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Uso personale di stupefacenti: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8497/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di due individui condannati per detenzione di stupefacenti. La Corte ha ribadito un principio fondamentale in materia di uso personale di stupefacenti: il superamento dei limiti quantitativi previsti dalla legge non è sufficiente a provare la destinazione allo spaccio. Spetta sempre all’accusa dimostrare tale finalità, mentre il giudice deve valutare tutti gli elementi del caso, come le modalità di presentazione della sostanza e le altre circostanze dell’azione, per escludere l’uso esclusivamente personale.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Uso Personale di Stupefacenti: Quando la Quantità Non Basta a Provare lo Spaccio

La distinzione tra detenzione per uso personale di stupefacenti e detenzione ai fini di spaccio rappresenta uno dei nodi cruciali del diritto penale in materia di droghe. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 8497/2024) torna sul tema, chiarendo i criteri che il giudice deve seguire per accertare la reale finalità del possesso. La decisione sottolinea che il solo superamento dei limiti quantitativi tabellari non è sufficiente a fondare una condanna per spaccio, ribadendo la centralità di una valutazione complessiva di tutti gli indizi.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla condanna di due fratelli da parte del Tribunale di Bari per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, commesso nel febbraio 2018. La Corte di Appello di Bari, nel 2022, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, riconoscendo a uno degli imputati le circostanze attenuanti generiche ma confermando nel resto la condanna.

Contro questa decisione, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Il punto centrale della loro difesa era la contestazione della destinazione allo spaccio della sostanza sequestrata, sostenendo che fosse invece per uso personale di stupefacenti.

La Decisione della Cassazione e l’Uso Personale di Stupefacenti

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili. La motivazione di tale decisione non risiede in un’analisi del merito della questione, bensì in un vizio procedurale: il motivo del ricorso era, di fatto, una semplice riproposizione di una censura già adeguatamente esaminata e respinta dalla Corte di Appello.

Tuttavia, nel motivare l’inammissibilità, la Cassazione ha colto l’occasione per ribadire principi consolidati e di fondamentale importanza pratica in materia.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha riaffermato che la destinazione all’uso personale di una sostanza stupefacente non è una causa di non punibilità che l’imputato deve provare. Al contrario, l’onere di dimostrare la finalità di spaccio grava interamente sulla pubblica accusa. Questo principio è cruciale per garantire il diritto di difesa dell’imputato.

Un punto chiave della decisione riguarda il valore da attribuire al superamento dei limiti quantitativi fissati dalla legge (art. 73, comma 1-bis, d.P.R. 309/1990). La Cassazione ha chiarito che il mero dato quantitativo, pur essendo un indizio rilevante, non è di per sé sufficiente a invertire l’onere della prova né a creare una presunzione, neppure relativa, di destinazione allo spaccio.

Il giudice, pertanto, non può fermarsi alla constatazione del superamento della soglia. Ha il dovere di effettuare una valutazione globale, basata su tutti i parametri indicati dalla normativa. Tra questi, assumono particolare rilievo le modalità di presentazione della sostanza (ad esempio, se è già divisa in dosi), le circostanze dell’azione e ogni altro elemento che possa far luce sulla reale intenzione del detentore. Solo un’analisi complessiva può portare a escludere o confermare una finalità diversa dall’uso personale di stupefacenti.

Nel caso specifico, la Corte ha dato atto che i giudici di merito (sia il Tribunale che la Corte d’Appello) avevano seguito un percorso argomentativo logico e coerente, basandosi sulle risultanze processuali per concludere che una parte della sostanza fosse effettivamente destinata alla vendita.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione, pur dichiarando un ricorso inammissibile, offre un’importante lezione pratica. Conferma che una condanna per spaccio non può basarsi unicamente sulla quantità di sostanza sequestrata. È necessaria una prova rigorosa da parte dell’accusa, supportata da una valutazione complessiva e attenta del giudice su tutti gli elementi disponibili. Questa pronuncia tutela l’imputato da facili automatismi e riafferma la necessità di un accertamento caso per caso, fondato su un quadro probatorio completo e non su singole presunzioni.

Il superamento dei limiti quantitativi di droga dimostra automaticamente lo spaccio?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che il mero dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari non vale ad invertire l’onere della prova a carico dell’imputato o a introdurre una presunzione di destinazione allo spaccio.

Su chi grava l’onere di provare che la droga è destinata allo spaccio e non all’uso personale di stupefacenti?
L’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio grava sulla pubblica accusa. Non spetta all’imputato provare che la sostanza fosse per uso personale.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché riproponeva un profilo di censura già adeguatamente esaminato e respinto dalla Corte di merito, senza introdurre nuovi elementi di diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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