Violenza sulle Cose: Quando il Danno a una Porta Aggrava il Reato di Furto
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento su un tema ricorrente nel diritto penale: la configurabilità dell’aggravante della violenza sulle cose. Spesso si tende a pensare che tale circostanza richieda una distruzione plateale dell’oggetto, ma i giudici supremi ribadiscono un principio più rigoroso. Anche un danneggiamento che non compromette totalmente la struttura di un bene, come una porta, può integrare l’aggravante se ne richiede il ripristino. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata.
I Fatti del Caso
Il procedimento ha origine da una condanna per furto in abitazione, aggravato ai sensi dell’art. 625, n. 2, del codice penale. L’imputato, dopo la conferma della pena in Corte d’Appello, ha presentato ricorso per Cassazione. L’unica doglianza sollevata riguardava proprio l’applicazione dell’aggravante della violenza sulle cose. Secondo la difesa, il danneggiamento arrecato alla porta d’ingresso durante il tentativo di furto non era sufficientemente grave da giustificare un aumento di pena.
L’Aggravante della Violenza sulle Cose nel Diritto Penale
Prima di esaminare la decisione della Corte, è utile definire cosa intende la legge per violenza sulle cose. Questa aggravante si configura ogni volta che, per commettere il reato, il soggetto utilizza energia fisica su un bene mobile o immobile, provocandone:
* La rottura o il guasto;
* Il danneggiamento;
* La trasformazione o il mutamento di destinazione;
* Il distacco di una componente essenziale.
L’elemento cruciale, come sottolineato dalla giurisprudenza costante, è che tale azione renda necessaria un’attività di ripristino per restituire al bene la sua funzionalità originaria. Non è quindi una questione di mera forzatura, ma di un’alterazione tangibile dell’oggetto.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici hanno sottolineato come l’imputato si fosse limitato a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza evidenziare un vero e proprio vizio di legittimità della sentenza impugnata.
Nel merito, la Corte ha validato pienamente il ragionamento dei giudici di secondo grado. La sentenza d’appello aveva correttamente valorizzato il materiale fotografico presente agli atti, dal quale emergeva in modo chiaro l’esistenza di “segni plurimi e profondi in corrispondenza della serratura e nella parte bassa della porta”. Questi danni, descritti come “grandi solchi”, erano tali da intaccare il portone d’ingresso in più punti, rendendo oggettivamente necessaria un’attività di riparazione.
Secondo la Suprema Corte, la valutazione del materiale istruttorio è stata coerente e ha permesso di accertare, senza ombra di dubbio, la piena sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’aggravante della violenza sulle cose. Il danno non era superficiale, ma incideva sulla funzionalità e sull’integrità del bene.
Le Conclusioni
La pronuncia ribadisce un principio fondamentale: per integrare l’aggravante della violenza sulle cose non è richiesta la distruzione del bene. È sufficiente un danneggiamento che vada oltre il semplice sforzo fisico necessario a superare le difese passive e che imponga un’attività di ripristino. Solchi, graffi profondi e segni di forzatura su una porta, se documentati e tali da richiedere una riparazione, sono elementi più che sufficienti per giustificare un aggravamento della pena. Questa interpretazione estende la tutela del patrimonio, punendo più severamente non solo chi distrugge, ma anche chi danneggia in modo significativo i beni altrui per commettere un reato.
Quando un danno a una porta costituisce l’aggravante di ‘violenza sulle cose’?
Secondo la Corte, l’aggravante si configura quando il danno, come solchi e segni profondi, è tale da richiedere un’attività di ripristino per restituire al bene la sua piena funzionalità, anche senza una distruzione completa.
È sufficiente forzare una serratura per configurare la violenza sulle cose?
La sentenza chiarisce che l’aggravante sussiste quando si usa energia fisica che provoca rottura, guasto o danneggiamento. Nel caso di specie, ‘segni plurimi e profondi’ e ‘grandi solchi’ sono stati ritenuti prova sufficiente di una tale violenza, che va oltre la semplice manipolazione.
Cosa accade se un ricorso in Cassazione ripropone le stesse argomentazioni dell’appello?
Se il ricorso si limita a reiterare doglianze già esaminate e correttamente respinte in appello, senza individuare specifici vizi di legittimità (cioè errori di diritto), viene dichiarato inammissibile, come è successo in questo caso.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 42896 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 42896 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/10/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Bari ha confermato sentenza del Tribunale di Bari del 27 settembre 2022, con cui NOME er stato condannato alla pena di anni 3, mesi 4 di reclusione ed euro 1.000,00 di mu in ordine ai reati di cui agli artt. 624 bis e 625, n. 2, cod. pen.
L’imputato, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso l sentenza della Corte di appello, lamentando vizio di motivazione in relazione a mancata esclusione dell’aggravante di cui all’art. 625, n. 2 cod. pen.
Il motivo è manifestamente infondato. Deduce il ricorrente, reiterando questa sede di legittimità le medesime doglianze già proposte in appel l’insussistenza della circostanza aggravante della violenza sulle cose , configur tutte le volte in cui il soggetto faccia uso di energia fisica provocando la ro guasto, il danneggiamento, la trasformazione, il mutamento di destinazion della cosa altrui o il distacco di una componente essenziale ai fini della funzio tali da rendere necessaria un’attività di ripristino per restituire alla “res” funzionalità (ex multis, Sez. 5 – , n. 13431 del 25/02/2022, COGNOME, Rv. 28 – 02; Sez. 5 – , n. 11720 del 29/11/2019, COGNOME, Rv. 279042 – 01). Orbene, sentenza impugnata, alla pag.. 4, rileva come dal materiale fotografico in atti em l’esistenza di segni plurimi e profondi in corrispondenza della serratura e nella bassa della porta, con danni tali da richiedere una attività di ripristino del po ingresso, intaccato in diversi punti da grandi solchi. I giudici di merito, dunque, atto, mediante la coerente valutazione del materiale istruttorio, GLYPH della piena sussistenza del presupposto per l’applicabilità della aggravante in parola.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Segue per legge la condan dell’imputato al pagamento delle spese processuali e di una ulteriore somma in favo della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Roma, 17 ottobre 2024