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Videosorveglianza sul lavoro senza accordo: è reato?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un titolare di un salone di parrucchiere condannato per l’installazione di un sistema di videosorveglianza sul lavoro senza il preventivo accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro. La difesa, basata sulla finalità di tutela del patrimonio aziendale, non è stata sufficiente a superare la violazione della procedura prevista dallo Statuto dei Lavoratori. La Corte ha ribadito che la valutazione dei fatti spetta ai giudici di merito e non può essere messa in discussione in sede di legittimità se la motivazione è logica e completa.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Videosorveglianza sul Lavoro: Reato se Manca l’Accordo Sindacale

L’installazione di sistemi di videosorveglianza sul lavoro è una questione delicata, che bilancia le esigenze di sicurezza e tutela del patrimonio aziendale con il diritto alla privacy dei lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 27844/2024) ha ribadito la linea dura nei confronti di chi installa telecamere senza rispettare le procedure di legge, confermando la condanna penale per un datore di lavoro.

I Fatti del Caso

Il titolare di un’attività di parrucchiere è stato condannato dal Tribunale di Teramo per la contravvenzione prevista dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. L’accusa era di aver installato, nei locali dell’attività, un impianto audiovisivo composto da quattro telecamere e un dispositivo nell’ufficio retrostante, idoneo a consentire il controllo a distanza dell’attività dei dipendenti. L’installazione era avvenuta senza aver prima raggiunto un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, senza aver ottenuto l’autorizzazione preventiva da parte della sede territoriale dell’Ispettorato del Lavoro.

Il Motivo del Ricorso e la Difesa dell’Imprenditore

L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito non avessero adeguatamente verificato due aspetti cruciali: l’effettivo funzionamento delle telecamere e, soprattutto, la loro finalità. Secondo la difesa, le videocamere erano state collocate esclusivamente per preservare il patrimonio aziendale da furti o danneggiamenti, e non per spiare i lavoratori.

La Decisione sulla Videosorveglianza sul Lavoro

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno chiarito che le argomentazioni della difesa riguardavano la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti. Questo tipo di analisi è di competenza esclusiva del giudice di merito (primo e secondo grado) e non può essere oggetto di una nuova valutazione in sede di legittimità, a meno che la motivazione della sentenza impugnata non sia palesemente illogica o contraddittoria.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la decisione del Tribunale fosse ben motivata, logica ed esauriente.

Le Motivazioni

I giudici di secondo grado avevano compiuto una disamina completa e approfondita delle risultanze processuali. Era stato accertato senza ombra di dubbio che l’impianto di videosorveglianza sul lavoro era stato installato e funzionava regolarmente, riprendendo la sala principale e i corridoi di accesso. Cruciale, ai fini della decisione, è stata la constatazione che l’impianto era stato predisposto in totale assenza della procedura di garanzia prevista dalla legge: l’accordo sindacale o l’autorizzazione amministrativa. Inoltre, il giudice ha evidenziato come non fosse emersa alcuna prova che il sistema fosse realmente funzionale solo alla tutela del patrimonio aziendale, né che il controllo sull’attività lavorativa fosse meramente occasionale.

Le Conclusioni

L’ordinanza riafferma un principio fondamentale: l’installazione di impianti di videosorveglianza che possono controllare a distanza l’attività dei lavoratori è illecita se non vengono seguite le procedure stabilite dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. La semplice giustificazione di voler proteggere i beni aziendali non è sufficiente a sanare la violazione della norma. Per essere legittimo, il controllo deve essere autorizzato preventivamente nelle forme previste, garantendo così un corretto bilanciamento tra gli interessi del datore di lavoro e i diritti fondamentali dei dipendenti. La mancata osservanza di queste regole configura una contravvenzione penalmente rilevante.

Quando è legale installare un sistema di videosorveglianza sul lavoro?
Secondo la sentenza, è legale solo se esiste un preventivo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in loro assenza, una specifica autorizzazione rilasciata dall’Ispettorato territoriale del lavoro, come previsto dall’art. 4 della L. 300/1970.

Basta affermare che le telecamere servono a proteggere il patrimonio aziendale per renderle lecite?
No. La sentenza chiarisce che la finalità di tutela del patrimonio aziendale non è sufficiente a giustificare l’installazione se non vengono seguite le procedure di accordo sindacale o autorizzazione amministrativa. Nel caso specifico, non era stata fornita neppure la prova di tale esclusiva finalità.

La Corte di Cassazione può riesaminare se le telecamere funzionavano o meno?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la valutazione dei fatti e delle prove, come l’effettivo funzionamento di un impianto, spetta ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il suo ruolo è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non condurre una nuova istruttoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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