Videosorveglianza sul Lavoro: Reato se Manca l’Accordo Sindacale
L’installazione di sistemi di videosorveglianza sul lavoro è una questione delicata, che bilancia le esigenze di sicurezza e tutela del patrimonio aziendale con il diritto alla privacy dei lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 27844/2024) ha ribadito la linea dura nei confronti di chi installa telecamere senza rispettare le procedure di legge, confermando la condanna penale per un datore di lavoro.
I Fatti del Caso
Il titolare di un’attività di parrucchiere è stato condannato dal Tribunale di Teramo per la contravvenzione prevista dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. L’accusa era di aver installato, nei locali dell’attività, un impianto audiovisivo composto da quattro telecamere e un dispositivo nell’ufficio retrostante, idoneo a consentire il controllo a distanza dell’attività dei dipendenti. L’installazione era avvenuta senza aver prima raggiunto un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, senza aver ottenuto l’autorizzazione preventiva da parte della sede territoriale dell’Ispettorato del Lavoro.
Il Motivo del Ricorso e la Difesa dell’Imprenditore
L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito non avessero adeguatamente verificato due aspetti cruciali: l’effettivo funzionamento delle telecamere e, soprattutto, la loro finalità. Secondo la difesa, le videocamere erano state collocate esclusivamente per preservare il patrimonio aziendale da furti o danneggiamenti, e non per spiare i lavoratori.
La Decisione sulla Videosorveglianza sul Lavoro
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno chiarito che le argomentazioni della difesa riguardavano la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti. Questo tipo di analisi è di competenza esclusiva del giudice di merito (primo e secondo grado) e non può essere oggetto di una nuova valutazione in sede di legittimità, a meno che la motivazione della sentenza impugnata non sia palesemente illogica o contraddittoria.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la decisione del Tribunale fosse ben motivata, logica ed esauriente.
Le Motivazioni
I giudici di secondo grado avevano compiuto una disamina completa e approfondita delle risultanze processuali. Era stato accertato senza ombra di dubbio che l’impianto di videosorveglianza sul lavoro era stato installato e funzionava regolarmente, riprendendo la sala principale e i corridoi di accesso. Cruciale, ai fini della decisione, è stata la constatazione che l’impianto era stato predisposto in totale assenza della procedura di garanzia prevista dalla legge: l’accordo sindacale o l’autorizzazione amministrativa. Inoltre, il giudice ha evidenziato come non fosse emersa alcuna prova che il sistema fosse realmente funzionale solo alla tutela del patrimonio aziendale, né che il controllo sull’attività lavorativa fosse meramente occasionale.
Le Conclusioni
L’ordinanza riafferma un principio fondamentale: l’installazione di impianti di videosorveglianza che possono controllare a distanza l’attività dei lavoratori è illecita se non vengono seguite le procedure stabilite dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. La semplice giustificazione di voler proteggere i beni aziendali non è sufficiente a sanare la violazione della norma. Per essere legittimo, il controllo deve essere autorizzato preventivamente nelle forme previste, garantendo così un corretto bilanciamento tra gli interessi del datore di lavoro e i diritti fondamentali dei dipendenti. La mancata osservanza di queste regole configura una contravvenzione penalmente rilevante.
Quando è legale installare un sistema di videosorveglianza sul lavoro?
Secondo la sentenza, è legale solo se esiste un preventivo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in loro assenza, una specifica autorizzazione rilasciata dall’Ispettorato territoriale del lavoro, come previsto dall’art. 4 della L. 300/1970.
Basta affermare che le telecamere servono a proteggere il patrimonio aziendale per renderle lecite?
No. La sentenza chiarisce che la finalità di tutela del patrimonio aziendale non è sufficiente a giustificare l’installazione se non vengono seguite le procedure di accordo sindacale o autorizzazione amministrativa. Nel caso specifico, non era stata fornita neppure la prova di tale esclusiva finalità.
La Corte di Cassazione può riesaminare se le telecamere funzionavano o meno?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la valutazione dei fatti e delle prove, come l’effettivo funzionamento di un impianto, spetta ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il suo ruolo è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non condurre una nuova istruttoria.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27844 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27844 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 19/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SANT’OMERO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/03/2023 del TRIBUNALE di TERAMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
s..
COGNOME NOME ricorre per cassazione avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Teramo che lo ha condannato in relazione alla contravvenzione di cui all’art.4, comma 1, L 300/1970 per avere installato, nei locali retrostanti luogo in cui si svolge l’at parrucchiere, impianti audiovisivi e altre apparecchiature idonee a consentire il contro distanza dell’attività dei lavoratori senza previo accordo con le rappresentanze sindac aziendali. Con un unico motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione di legge in or all’affermazione della responsabilità non avendo il giudice verificato l’effettivo funziona delle telecamere e neppure le finalità dell’installazione delle videocamere, collocate al f preservare il patrimonio aziendale.
La doglianza non rientra nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimi investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla co del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazion siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logic giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso di specie, dalle cade motivazionali della sentenza d’appello è enucleabile una ricostruzione dei fatti preci circostanziata, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive essendo pervenuti alle loro conclusioni, in punto di responsabilità, attraverso una disam completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile, sotto il prof della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in ter contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede, come si de dalle considerazioni formulate dal giudice a quo, laddove ha constatato l’installazione Oregolare ‘funzionamento, all’interno dei locali aziendali, di un impianto di . videosorveglianza composto da quattro telecamere che riprendevano la sala parrucchiera e i corridoi di accesso all’interno del locale, nonchè un dispositivo posizionato nell’ufficio retrostante «gli a lavorativi, e che l’impianto è stato predisposto in assenza dell’accordo sindacale o di preven autorizzazione della sede dell’ispettorato territoriale competente. Il giudice ha evidenziat il funzionamento del sistema di videosorveglianza e affermato che non vi è neppure prova che il sistema di videosorveglianza fosse funzionale alla tutela del patrimonio aziendale e che si verificato un controllo solo occasionale dell’attività lavorativa dei dipendenti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processual e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 aprile 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente