Uso Personale di Stupefacenti: Quando la Quantità Non Basta a Provare lo Spaccio
La distinzione tra detenzione per uso personale di stupefacenti e detenzione ai fini di spaccio rappresenta uno dei nodi cruciali del diritto penale in materia di droghe. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 8497/2024) torna sul tema, chiarendo i criteri che il giudice deve seguire per accertare la reale finalità del possesso. La decisione sottolinea che il solo superamento dei limiti quantitativi tabellari non è sufficiente a fondare una condanna per spaccio, ribadendo la centralità di una valutazione complessiva di tutti gli indizi.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine dalla condanna di due fratelli da parte del Tribunale di Bari per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, commesso nel febbraio 2018. La Corte di Appello di Bari, nel 2022, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, riconoscendo a uno degli imputati le circostanze attenuanti generiche ma confermando nel resto la condanna.
Contro questa decisione, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Il punto centrale della loro difesa era la contestazione della destinazione allo spaccio della sostanza sequestrata, sostenendo che fosse invece per uso personale di stupefacenti.
La Decisione della Cassazione e l’Uso Personale di Stupefacenti
La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili. La motivazione di tale decisione non risiede in un’analisi del merito della questione, bensì in un vizio procedurale: il motivo del ricorso era, di fatto, una semplice riproposizione di una censura già adeguatamente esaminata e respinta dalla Corte di Appello.
Tuttavia, nel motivare l’inammissibilità, la Cassazione ha colto l’occasione per ribadire principi consolidati e di fondamentale importanza pratica in materia.
Le Motivazioni della Corte
La Corte ha riaffermato che la destinazione all’uso personale di una sostanza stupefacente non è una causa di non punibilità che l’imputato deve provare. Al contrario, l’onere di dimostrare la finalità di spaccio grava interamente sulla pubblica accusa. Questo principio è cruciale per garantire il diritto di difesa dell’imputato.
Un punto chiave della decisione riguarda il valore da attribuire al superamento dei limiti quantitativi fissati dalla legge (art. 73, comma 1-bis, d.P.R. 309/1990). La Cassazione ha chiarito che il mero dato quantitativo, pur essendo un indizio rilevante, non è di per sé sufficiente a invertire l’onere della prova né a creare una presunzione, neppure relativa, di destinazione allo spaccio.
Il giudice, pertanto, non può fermarsi alla constatazione del superamento della soglia. Ha il dovere di effettuare una valutazione globale, basata su tutti i parametri indicati dalla normativa. Tra questi, assumono particolare rilievo le modalità di presentazione della sostanza (ad esempio, se è già divisa in dosi), le circostanze dell’azione e ogni altro elemento che possa far luce sulla reale intenzione del detentore. Solo un’analisi complessiva può portare a escludere o confermare una finalità diversa dall’uso personale di stupefacenti.
Nel caso specifico, la Corte ha dato atto che i giudici di merito (sia il Tribunale che la Corte d’Appello) avevano seguito un percorso argomentativo logico e coerente, basandosi sulle risultanze processuali per concludere che una parte della sostanza fosse effettivamente destinata alla vendita.
Conclusioni
L’ordinanza della Cassazione, pur dichiarando un ricorso inammissibile, offre un’importante lezione pratica. Conferma che una condanna per spaccio non può basarsi unicamente sulla quantità di sostanza sequestrata. È necessaria una prova rigorosa da parte dell’accusa, supportata da una valutazione complessiva e attenta del giudice su tutti gli elementi disponibili. Questa pronuncia tutela l’imputato da facili automatismi e riafferma la necessità di un accertamento caso per caso, fondato su un quadro probatorio completo e non su singole presunzioni.
Il superamento dei limiti quantitativi di droga dimostra automaticamente lo spaccio?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che il mero dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari non vale ad invertire l’onere della prova a carico dell’imputato o a introdurre una presunzione di destinazione allo spaccio.
Su chi grava l’onere di provare che la droga è destinata allo spaccio e non all’uso personale di stupefacenti?
L’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio grava sulla pubblica accusa. Non spetta all’imputato provare che la sostanza fosse per uso personale.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché riproponeva un profilo di censura già adeguatamente esaminato e respinto dalla Corte di merito, senza introdurre nuovi elementi di diritto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8497 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8497 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/02/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a MOLA DI BARI il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a MOLA DI BARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/11/2022 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
()
MOTIVI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari del 10.11.2022, che in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bari, ha riconosciuto a NOME COGNOME. le circostanze attenuanti generiche e confermato nel resto la sentenza di condanna in ordine al reato di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, commesso in Mola di Bari il 24 febbraio 2018
Rilevato che il motivo, con cui hanno dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta destinazione allo spaccio della sostanza sequestrata, è inammissibile, in quanto riproduttivo di profilo di censura già adeguatamente vagliato e disatteso dalla Corte di merito. La destinazione all uso personale della sostanza stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità e grava perciò sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio (ex plurimis Sez. 6 n. 26738 del 18/09/2020, Canduci, Rv. 279614). Peraltro è orientamento consolidato quello per cui in materia di stupefacenti, il mero dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari previsti dall’art. 73, comma primo-bis, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, non vale ad invertire l’onere della prova a carico dell’imputato, ovvero ad introdurre una sorta di presunzione, sia pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale, dovendo il giudice globalmente valutare, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella predetta disposizione normativa, se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione (Sez. 6, n. 12146 del 12/02/2009, Delugau, Rv. 242923). Nella sentenza impugnata, in continuità con quella di primo grado, con percorso argomentativo logico e coerente si è dato atto che le risultanze in atti portavano a ritenere che parte della sostanza fosse destinata allo spaccio (Pag 6).
Ritenuto, pertanto, che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spes processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE dell ammende.
Il Consigliere COGNOME tensore COGNOME Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2024
Il Presi ‘nte