LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Uso personale stupefacenti: quantità e spaccio

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un uomo condannato per detenzione ai fini di spaccio. Nonostante l’assenza di attrezzatura per il confezionamento, la notevole quantità di hashish (173g, 2.232 dosi) e l’elevato principio attivo sono stati ritenuti elementi sufficienti a escludere l’ipotesi di uso personale stupefacenti, confermando la decisione dei giudici di merito.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Uso Personale Stupefacenti: Quando la Quantità Diventa Prova di Spaccio

La distinzione tra detenzione per uso personale stupefacenti e detenzione ai fini di spaccio è una delle questioni più delicate e frequenti nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito quali sono gli indici che un giudice può utilizzare per determinare la finalità della detenzione, sottolineando come l’ingente quantitativo possa, di per sé, essere un elemento decisivo. Analizziamo insieme questo caso per capire il ragionamento seguito dai giudici.

I Fatti: La Detenzione di un Ingente Quantitativo di Stupefacente

Il caso riguarda un individuo trovato in possesso di 173 grammi netti di hashish. La sostanza era suddivisa in due panetti, ciascuno con una specifica etichetta adesiva. Le analisi hanno rivelato un principio attivo particolarmente elevato (superiore al 32% per entrambi i campioni), dal quale si sarebbero potute ricavare ben 2.232 dosi medie.

L’imputato si è difeso sostenendo che la droga fosse destinata esclusivamente al proprio consumo, descrivendosi come un grande consumatore che era solito fumare la sera dopo il lavoro. A supporto della sua tesi, faceva notare come non fossero stati rinvenuti né materiale per il confezionamento delle dosi, né bilancini di precisione o ingenti somme di denaro, elementi tipicamente associati all’attività di spaccio.

Tuttavia, sia il tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno ritenuto questa versione non credibile, condannando l’uomo per il reato previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti).

La Decisione della Corte: La Presunzione di Spaccio e l’Uso Personale Stupefacenti

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna. I giudici supremi hanno chiarito che le argomentazioni del ricorrente non riguardavano vizi di legittimità della sentenza (cioè errori di diritto), ma miravano a una nuova valutazione dei fatti, attività che è riservata esclusivamente ai giudici di merito (primo e secondo grado) e non può essere svolta in sede di Cassazione.

Il punto centrale della decisione è che la motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta logica, completa e coerente. I giudici di merito avevano correttamente inferito la finalità di spaccio da una serie di elementi oggettivi, la cui valutazione complessiva escludeva la tesi dell’uso personale stupefacenti.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha evidenziato come la decisione impugnata si basasse su una motivazione solida e priva di vizi logici. La Corte d’Appello aveva infatti valorizzato i seguenti elementi:

1. Il dato quantitativo: 173 grammi di hashish sono una quantità incompatibile con un consumo personale, anche per un assiduo consumatore, da effettuarsi in un arco di tempo ristretto.
2. Il numero di dosi: La possibilità di ricavare oltre 2.200 dosi medie è un indicatore fortissimo della destinazione della sostanza al mercato illegale.
3. L’elevato principio attivo: L’alta concentrazione di principio attivo è un altro fattore che, unito agli altri, depone a favore dell’ipotesi dello spaccio.
4. La deperibilità della sostanza: I giudici hanno considerato che l’hashish tende a perdere le sue proprietà con il tempo, rendendo illogico per un consumatore farne una scorta così ingente per uso futuro.

La Corte ha inoltre precisato che l’assenza di bilancini, denaro o materiale per il confezionamento è stata correttamente ritenuta una circostanza “neutra”, non in grado da sola di smentire il quadro accusatorio delineato dagli altri, più pesanti, indizi.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza: nella valutazione della destinazione di una sostanza stupefacente, il giudice deve considerare un insieme di indici. Sebbene la legge non fissi soglie quantitative precise al di sopra delle quali scatta automaticamente la presunzione di spaccio (dopo il referendum del 1993), il dato quantitativo rimane un elemento di primaria importanza. Quando la quantità è così ingente da risultare palesemente sproporzionata rispetto a un consumo personale ragionevole, può diventare l’elemento principale su cui si fonda la condanna per spaccio, anche in assenza dei classici “ferri del mestiere” dello spacciatore.

Una grande quantità di droga è sufficiente per escludere l’uso personale?
Sì, secondo questa ordinanza, una quantità oggettivamente ingente (in questo caso 173 grammi di hashish, da cui si potevano ricavare 2.232 dosi) è stata considerata incompatibile con un uso esclusivamente personale, soprattutto in ragione della rapida deperibilità della sostanza.

L’assenza di bilancini o materiale per il confezionamento prova che la droga era per uso personale?
No. La Corte ha stabilito che il mancato rinvenimento di materiale per il confezionamento, strumenti per la pesatura o denaro è un elemento neutro, che non è sufficiente a dimostrare l’uso personale di fronte a prove di segno contrario, come l’enorme quantitativo di stupefacente detenuto.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione dei fatti fatta da un giudice di grado inferiore?
No. Il ricorso in Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Corte non può riesaminare le prove o ricostruire i fatti, ma solo verificare che la decisione del giudice precedente sia stata presa nel rispetto della legge e con una motivazione logica e coerente. Le censure che investono la valutazione delle prove sono inammissibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati