazione
precedente; 2) ha verificato la regolare tenuta RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, e in particolare dei registri IVA e dei registi acquisti e vendite; 3) ha verificato tutte fatture di acquisto e di vendita della società “RAGIONE_SOCIALE“, senza limitarsi ad una verifica a campione; 4) ha rilevato la mancata corrispondenza tra l’attività risultante dalle fatture esaminate e il codice ATECO, ha preteso la correzione dell’errore, ed ha proceduto alla dichiarazione IVA solo dopo aver ricevuto conferma dell’avvenuta correzione; 5) si è fatto trasmettere una bozza della dichiarazione IVA 2015, attività non dovuta, per avere una conferma della correttezza dei suoi calcoli; 6) ha accertato l’inizio RAGIONE_SOCIALE attività di compensazione dei crediti IVA da parte della “RAGIONE_SOCIALE” entro la soglia consentita dei 5.000,00 euro, traendo da ciò ulteriore conferma di regolarità RAGIONE_SOCIALE operazioni; 7) ha sottoposto alla società il problema del versamento dell’IVA a debito per i mesi di luglio e agosto 2014. Si evidenzia, inoltre, che il ricorrente era soggetto del tutto estraneo alla società, come riconosce la stessa sentenza impugnata, è stato remunerato sulla base RAGIONE_SOCIALE ordinarie tariffe professionali, ed ha accettato l’incarico per le garanzie sull’affidabilità della “RAGIONE_SOCIALE” ricevute da NOME, con il quale aveva già collaborato in passato senza incappare in problemi.
Si conclude che, in altri termini, che il ricorrente è stato ritenuto consapevole del mendacio per aver omesso accertamenti non dovuti, perché estranei al cd. visto “leggero”.
4.1.3. Si osserva, in terzo luogo, che, ai fini del giudizio di colpevolezza, sono stati valorizzati elementi privi di qualunque significato.
Si espone che la scelta della “RAGIONE_SOCIALE” di avvalersi, per l’apposizione del visto di conformità, di un professionista esterno, quale appunto il ricorrente, non poteva essere un campanello di allarme per lo stesso, come invece ritiene la Corte d’appello. In proposito, si rileva che: a) i commercialisti in rapporti con la societ erano privi di abilitazioni in proposito, e ciò è riconosciuto anche dalla sentenza impugnata; b) il ricorrente è stato contattato da NOME COGNOME, persona la quale gli aveva già presentato altri clienti per l’apposizione del visto leggero d conformità, e da tali prestazioni non gli era derivato alcun problema.
4.1.4. Si rappresenta, in quarto luogo, che illegittimamente sono valorizzate alcune omissioni di controlli dai quali sarebbe stato possibile conoscere la falsità dei dati contabili comunicati al ricorrente dalla “RAGIONE_SOCIALE“, perché si tratta verifiche di tipo sostanziale, estranee a quelle richieste per il rilascio del visto conformità “leggero”.
Si segnala che la sentenza impugnata, di fatto, ha trasformato il visto di conformità “leggero” in visto di conformità “pesante”. Si osserva che: a) l’accertamento della permanenza all’estero dell’amministratore di “RAGIONE_SOCIALE” era verifica del tutto estranea ai controlli richiesti per il rilascio del vis conformità “leggero”, e neppure di agevole fattibilità, posto che non è decisivo a
p
tal fine il dato anagrafico della formale residenza all’estero; b) l’identità grafi RAGIONE_SOCIALE fatture provenienti da cinque società diverse non costituiva ragionevole “campanello di allarme”, in quanto le indicate ditte erano tutte gestite da persone di nazionalità cinese e tutte operanti nel distretto commerciale di Roma, e, quindi, verosimilmente, utilizzavano il medesimo software (del resto, sono risultate false anche le fatture emesse da ulteriori ditte, sebbene caratterizzate da forme grafiche diverse); c) l’anomalia del codice ATECO, indicato nella comunicazione annuale dei dati IVA 2015, riferito a “costruzione di edifici residenziali”, è sta immediatamente rilevata e segnalata dal ricorrente, ed è stata superata dalla comunicazione dell’impegno alla trasmissione alla segnalazione della variazione da parte dello studio incaricato della tenuta della contabilità di “RAGIONE_SOCIALE“, nonch dalla notizia dell’effettuazione di compensazioni dei crediti IVA, da parte della medesima società, nei limiti per i quali non era necessario il visto di conformità.
