Uso indebito di carta di credito: Si configura il reato anche senza conoscere il PIN?
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande attualità e rilevanza pratica: il reato di uso indebito di carta di credito. La Suprema Corte ha confermato un principio fondamentale: il delitto si perfeziona con il semplice tentativo di utilizzo della carta a fini di profitto, anche se chi agisce non conosce il codice PIN e la transazione fallisce. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale volto a tutelare in modo ampio la sicurezza delle transazioni elettroniche.
I Fatti alla base della Decisione
Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione trae origine dal ricorso presentato da un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello. L’imputato era stato condannato per diversi reati, tra cui furto aggravato e indebito utilizzo di una carta bancomat sottratta. I motivi del ricorso si concentravano su due aspetti principali:
1. La contestazione della sussistenza dell’aggravante del furto di beni esposti alla pubblica fede, con riferimento a oggetti sottratti da un veicolo aziendale e da uno zaino lasciato in uno spogliatoio all’interno di uno stadio.
2. L’affermazione che il reato di indebito utilizzo della carta non potesse configurarsi, o al più dovesse essere considerato un tentativo, poiché l’imputato non era a conoscenza del codice PIN associato, rendendo l’azione intrinsecamente inidonea a produrre un risultato.
L’Uso indebito di carta di credito e l’Irrilevanza del PIN
Il punto centrale della pronuncia riguarda la configurabilità del delitto di cui all’art. 493-ter del codice penale. La difesa sosteneva che, senza il PIN, l’utilizzo della carta presso uno sportello bancomat fosse un’azione impossibile e che, quindi, il reato non potesse sussistere.
La Cassazione ha respinto categoricamente questa tesi, definendola manifestamente infondata. I giudici hanno chiarito che la norma incriminatrice non richiede, per la sua integrazione, né il conseguimento effettivo di un profitto né il verificarsi di un danno per il titolare. Il reato si perfeziona con la sola “indebita utilizzazione” della carta a fini di profitto. L’azione di inserire la carta rubata nello sportello automatico, anche senza digitare il PIN, costituisce di per sé un’utilizzazione finalizzata a un profitto ingiusto, sufficiente a integrare la fattispecie.
L’aggravante per i Beni Esposti alla Pubblica Fede
Anche il primo motivo di ricorso è stato ritenuto infondato. La Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato secondo cui i beni lasciati all’interno di un’autovettura parcheggiata sulla pubblica via, o in aree ad essa assimilabili come il parcheggio di uno stadio, sono da considerarsi esposti “per necessità e consuetudine” alla pubblica fede. Pertanto, il furto di tali oggetti integra correttamente la circostanza aggravante prevista dall’art. 625, n. 7, del codice penale, che prevede un aumento di pena.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte ha motivato la sua decisione richiamando importanti precedenti giurisprudenziali. Per quanto riguarda l’uso indebito di carta di credito, si è sottolineato che la norma mira a tutelare un bene giuridico di ampia portata: la sicurezza e l’affidabilità del sistema dei pagamenti elettronici. Punire la sola utilizzazione, a prescindere dall’esito, serve a prevenire qualsiasi tentativo di manomissione di tale sistema. Di conseguenza, l’impossibilità di prelevare denaro per la mancata conoscenza del PIN non rende l’azione penalmente irrilevante, ma rappresenta semplicemente il fallimento del piano criminoso, che però si è già pienamente realizzato sul piano giuridico.
Sul fronte del furto aggravato, la motivazione risiede nella considerazione che chi lascia i propri beni in un’auto parcheggiata compie un atto di affidamento nella correttezza della collettività. La violazione di questa fiducia giustifica una risposta sanzionatoria più severa rispetto a un furto semplice.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, rafforza la tutela penale contro le frodi con carte di pagamento, stabilendo che qualsiasi tentativo di utilizzo non autorizzato è punibile come reato consumato. Questo principio ha implicazioni significative per la sicurezza delle transazioni e funge da deterrente. In secondo luogo, ricorda ai cittadini che i beni lasciati in auto, anche in luoghi apparentemente sicuri come il parcheggio di uno stadio, godono di una specifica protezione giuridica, ma rimangono vulnerabili. La decisione della Cassazione, dichiarando il ricorso inammissibile e condannando il ricorrente al pagamento delle spese, chiude definitivamente la questione, confermando la correttezza delle valutazioni dei giudici di merito.
