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Vilipendio religioso: Cassazione sui limiti alla protesta

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per vilipendio religioso e turbativa di funzione religiosa a carico di due imputati che avevano protestato platealmente contro il vescovo durante una processione. La Corte ha stabilito che insultare un ministro di culto, anche con il pretesto di criticare scelte organizzative, integra il reato di vilipendio quando si manifesta disprezzo, superando i limiti della libera espressione del pensiero. La protesta ha inoltre interrotto la cerimonia, configurando la turbativa.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Vilipendio religioso: la Cassazione traccia il confine tra critica e reato

La libertà di espressione è un pilastro del nostro ordinamento, ma dove finisce la critica legittima e dove inizia l’offesa penalmente rilevante? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 1253/2024) offre un’importante chiave di lettura sul tema del vilipendio religioso, chiarendo come anche le proteste nate da questioni organizzative possano sfociare in reato se trascendono in offese dirette a un ministro di culto e al sentimento religioso della comunità. Il caso analizza la condotta di alcuni cittadini durante una processione, la cui protesta contro il vescovo è stata ritenuta penalmente rilevante.

I fatti del processo: la protesta durante la processione

La vicenda trae origine da una processione del santo patrono in una città del Sud Italia. A seguito della decisione del vescovo locale di modificare il percorso tradizionale del rito per restituirgli un carattere più spirituale, un gruppo di persone ha inscenato una plateale protesta. Due di questi manifestanti sono stati condannati in primo grado e in appello per i reati di turbativa di funzioni religiose (art. 405 c.p.) e offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone (art. 403 c.p.).

I ricorrenti in Cassazione hanno sostenuto tesi difensive diverse:
– Un imputato ha affermato di essere stato un mero spettatore, di aver agito impulsivamente per disappunto e che la sua condotta fosse priva di reale offensività.
– L’altro ha sostenuto che le offese non fossero rivolte al vescovo ma ad altri soggetti e che l’intento non fosse quello di offendere il sentimento religioso, bensì di criticare le modalità organizzative della processione. Inoltre, ha argomentato che la processione era già ferma al momento dei fatti, escludendo quindi il reato di turbativa.

L’analisi della Corte sul vilipendio religioso

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, confermando le condanne. I giudici hanno chiarito punti fondamentali sulla distinzione tra critica e vilipendio.

La differenza tra critica e vilipendio

La Corte ribadisce un principio consolidato: la critica, anche aspra, è lecita quando si basa su argomentazioni e si esprime in modo civile. Tuttavia, quando la critica si trasforma in un attacco personale, volgare e denigratorio, manifestando disprezzo fine a sé stesso, si sconfina nel vilipendio religioso. Nel caso di specie, le espressioni offensive e l’atteggiamento aggressivo rivolti al vescovo non sono stati considerati una critica alle sue scelte pastorali, ma un’offesa diretta alla sua figura quale massimo riferimento spirituale della comunità e, di conseguenza, al sentimento religioso dei fedeli presenti.

La turbativa della funzione religiosa

Per quanto riguarda il reato di cui all’art. 405 c.p., la Corte ha specificato che la condotta di turbativa si realizza non solo impedendo l’inizio di una funzione religiosa, ma anche disturbandone il regolare svolgimento. La difesa, sostenendo che la processione fosse già ferma, non ha colto il punto cruciale: la sosta era stata causata proprio dalle veementi proteste degli imputati e di altri. La funzione era quindi in corso e la condotta degli imputati ne ha palesemente turbato lo svolgimento, impedendo la preghiera che il vescovo si apprestava a recitare.

Le motivazioni della Cassazione

Le motivazioni della Corte si fondano su una precisa interpretazione delle norme e dei principi costituzionali. I giudici hanno sottolineato che il dolo richiesto per questi reati è generico: è sufficiente la consapevolezza di pronunciare frasi offensive e di ostacolare una cerimonia religiosa, senza che sia necessario un fine specifico di offendere la religione. L’azione degli imputati, ripresa da telecamere, ha dimostrato la piena volontà di impedire al vescovo di proseguire la cerimonia, manifestando disprezzo verso la sua autorità e la funzione religiosa stessa. La Corte ha inoltre respinto la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), evidenziando la gravità della condotta in relazione all’importanza dell’evento religioso (la festa patronale) e al ruolo istituzionale della persona offesa.

Le conclusioni

La sentenza n. 1253/2024 della Corte di Cassazione rappresenta un importante monito sui limiti della libertà di manifestazione del pensiero, specialmente in contesti sensibili come le cerimonie religiose. La decisione chiarisce che il dissenso verso le scelte organizzative di un’autorità ecclesiastica non può mai tradursi in attacchi personali e denigratori che configurano il reato di vilipendio religioso. La tutela del sentimento religioso e del pacifico svolgimento delle funzioni di culto prevale su una protesta che assume i connotati dell’offesa e della turbativa, tracciando una linea netta tra l’esercizio di un diritto e la commissione di un reato.

Quando una protesta contro le decisioni di un’autorità religiosa diventa reato di vilipendio?
Secondo la sentenza, la protesta diventa reato di vilipendio quando supera la critica civile e si manifesta attraverso offese volgari, scherno e disprezzo diretti a un ministro di culto. Non rileva il movente (ad esempio, una critica organizzativa), ma la modalità offensiva che attacca la persona e, di riflesso, il sentimento religioso della comunità che essa rappresenta.

Interrompere una processione già ferma costituisce reato di turbativa di funzione religiosa?
Sì, costituisce reato. La Corte ha chiarito che se la sosta della processione è stata causata proprio dalla condotta di protesta, la funzione religiosa deve considerarsi ancora in corso. L’azione di disturbo che impedisce la ripresa o il proseguimento del rito integra pienamente il reato di turbativa, poiché ne altera il normale svolgimento.

Perché la Corte ha negato l’applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La Corte ha ritenuto la condotta non di particolare tenuità a causa della sua gravità complessiva. I fattori determinanti sono stati l’importanza dell’evento religioso compromesso (la festa del santo patrono della città) e il rilievo della carica istituzionale della persona offesa, ovvero il vescovo della diocesi, il cui ruolo è centrale per la comunità dei fedeli.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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