4.1.5. Si rileva, in quinto luogo, che illegittimamente sono state considerate irrilevanti, con una motivazione meramente apparente, diverse circostanze indicative della buona fede del ricorrente segnalate con l’atto di appello.
Si rappresenta che la sentenza impugnata ha ritenuto irrilevanti: a) la durata della verifica, pari a sette giorni; b) la mancata conoscenza, da parte del ricorrente, della presenza dell’interesse di NOME COGNOME nella società “RAGIONE_SOCIALE“; c) la mancata conoscenza, da parte del ricorrente, della verifica fiscale i corso all’epoca dei fatti nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE“; d) la continuità d dichiarazioni rese dal ricorrente, avendo lo stesso sempre riferito che la “RAGIONE_SOCIALE” nel 2014 si era occupata solo di abbigliamento e nel 2015 avrebbe iniziato ad interessarsi di attività edilizia.
4.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo in ordine ai reati contestatigli, per travisamento della prova.
Si deduce che la sentenza impugnata ha valorizzato elementi probatori inesistenti, quali: a) il rapporto di affinità tra ili ricorrente e NOME COGNOME, de suo cognato, contrariamente al vero; b) il dato quantitativo RAGIONE_SOCIALE fatture verificate dal ricorrente in sette giorni, definite «numerosissime», e, però, pari a 55, di cui 25 di vendita e 30 di acquisto (tra queste ultime rientrano anche due note di credito), come risultante dall’apposito registro; c) l’affermazione del ricorrente di essere incorso, durante i colloqui telefonici, in uno scambio di persona tra il reale gestore della “RAGIONE_SOCIALE“, il calabrese COGNOME, con l’amministratore dell’impresa, il romeno NOME, sebbene l’imputato avesse detto di aver compreso solo nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini di aver avuto un incontro con persona diversa da COGNOME, e precisamente con COGNOME, e, perciò, di essersi relazionato con questo reputando il medesimo l’amministratore della società.
Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in due motivi.
5.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.,, avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di cui al capo P.
Si deduce che il ricorrente, legale rappresentante della ‘RAGIONE_SOCIALE“, è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 in dife di elementi da cui desumere il dolo specifico di sottrarsi al pagamento RAGIONE_SOCIALE imposte. Si evidenzia che il ricorrente ha rappresentato, in un memoriale, di aver accettato l’incarico di legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE” solo nella prospettiva di avere un lavoro, e di aver sottoscritto in totale buona fede documenti di cui ignorava il contenuto, in cambio di somme “simboliche”, erogategli a titolo di rimborso spese.
5.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo al diniego della sospensione condizionale della pena.
Si deduce che la sentenza impugnata, sul punto, è motivata in modo carente ed errato, perché non spiega il giudizio prognostico negativo, nonostante l’incensuratezza del ricorrente, la giovane età del medesimo, all’epoca di fatti appena ventiseienne, la modesta entità della pena inflitta, omettendo inoltre di confrontarsi con gli elementi di cui avrebbe dovuto tener conto a norma dell’art. 133 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito precisate.
I ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME, proposti con un unico atto, espongono censure in parte diverse da quelle consentite in sede di legittimità nonché prive di specificità, e in parte manifestamente infondal:e.
2.1. Diverse da quelle consentite in sede di legittimità nonché prive di specificità sono le censure formulate nel primo motivo, che contestano l’affermazione di responsabilità penale per i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui ai capi E) ed F), deducendo, in particolare, che illegittimamente è stato attribuito valore decisivo alla condanna riportata dai due ricorrente per il reato di partecipazione ad associazione per delinquere diretta da NOME COGNOME, che le società, al momento dell’emissione RAGIONE_SOCIALE fatture, avevano partita P_IVA attiva, e che nulla è indicato in ordine alla sussistenza del dolo.
2.1.1. La sentenza impugnata ha affermato la dichiarazione di responsabilità dei due imputati anche alla luce del contesto complessivo in cui si sono articolate le loro condotte.
Si premette che i due imputati, nel periodo di interesse per i reati di cui ai capi E) ed F), hanno fatto parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di frodi fiscali organizzata da NOME COGNOME, come accertato con sentenza irrevocabile pronunciata anche a loro carico.
Si rappresenta, poi, in particolare, con riguardo all’attività dell’associazione per delinquere indicata, che: a) NOME COGNOME aveva organiz2:ato un sistema di emissione di fatture per operazioni inesistenti, a mezzo RAGIONE_SOCIALE quali venivano creati falsi crediti di imposta poi utilizzati per pagamenti in compensazione, sistema da cui era derivato un danno per l’Erario quantificato in circa 8,6 milioni di euro; b) l’elemento centrale di questo sistema era costituito dalla società “RAGIONE_SOCIALE“, come confermato dalle dichiarazioni rese dal formale amministratore della stessa, NOME COGNOME, dalla verifica fiscale operata dalla Guardia di Finanza, nonché da intercettazioni telefoniche e tra presenti e da RAGIONE_SOCIALE di osservazione della polizia giudiziaria; c) la società “RAGIONE_SOCIALE” era stata costituita nel luglio 2014 nell’arco di soli sei mesi aveva realizzato un fatturato di 5 milioni di euro, generando IVA per oltre 300.000,00 euro, asseritarnente effettuando compravendita di indumenti ed accessori, pur avendo come oggetto sociale l’edilizia; d) le società emittenti le fatture nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE risultavano, all’atto RAGIONE_SOCIALE verifiche fiscali effettuate, o già cessate o in liquidazio da vari anni, come ad esempio la ditta individuale di NOME COGNOME, attuale ricorrente, avente ad oggetto sociale l’attività edilizia e già cessata nel 2011, e, tranne quest’ultima, avevano tutte sedi a Roma; e) tutte le fatture scambiate, nonostante provenissero da soggetti diversi, avevano identica veste grafica; f) “RAGIONE_SOCIALE” aveva venduto tutta la merce a due sole società, la “RAGIONE_SOCIALE“, costituita tredici giorni dopo la costituzione di “RAGIONE_SOCIALE“, e formalme amministrata da NOME COGNOME, attuale ricorrente, nonché la “RAGIONE_SOCIALE“, avente come oggetto sociale “RAGIONE_SOCIALE“, formalmente amministrata nel tempo da diverse persone, tra cui NOME COGNOME, attuale ricorrente; g) “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” avevano entrambe assunto come dipendente NOME COGNOME e si avvalevano entrambe, per la tenuta della loro contabilità, del commercialista di NOME COGNOME, il ragioniere NOME COGNOME con studio in Pescara; h) tutte le operazioni di acquisto e vendita cui aveva partecipato “RAGIONE_SOCIALE“, anche secondo quanto dichiarato al Pubblico ministero da NOME COGNOME, formale amministratore della società, erano «integralmente inesistenti», e si avvalevano di documentazione fornita da professionisti indicati da NOME COGNOME e persone a lui vicine. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si evidenzia, poi, con specifico riferimento alla posizione dei due ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’ambito RAGIONE_SOCIALE attività dell’associazione, che: a) nel corso di una conversazione intercettata il 13 ottobre 2016, NOME, parlando con COGNOME, aveva minacciato di denunciare i sodali ed aveva espressamente affermato la falsità RAGIONE_SOCIALE fatture ricevute da “RAGIONE_SOCIALE“; b) subito dopo, come emerge da altre conversazioni intercettate, su disposizione di NOME COGNOME, NOME COGNOME, in quel momento formale rappresentante di “RAGIONE_SOCIALE“, si recava dal commercialista COGNOME, ritirava le scritture contabili dell’impresa e partiva per la Romania; c) ricevuta dalla polizia giudiziaria la richiesta di documentazione relativa a “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, COGNOME consegnava le scritture contabili concernenti la prima società, lettere attestanti la consegna a COGNOME RAGIONE_SOCIALE scritture contabili concernenti la seconda società e ammetteva agli inquirenti come la gestione di fatto RAGIONE_SOCIALE due ditte fosse nelle mani di NOME COGNOME; d) successivamente a tali vicende, come emerge da intercettazioni e pedinamenti, COGNOME veniva fatto rientrare dalla Romania per chiudere il conto corrente intestato alla società “RAGIONE_SOCIALE“, partecipava a ad una riunione con RAGIONE_SOCIALE, COGNOME e NOME, quindi si recava con gli stessi a Pescara dal ragioniere COGNOME per un colloquio, ed infine veniva riaccompagnato in auto al confine per ritornare in Romania da COGNOME e da NOME; e) in linea AVV_NOTAIO, COGNOME, come emerge dalle conversazioni intercettate, ha coadiuvato NOME COGNOME, in particolare