Per commettere il reato di uso indebito di carta di credito è necessario conoscere il PIN?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il reato si perfeziona con la semplice utilizzazione della carta a fini di profitto, come l’inserimento in uno sportello ATM, indipendentemente dalla conoscenza del PIN o dal successo dell’operazione.
I beni lasciati in un’auto parcheggiata in un’area pubblica sono considerati esposti alla pubblica fede?
Sì. Secondo la giurisprudenza costante della Cassazione, gli oggetti lasciati, anche temporaneamente, in un’autovettura parcheggiata sulla pubblica via o in aree ad essa accessibili (come un parcheggio di uno stadio) si considerano esposti per necessità o consuetudine alla pubblica fede, integrando l’aggravante in caso di furto.
Il reato di uso indebito di carta di credito richiede che si verifichi un danno economico per la vittima?
No. La norma non richiede né il conseguimento effettivo di un profitto per chi agisce, né il verificarsi di un danno per il titolare della carta. Il delitto è integrato dalla sola condotta di indebita utilizzazione finalizzata al profitto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 169 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 169 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FERRARA il 16/08/1971
avverso la sentenza del 19/03/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
letta altresì la memoria depositata dalla difesa con la quale si è insistito anche con nuovi argomenti in entrambi i motivi di ricorso;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, poi riproposto in memoria, che deduce il vizio di violazione di legge in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 625 comma primo n. 7 cod. pen. relativamente ai reati di cui ai capi i), n), o), è privo di specificità, oltre che reiterativo, poiché non si confronta con quanto correttamente affermato dal giudice di appello alle pagg. 8-9 della sentenza impugnata dove si ritiene che la circostanza della presenza del portafogli nello zaino lasciato nella saletta dello stadio cittadino – capo i) e degli oggetti all’interno del furgone aziendale parcheggiato all’interno dello stadio di calcio -capi n) ed o) ben può integrare l’attenuante di cui all’art. 625 comma primo n. 7 cod. pen.;
osservato infatti che «ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7 cod. pen., devono intendersi esposte “per necessità e consuetudine” alla pubblica fede anche le cose che la vittima abbia temporaneamente lasciato in un’autovettura parcheggiata sulla pubblica via, ancorché non costituenti la normale dotazione del veicolo (Sez. 5, n. 47791 del 27/10/2022, COGNOME, Rv. 283903 – 01);
considerato che il secondo motivo di ricorso, riproposto cpn la memoria depositata, che lamenta l’erronea applicazione della legge penale, affermando l’insussistenza del reato di cui all’art. 493-ter cod. pen. poiché, per l’inidoneità dell’azione, avrebbe dovuto trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 49 cod. pen. o, in subordine, la fattispecie nella sua forma tentata, è manifestamente infondato atteso che la mancata conoscenza del codice PIN associato alla carta bancomat, come correttamente affermato dal giudice di appello a pag. 10, non assume rilevanza ai fini della configurazione del reato di cui al capo b);
che «l’indebita utilizzazione, a fini di profitto, di una carta di credito da part di chi non ne sia titolare, integra il delitto di cui all’art. 55, comma 9, d.lgs. novembre 2007, n. 231 (ora art. 493 -ter cod. pen.), indipendentemente dall’effettivo conseguimento di un profitto o dal verificarsi di un danno, non essendo richiesto dalla norma che la transazione giunga a buon fine (Fattispecie nella quale l’imputato aveva introdotto la carta di credito di provenienza illecita nello sportello bancomat, senza digitare il PIN di cui non era a conoscenza)» (Sez. 5, n. 5692 del 11/12/2018, dep. 2019, S., Rv. 275109 – 01; Sez. 5, n. 17923 del 12/01/2018, NOME, Rv. 273033 – 01);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2024.