coordinando le attività di NOME COGNOME, di NOME COGNOME COGNOME e di NOME COGNOME, mentre COGNOME è stato il legale rappresentante di “RAGIONE_SOCIALE” sin dalla costituzione, ed ha operato in stretta sinergia con COGNOME; f) dalla documentazione della “RAGIONE_SOCIALE” risulta sia movimentazione di denaro solo per cassa in ordine agli acquisti dei capi di abbigliamento dalla “RAGIONE_SOCIALE s.r.l.” e alle rivendite degli stessi ad una società romena, nonostante si fosse trattato di operazioni formalmente effettuate per milioni di euro, sia l’effettuazione di trasporti della merce verso la Romania mediante un vettore con una partita IVA già cessata al momento di detti trasporti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si segnala, quindi, con riguardo ai fatti per i quali è stata pronuncia condanna nel presente processo, che: a) le tre fatture emesse da “RAGIONE_SOCIALE” nel 2014, e le quattro fatture emesse da “RAGIONE_SOCIALE” nel 2015 sono state tutte indirizzate alla società “RAGIONE_SOCIALE“, gestita da NOME COGNOME, ed avente ad oggetto l’esercizio di attività di smaltimento di rifiuti; b) “RAGIONE_SOCIALE“, ” RAGIONE_SOCIALE” ed “RAGIONE_SOCIALE” erano tutte società prive di qualsiasi organizzazione aziendale e produttiva; c) non risultano pagamenti di sorta con riferimento ad alcuna RAGIONE_SOCIALE fatture, sebbene quelle emesse da “RAGIONE_SOCIALE“, erano complessivamente relative alla somma di 350.000,00 euro più 77.000, euro per IVA, e risultano datate tutte tra il 31 ottobre ed il 5 novembre 2015; d) NOME COGNOME, al momento del rilascio RAGIONE_SOCIALE fatture, era il legale rappresentante
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di “RAGIONE_SOCIALE“; e) NOME COGNOME ha coadiuvato NOME COGNOME nella gestione effettiva RAGIONE_SOCIALE società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, e più in AVV_NOTAIO nelle attività del sodalizio criminale, nel periodo di tempo rilevante, come risulta anche dalla conversazione intercettata del 13 ottobre 2016, intercorsa con NOME COGNOME, formale amministratore della “RAGIONE_SOCIALE“, come confermato anche dalla condanna irrevocabile per il reato di cui all’art. 416 cod. pen.; f) NOME COGNOME ha partecipato attivamente alle operazioni illecite del gruppo diretto da NOME COGNOME, come risulta anche dalla collaborazione prestata a quest’ultimo e ad COGNOME in occasione del rientro in Italia di bari NOME COGNOME, formale amministratore di “RAGIONE_SOCIALE“, per risolvere le criticità relati agli accessi della Guardia di Finanza presso il commercialista di questa impresa e della “RAGIONE_SOCIALE“, e come confermato anche dalla condanna irrevocabile per il reato di cui all’art. 416 cod. pen.
2.1.2. Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi.
I Giudici di merito, infatti evidenziano numerosi, gravi, precisi e concordanti elementi da cui inferire che le condotte di emissione di fatture per operazioni inesistenti sono state consapevolmente compiute da NOME COGNOME con riferimento ai fatti di cui al capo E) e da NOME COGNOME in relazione ai fatti di cui ai capi E) ed F), quali segmenti di un’attività complessivamente diretta frodare il Fisco per importi di oltre otto milioni di euro.
Le censure proposte dai due ricorrenti sono meramente assertive, anche perché non denunciano né documentano travisamenti della prova, non si confrontano con la gran parte dell’imponente mole di elementi a carico indicati dalla sentenza impugnata, e, di fatto, si limitano a prospettare una diversa ricostruzione RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie.
2.2. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel secondo motivo, che contestano l’affermazione di responsabilità penale per i reati di fatture per operazioni inesistenti di cui ai capi E) ed F), deducendo la mancata assunzione di perizia calligrafica, da parte del giudice di appello, invocata per verificare se la firma apposta sulle fatture emesse da “RAGIONE_SOCIALE” sia effettivamente quella di NOME COGNOME.
La sentenza impugnata ha escluso la necessità di procedere alla richiesta perizia calligrafica osservando che l’individuazione dell’autore della sottoscrizione sulle fatture di cui al capo E) è irrilevante, perché occorre considerare il contesto associativo nel quale le condotte in questione sono state commesse.
A queste considerazioni, sicuramente corrette per escludere la configurabilità di un vizio di motivazione, deve aggiungersi un’ulteriore, dirimente considerazione, perché le censure contestano il mancato espletamento di perizia da parte del giudice di appello in termini di omessa assunzione di prova decisiva, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. Invero, costituisce principio
ampiamente consolidato, enunciato anche dalle Sezioni Unite, quello secondo cui la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità RAGIONE_SOCIALE parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’ar 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936-01).
2.3. Manifestamente infondate sono anche le censure proposte nel terzo motivo, che contestano la mancata dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione.
Invero, i fatti di cui al capo E) attengono al reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. del 2000 e sono stati commessi tra il 31 ottobre ed il 5 novembre 2015, mentre i fatti di cui al capo F) attengono anch’essi al reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 d 2000, ma sono stati commessi tra il 30 settembre e il 31 dicembre 2014.
Ciò posto, ai fini della individuazione del tempo necessario a prescrivere, deve trovare applicazione la disciplina di cui al comma 1-bis dell’art. 17 d.lgs. n. 74 del 2000, entrato in vigore il 17 settembre 2011, in quanto aggiunto, nel corpo dell’art. 17 d.lgs. n. 74 del 2000, dall’art. 2, comma 36-vides semel, lett. I), d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
Secondo l’art. 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 74 del 2000: «I termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo». Di conseguenza, per l’applicazione di questa previsione in combinato disposto con quelle di cui agli artt. 157, 160 e 161 cod. pen., il termine di prescrizione per i reati previsti dagli articoli da 2 a 10 del d.lgs. n. 74 del 20 è pari ad otto anni, più due anni per l’interruzione.
Ne discende che alla data della sentenza di appello (ma anche ad oggi), non era ancora decorso il termine di dieci anni necessario a prescrivere né con riferimento ai fatti di cui al capo E), né con riferimento ai fatti cli cui al capo F)
Il ricorso di NOME COGNOME espone censure in parte diverse da quelle consentite in sede di legittimità, e in parte manifestamente infondate.
3.1. Diverse da quelle consentite in sede di legittimità sono le censure formulate nel primo motivo, che contestano l’affermazione di responsabilità penale per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti di cui al capo P), deducendo l’assenza di dolo specifico, avendo egli sottoscritto in buona fede documenti connessi alla carica di amministratore della “RAGIONE_SOCIALE“, in cambio di somme modeste ed al fine di svolgere un lavoro.
La sentenza impugnata ritiene NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 con riguardo alla dichiarazione presentata quale amministratore della “RAGIONE_SOCIALE” per l’anno 2013, in data 20 febbraio 2014, per aver utilizzato fatture per operazioni inesistenti emesse dalla società “RAGIONE_SOCIALE” per un importo complessivo di 2.774.989,80 euro, di cui 481.609,80 a titolo di IVA.
A fondamento di tale conclusione, rappresenta che: a) la società emittente le false fatture, la “RAGIONE_SOCIALE“, cessata nel 2014, aveva come oggetto sociale, il commercio di prodotti alimentari e non di vestiario, come invece la destinataria, la “RAGIONE_SOCIALE“, ed era amministrata da un pluripregiudicato vicino a NOME COGNOME; b) le fatture utilizzate, anche con riferimento al solo anno 2013, erano di importo ingente; c) NOME COGNOME ha accettato di essere formale amministratore della “RAGIONE_SOCIALE” per un periodo di tempo non breve; d) NOME COGNOME, nella qualità di amministratore della “RAGIONE_SOCIALE” non solo ha sottoscritto dichiarazioni fiscali per importi milionari in relazione ad una società del tutto inattiva e priva di strutture (cfr., sulla inesistenza di t società quanto indicato in precedenza al Ej 2.1.1), ma ha anche effettuato compensazioni utilizzando crediti IVA del tutto fittizi per centinaia di miglia di euro
Conclude, pertanto, che la condotta, non contestata quanto alla sussistenza del fatto oggettivo, deve ritenersi sorretta quanto meno da dolo eventuale, stante l’assenza di qualunque verifica sulle operazioni sottoscritte, nonostante la presenza di «”campanelli di allarme” più che evidenti ed espliciti».
Le conclusioni della sentenza impugnata sono correttamente motivate, perché fondate su elementi gravi, precisi e concordanti anche ai fini della prova del dolo specifico. Le censure del ricorrente, incentrate solo sull’asserzione di aver agito in buona fede per l’esigenza di lavorare e in cambio di somme “simboliche”, non evidenziano vizi logici o giuridici, ma si traducono, di fatto, in una mera richiesta di rivalutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie.
3.2. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel secondo motivo, che contestano il diniego della sospensione condizionale della pena, deducendo l’assenza di una effettiva motivazione sul punto, anche in considerazione della modesta entità della sanzione irrogata, pari a dieci mesi e dieci giorni di reclusione.
La sentenza impugnata, ai fini RAGIONE_SOCIALE sue determinazioni sul punto, ha valorizzato le condizioni in cui venne consumata l’azione, e, precisamente, il contesto connotato da plurimi ed inquietanti indicatori di illiceità societaria, nonché l’assenza di segnali di resipiscenza o di condotte riparatorie.
Deve ritenersi che l’esposta motivazione si fondi su elementi precisi e congrui rispetto alla conclusione dell’impossibilità di una prognosi di esclusione del rischio di reiterazione di condotte penalmente illecite da parte dell’imputato.
Il ricorso di NOME COGNOME espone censure in parte diverse da quelle consentite in sede di legittimità e in parte manifestamente infondate.
Le censure formulate nei due motivi, da esaminare congiuntamente, che contestano l’affermazione della sussistenza del dolo in capo a NOME COGNOME in ordine ai reati di cui ai capi H) e I), deducendo che il medesimo ha adempiuto tutti i controlli richiesti per il rilascio del visto di conformità c.d. “leggero”, c suo carico, sono state valorizzate circostanze irrilevanti, o omissioni di controlli richiesti per il visto di conformità c.d. “pesante”, mentre non sono state apprezzate circostanze indicative di buona fede, puntualmente segnalate nell’atto di appello, e che, inoltre, la Corte d’appello sarebbe incorsa in alcuni travisamenti di prove.
4.1. La sentenza impugnata afferma la responsabilità di NOME COGNOME, per aver apposto il visto e trasmesso la dichiarazione annuale IVA per l’anno 2014 relativamente alla società “RAGIONE_SOCIALE“, nella quale erano indicate fatture per operazioni oggettivamente inesistenti per un imponibile complessivo di 8.216.131,48 euro, comprensivo di IVA per 1.481.597,48 euro (capo H), e per aver concorso nell’utilizzare per compensazioni i predetti crediti inesistenti per un importo superiore alla soglia di punibilità (capo I).
La decisione, innanzitutto, offre ampie indicazioni in ordine ai numerosi elementi dai quali desumere la totale inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni riportate nelle fatture utilizzate per la dichiarazione annuale IVA della società “RAGIONE_SOCIALE” per l’anno 2014, alla quale ha apposto il visto NOME COGNOME (cfr., per una sintesi, quanto indicato in precedenza nel § 2.1.1).
La Corte d’appello, poi, quanto al contenuto degli obblighi di verifica da adempiere per il rilascio del visto di conformità cd. “leggero”, quale quello rilasciato dall’attuale ricorrente, osserva, richiamando Sez. 3, n. 19672 del 13/03/2019, Cartechini, Rv. 275998-01, che, anche in tal caso, il professionista è tenuto a riscontrare la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione con le risultanze della relativa documentazione (oltre che la conformità degli stessi alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti di impost nonché lo scomputo RAGIONE_SOCIALE ritenute d’acconto), a norma di quanto previsto dall’art. 2 D.M. n. 164 del 1999.
La sentenza impugnata, quindi, rappresenta che molteplici sono gli indici della «malafede del soggetto, o quantomeno di assunzione ampiamente consapevole dell’elevatissimo rischio che i dati contabili che gli erano stati inviati ai fini de compensazione di crediti IVA fossero – come in effetti risulta ac:certato, né viene contestato dalla difesa – del tutto falsi, per essere le operazioni portate dalle relative fatture integralmente inesistenti». In particolare, segnala che NOME COGNOME: a) fu chiamato ad apporre il visto alla dichiarazione della “RAGIONE_SOCIALE“, nonostante questa società fosse assistita da vari studi di commercialisti esperti, uno dei quali faceva capo a COGNOME NOME, associato con la sorella del ricorrente,
la commercialista NOME COGNOME, ed avesse sede in Lombardia, mentre egli aveva studio nel Lazio; b) fu contattato a tal fine da NOME COGNOME, il quale è risultato essere l’autore RAGIONE_SOCIALE false fatture della società; c) attestò la conformità della dichiarazione IVA sette giorni dopo aver ricevuto le fatture, nonostante la pluralità di queste, gli importi milionari recati dalle medesime, e i periodi particolarmente brevi in cui le stesse erano state emesse dalle società fornitrici; d) non effettuò alcun controllo sulle società da cui provenivano le fatture, evitando di accertare come le stesse fossero tutte cessate da anni, né sulle due uniche società acquirenti, la “RAGIONE_SOCIALE” e la “RAGIONE_SOCIALE“, le quali erano mere strutture di comodo; e) non effettuò alcun controllo sull’amministratore formale della “RAGIONE_SOCIALE“, NOME COGNOME, sebbene si trattasse di persona vivente all’estero, e confuse lo stesso con NOME COGNOME; f) non constatò l’identità della veste grafica di tutte le fatture ricevute dalle diverse società; g) si limitò a far corregger il codice ATECO della società “RAGIONE_SOCIALE“, relativo all’attività edilizia, nonostante le fatture per ingentissimi importi erano relative alla vendita di capi di abbigliamento, senza procedere ad alcuna verifica o approfondimento prima di rilasciare il visto di conformità. Rimanda, inoltre, anche agli ulteriori elementi indicati nella sentenza di primo grado, tra i quali possono citarsi: a) l’anomalia dell’elevatissima fatturazione della “RAGIONE_SOCIALE” per l’anno 2014, essendo stata la società costituita solo nel giugno 2014; b) l’assenza di qualunque controllo in ordine ai pagamenti effettuati dalla “RAGIONE_SOCIALE” e ai documenti di trasporto (c.d. DDT) a fronte RAGIONE_SOCIALE ingenti fatture ricevute (l’effettuazione dei controlli avrebbe evidenziato l’assenza di qualunque pagamento tracciabile).
4.2. Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi.
4.2.1. Va innanzitutto rilevato, che, sotto il profilo obiettivo, la condotta d rilascio, da parte di un professionista abilitato, del c.d. visto “leggero” d conformità della dichiarazione IVA, in difetto dei presupposti necessari, configura contributo rilevante, a norma dell’art. 110 cod. pen., con riferimento ai reati di cui all’art. 2 e di cui all’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione alla dichiarazione IVA fraudolenta certificata dal professionista ed all’indebita compensazione di crediti inesistenti risultanti da tale dichiarazione.
Invero, la condotta del professionista che rilascia indebitamente il visto “leggero” di conformità ad una dichiarazione IVA: a) con riferimento al reato di dichiarazione fraudolenta, offre un contributo quanto meno agevolatore e di rafforzamento del proposito criminoso, anche perché di norma l’apposizione del visto precede la presentazione della dichiarazione (il visto c.cl. “leggero” deve attestare, tra l’altro, a norma dell’art. 2 D.M. Finanze 31 maggio 1999, n. 164, la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d’imposta); b) con riguar al reato di indebita compensazione, costituisce contributo causale, in quanto
presupposto formale necessario (almeno in via alternativa ad altri) per effettuare le compensazioni di crediti IVA, a norma dell’art. 10, comma 7, dl. 1 luglio 2009, n. 78, convertito dalla I. 3 agosto 2009, n. 102.
E, del resto, la configurabilità di un contributo concorsuale rilevante ex art. 110 cod. pen. non è stata specificamente contestata nel ricorso.
4.2.2. Va poi evidenziato che, per individuare il tipo di controlli che il professionista deve compiere al fine del rilascio della certificazione, la disposizione di immediato interesse è costituita dall’art. 2 D.M. Finanze 31 maggio 1999, n. 164, la quale prevede, al comma 1, il visto di conformità c.d. “leggero” e, al comma 2, il visto di conformità c.d. “pesante”.
La disposizione appena citata, in particolare, precisa, con riferimento al visto di conformità c.d. “leggero”, che il rilascio dello stesso «implica il riscontro dell corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze della relativa documentazione e alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d’imposta, lo scomputo RAGIONE_SOCIALE ritenute d’acconto».
Ne discende che risulta doverosa, da parte del professionista, la verifica in ordine ai documenti relativi ai dati esposti nella dichiarazione.
E questa verifica non può intendersi ridotta ad un semplice controllo aritmetico di corrispondenza tra il dato numerico riportato nelle fatture e quello indicato in dichiarazione, così da prescindere persino da accertamenti formali di immediata effettuazione, o, addirittura, da verifiche sulla documentazione strettamente correlata alle operazioni indicate in fattura e anch’essa nella disponibilità del dichiarante (cfr., per conclusioni analoghe, Sez. 3, n. 19672 del 13/03/2019, Cartechini, Rv. 275998-01, in motivazione § 9).
In questa prospettiva, nel caso di specie, una omissione di assoluto rilievo è costituita dalla mancata effettuazione di qualunque approfondimento dopo il rilievo dell’incongruità del codice ATECO della società “RAGIONE_SOCIALE” rispetto alle operazioni indicate nelle fatture, e per importi milionari; né tale omissione può essere esclusa solo perché la divergenza è stata semplicemente “sistemata” ex post, in sede di presentazione della dichiarazione, a distanza di tempo dalle transazioni.
Inoltre, sempre nella vicenda in esame, sono stati omessi accertamenti formali di immediata fattibilità, come quelli sulla operatività RAGIONE_SOCIALE società emittenti al momento del rilascio RAGIONE_SOCIALE singole fatture, o sulle modalità di pagamento, nonostante gli importi fossero cospicui e, per legge, dovessero essere necessariamente tracciabili.
4.2.3. Va quindi osservato che, sotto il profilo del c:oefficiente della colpevolezza, è necessario che il professionista rilasci il visto “leggero” di conformità omettendo consapevolmente di compiere i controlli dovuti dai quali
sarebbe emersa la fraudolenza della dichiarazione fiscale, ed accettando il rischio di agevolare la presentazione di una dichiarazione fraudolenta.
Nella specie, la sentenza impugnata ha indicato sia numerose omissioni di NOME COGNOME in ordine a controlli doverosi, sia specifici elementi dai quali il medesimo avrebbe dovuto inferire la irregolarità dei documenti sottoposti al suo esame. In particolare, sotto il profilo formale, vanno evidenziate: a) l’accettazione di una mera sistemazione ex post e a distanza di tempo dell’incongruenza del codice ATECO della società “RAGIONE_SOCIALE” rispetto alle fatture contabilizzate; b) la mancata verifica, semplicemente formale, sull’operatività RAGIONE_SOCIALE ditte emittenti le fatture; c) la mancata verifica in ordine all’effettuazione dei pagamenti RAGIONE_SOCIALE fatture e ai documenti di trasporto della merce. E tutto questo nonostante si trattasse di fatture: 1) per un imponibile complessivo di 8.216.131,48 euro, comprensivo di IVA per 1.481.597,48 euro, maturato in un semestre, e con riferimento ad una società appena costituita; 2) di identica veste grafica sebbene provenienti da società diverse.
Inoltre, non del tutto irrilevante, per delineare il contesto complessivo dei rapporti tra i partecipi dal reato, è la circostanza segnalai:a dalla sentenza impugnata, secondo cui la società “RAGIONE_SOCIALE” si è rivolta a NOME COGNOME nonostante si avvalesse – contestualmente – di vari studi di commercialisti, tanto più che, tra questi, .solo COGNOME è indicato come professionista non abilitato al rilascio del visto di conformità (v. pagg. 51-52).
4.2.4. Va infine escluso che la sentenza impugnata sia incorsa in travisamenti di prove.
Ne sono denunciati specificamente tre: a) il’ rapporto di affinità tra il ricorrente e NOME COGNOME, definito suo cognato, contrariamente al vero; b) il dato quantitativo RAGIONE_SOCIALE fatture verificate dal ricorrente in sette giorni, defin «numerosissime», e, però, pari a 55, di cui 25 di vendita e 30 di acquisto; c) l’affermazione del ricorrente di essere incorso, durante i colloqui telefonici, in uno scambio di persona tra il reale gestore della “RAGIONE_SOCIALE“, il calabrese NOME, con l’amministratore dell’impresa, il romeno COGNOME.
Tuttavia, quanto al primo dato, la sentenza impugnata evidenzia non un rapporto di affinità tra NOME COGNOME e NOME, bensì che la sorella di NOME COGNOME, NOME COGNOME, anch’ella commercialista, era socia di NOME COGNOME (v. pag. 52).
Quanto al secondo dato, la indicazione RAGIONE_SOCIALE fatture come «numerosissime» costituisce l’espressione di un giudizio opinabile e non incongruo, posto che comunque le fatture erano, secondo quanto indicato nel ricorso, 55.
Quanto al terzo dato, la sentenza impugnata chiarisce espressamente che «l’asserito scambio fra le persone di NOME NOME» è «circostanzdel tutto secondari», e, quindi, come tale, ininfluente ai fini della decis
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f )/
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende, a carico di ciascuno di essi, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso in data 13/02/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente