Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 18175 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 18175 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a NAPOLI il 06/03/1975 NOME nato a NAPOLI il 21/03/1976
avverso l’ordinanza del 25/09/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME e COGNOME NOME, nella qualità di eredi della madre NOME, nonché quali legittimi richiedenti la concessione edilizia in sanatoria n. 119 del 1996 e n.306 del 1997 (in quanto proprietari e possessori rispettivamente delle porzioni immobiliari loro pervenute, prima in virtù di scrittura privata e, successivamente, quali proprietari consolidatisi jure hereditatis in quanto unici eredi della defunta genitrice NOME, in virtù dell’atto pubblico di divisione del 13.07.2015 per Notaio NOME COGNOME che ha fedelmente confermato la scrittura preliminare dispositiva materna), con il presente atto propongono ricorso per cassazione avverso l’ordinanza n. 658/2024 SIGE emessa il 24/09/2024 e depositata il 10/10/2024 dalla Corte di appello di Napoli quale giudice dell’esecuzione.
‘2. La Corte di appello ha rigettato l’istanza (così definita a pag. 7 dell’ordinanza impugnata), sulla base della sentenza rescindente della Suprema Corte dell’11/01/2024 in riforma dell’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 18/04/2023 impugnata dal Procuratore generale presso la medesima Corte nei confronti dei germani COGNOME (l’istanza era stata promossa dalla Procura generale e non dagli odierni ricorrenti). Il provvedimento impugnato conseguente, secondo i ricorrenti, avrebbe dovuto fare legittimo riferimento all’accoglimento o al rigetto dell’istanza del Procuratore generale ma si limita a riferire laconicamente che “le deduzioni difensive siano infondate e che, pertanto, debba essere rigettata l’istanza di revoca e/o annullamento dell’ordine di demolizione riguardante il fabbricato in oggetto” (pag. 5).
In proposito i ricorrenti, con tre motivi, lamentano l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e delle norme processuali e sostanziali, in particolare dell’art. 39 della legge n. 724/1994 e dell’art 31 legge n. 47/85, in relazione agli artt. 1 e 2 del codice penale, nonché dell’art 12 R.D. n. 262/1942, e anche in relazione agli artt. 2, 24, 25 e 42 Cost.. E, infine, lamentano la mancata assunzione di una prova decisiva a discarico su fatti costituenti oggetto delle prove a carico e la mancanza della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Con un primo motivo, in particolare, si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. B), cod.proc.pen., per inosservanza o erronea applicazione della legge penale e delle norme processuali e sostanziali, nonché dell’art. 39 della legge n..724 del 1994 e dell’art 31 legge n. 47/85, in relazione agli artt. 1 e 2 cod.pen.
e art 12 R.D. n. 262 del 1942, in quanto la Corte di appello di Napoli, afferma che “dalla documentazione in atti e, precisamente, dalle stesse concessioni edilizie in sanatoria emesse dal Comune di Quarto a favore di COGNOME NOME (n. 119/96) e COGNOME NOME (n. 306/97) allegate dalla difesa alla memoria depositata alla Corte di appello in data 8/11/16 emerge che entrambe le unità immobiliari si trovavano allo stato grezzo e nella prima veniva specificato che <>. Tanto basta per ritenere che l’opera alla data del 31/12/93 non fosse ultimata. Come emerge dalla richiesta di concessione edilizia in sanatoria presentata da COGNOME NOME al Comune di Quarto il 27/7/98 ed, in particolare, dalle .fotografie dell’immobile alla stessa allegale e riportanti la data del 6/2/95 si evince chiaramente che l’immobile in questione era composto da pilastri e solai e da un torrino scale solo in parte chiuso ma che, in ogni caso, risultava privo di tompagnature esterne che ne delimitassero la volumetria. Alla luce di tali dati si ritiene del tutto infondata la tesi difensiva esposta nella memoria depositata dalla difesa dinanzi a questa Corte con la quale si cerca anche attraverso la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale di dimostrare che il fabbricato in oggetto potesse ritenersi ultimato alla data del 31/12/93. In materia edilizia, la esecuzione di un immobile a “rustico ” si intende riferita all’avvenuto completamento di tutte le strutture essenziali, tra le quali vanno ricom prese le tamponature esterne, visto che queste determinano l’isolamento dell’immobile dalle intemperie e configurano l’opera nella sua fondamentale volumetria. La mancata ultimazione delle opere al di là della verifica dell’effettiva autonomia funzionale delle porzioni immobiliari (oggetto delle distinte istanze di condono presentale) non consentiva, dunque, di individuare singole porzioni immobiliari e, quindi il possesso di ciascuna di essa da parte dei due fratelli COGNOME che, pertanto, non potevano ritenersi legittimali alla presentazione di autonome domande di condono in relazione ad un immobile che, ai sensi dell’art. 39, primo comma, della L. n. 724 del 1994, risultava, comunque, non condonabile perché non ultimato alla data del 31 dicembre 1993″.
Tale definizione di “ultimazione dei lavori”, a parere della difesa, così come formulata dalla corte territoriale, è in aperta violazione anzitutto del dictum del legislatore, ovvero del combinato disposto degli articoli 39 L. 724/1994 e 31 L. 47/1985, nonché di imprescindibili principi che governano il nostro ordinamento penale quali quello del tempus regit actum e della interpretazione della legge.
Vero è che -ai sensi dell’art. 39 co. 1 1. 23 dicembre 1994 n. 724- quella che dalla stessa legge viene definita concessione edilizia in sanatoria era prevista per le opere abusive che risultavano “ultimate entro il 31 dicembre 1993”, ma la Corte di . appello di Napoli è incorsa in una violazione di legge nel momento in cui ha ritenuto che il concetto di ultimazione dei lavori potesse essere affidato alla propria interpretazione (peraltro restrittiva) a discapito di quanto invece esplicitamente
dettato dal legislatore, il quale ha voluto fornire una definizione ben precisa con l’art. 31 1. 28 febbraio 1985 n. 47 che così recitava: “ai fini delle disposizioni di cui al comma precedente, si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, esse siano state completate funzionalmente”.
Il concetto dunque di “ultimazione dei lavori” è fornito direttamente dalla legge del 1985 alla quale il legislatore del 1994 esplicitamente rimanda.
All’atto in cui i germani COGNOME richiedevano e ottenevano il titolo abilitativo si riteneva “ultimata” l’opera abusiva che presentava in modo inequivoco gli elementi strutturali tipici e caratterizzanti la tipologia cui la stessa apparteneva, ovvero i pilastri, solai e coperture non di certo, come erroneamente afferma la corte territoriale, con le cd. “tompagnature esterne” da cui (sempre secondo la interpretazione della corte) si evincerebbe una delimitazione delle volumetrie.
In particolare, l’art. 31 della predetta legge n. 47 del 1985, nello specificare il concetto di “ultimazione” dell’opera ai fini della sanatoria di un abuso, nella prima parte si riferisce a interventi realizzati ex novo (proprio come quella in oggetto). In ogni caso, secondo i ricorrenti, l’opera abusiva, per potersi definire ultimata, deve presentare in modo inequivoco gli elementi strutturali tipici e caratterizzanti la tipologia cui la stessa appartiene. Nel caso specifico si ritiene che il manufatto in esame costituisca opera in sopraelevazione caratterizzata da pavimentazioni, solai e coperture, destinato a residenza degli odierni ricorrenti e che si connota già dai rilievi fotografici esibiti per la concessione del condono, come uno spazio ben definito, strutturalmente limitato in maniera definitiva e non precaria, sia con riferimento alla sua base che alle pareti circostanti e che trova esatta corrispondenza tra la realizzazione finale e il rustico rappresentato al momento della richiesta di rilascio del titolo abilitativo.
.6. Il provvedimento impugnato, ritengono i ricorrenti, non ha tenuto in alcuna considerazione che, nonostante il manufatto al momento della presentazione delle due distinte istanze di condono in sanatoria non fosse completo delle tamponature esterne, la reale e concreta fisionomia dello stesso – così come anche la sua destinazione – erano entrambe esattamente ben delineate e tali da consentire il riscontro ictu °cui/ dell’effettiva consistenza e conformazione strutturale.
E invero, la difesa evidenzia che alla data del 31.12.1993 la nuova costruzione presentava lo scavo del terreno, i pilastri a sostegno della struttura, la pavimentazione a chiusura di ogni piano e il soffitto integolato a chiusura dell’ultimo piano, ovvero la struttura utile e sufficiente a connotarne l’esistenza in termini di specifica tipologia edilizia; circostanza quest’ultima provata e confermata dalla sovrapposizione dei rilievi fotografici del fabbricato ultimato ed allegati alla Relazione Tecnica del geom. Russo del 21.10.2016 con quelli esibiti dagli interessati per ottenere il titolo abilitativo, e che appunto conferma
ulteriormente il rispetto della consistenza e della volumetria richieste al momento della presentazione delle richieste di condono, risultando le raffigurazioni del manufatto, quelle delle foto allegate all’istanza di condono, con quelle allegate alla detta Relazione Tecnica geom. COGNOME, perfettamente identiche. L’accertamento compiuto dalla corte territoriale partenopea si è limitato a fornire una interpretazione -non richiesta e vietata- di un chiaro dettato normativo che stabilisce ” si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura” (art. 31 1. 47/85), quindi incorrendo in una palese violazione di legge.
Con un secondo motivo di ricorso la difesa ritiene l’erronea applicazione della legge penale e delle norme processuali e sostanziali, in relazione agli artt. 2, 24., 25 e 42 Cost., in quanto con il provvedimento impugnato si vorrebbe surrettiziamente annullare due titoli abilitativi legittimamente concessi dalla P.A. e mai contestati, due diritti acquisiti 30 anni or sono senza un accertamento specifico e senza che gli stessi siano stati intaccati da accuse di specifiche violazioni e/o reati; tra l’altro, i suddetti diritti sono stati appunto acquisiti per il tramite d pagamento degli oneri concessori alla P.A., i costi per la edificazione dell’intero immobile e l’investimento economico e morale di due famiglie che ivi si sono stabilite, nonché il possesso e la proprietà legittimi e indisturbati protrattisi in un arco temporale molto più che vasto. I titoli in questione, conferiscono una stabilità giuridica che proviene direttamente dal nostro ordinamento. Se dunque venisse confermato il provvedimento impugnato, di fatto si consentirebbe la demolizione di due immobili che godono di titoli abilitativi regolarmente concessi dalla P.A. ex art. 39 1. 724/94.
.8. Con un terzo motivo di ricorso si lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva a discarico su fatti costituenti oggetto delle prove a carico, così come richiesta dalle parti interessate, in quanto la Corte di appello di Napoli ha disatteso l’obbligo di assunzione di prove decisive a discarico su fatti costituenti oggetto delle prove a carico, così come richieste dalla difesa dei germani COGNOME con la memoria difensiva del 16/09/2024 e che avrebbe anzitutto svolto un approfondimento richiesto dagli stessi giudici di legittimità, consentendo altresì un regolare contraddittorio su punti cruciali dell’annosa questione. In particolare, le suddette prove avrebbero assolto l’onere di dimostrare l’effettivo stato e la reale consistenza dell’opera all’epoca della presentazione delle due istanze di condono.
La Corte di Napoli ha, invece, ritenuto del tutto infondata la tesi difensiva esposta nella memoria depositata dalla difesa dinanzi a questa Corte con la quale si cerca anche attraverso la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale di dimostrare che il fabbricato in oggetto potesse ritenersi ultimato alla data del 31/12/93. Tale assunto non sarebbe condiviso dalla Corte di cassazione con
l’ultimo giudizio di rinvio, che richiedeva l’accertamento dell’effettivo stato di fatto nei quale si trovava l’immobile al momento della presentazione delle due istanze di condono in sanatoria da parte dei germani COGNOME
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La lunga vicenda processuale necessita di una ricostruzione storica che consenta di rappresentare una complessa situazione giuridica penalmente rilevante intersecatasi con una non lineare determinazione amministrativa.
I germani NOME e NOME COGNOME dal 4/01/1995, hanno ricevuto dalla madre NOME la disponibilità di fatto ed il possesso materiale degli immobili in questione in virtù del testamento olografo, con il quale la genitrice testualmente stabiliva: “La sottoscritta NOME COGNOME nata a Marano il 15.11.1939 e abitante in Quarto alla INDIRIZZO nel pieno delle proprie facoltà mentali per mettere fine ai continui litigi fra i miei figli NOME e NOME COGNOME sulla future proprietà delle case di mia proprietà sin d’ora stabilisco che dopo la mia morte e soltanto dopo di allora, si potranno tra di loro dividere i beni e ad NOME spetterà il piano terra, il secondo piano e la metà del terreno del fabbricato di INDIRIZZO in Quarto mentre ad NOME spetterà tutta la casa di INDIRIZZO e il primo piano e l’altra metà del terreno del fabbricato di INDIRIZZO in Quarto avendo comunque oggi donato le case al rustico, saranno loro stessi a provvedere a sistemarle come gli pare e piace le loro case. Quarto mercoledì 4 gennaio 1995. F.to COGNOME NOME“.
Tali cespiti sono ancora oggi posseduti jure hereditario dai germani COGNOME a seguito del decesso della madre i quali in data 31/01/1995 commissionavano, ognuno per quanto riguardava le rispettive porzioni immobiliari assegnate, l’esecuzione di tutti i lavori edili necessari per il completamento delle “case al rustico”, esercitando sul bene una signoria di fatto corrispondente al pieno ed incondizionato esercizio di proprietà, che li ha legittimati pienamente alla presentazione delle due autonome e diverse istanze di concessione edilizia in sanatoria poi rilasciate dal Sindaco del Comune di Quarto, rispettivamente il 23105/1996 (la n. 119) a favore di COGNOME NOME ed il 13/02/1997 (la n. 306) a favore di COGNOME NOMECOGNOME le quali sino ad oggi non sono state mai revocate.
Il Pretore di Pozzuoli con sentenza n. 998 del 07-21/11/1996, a carico dell’imputata NOME accertava la: “continuazione delle opere seq. il 16/10/92, consistenti nel p. terra, primo e secondo piano in c.a. con solaio di copertura impermeabilizzato ed integolato, alla cassa scale la realizzazione di un parapetto e la tamponatura del torrino, il tutto su una superfice di mq. 100 per
piano”. Con il primo provvedimento di revoca dell’ordine di demolizione n. 1 634/2016/S IGE/IV emesso il 10/01/2018 della Corte d’appello di Napoli in sede di esecuzione accertava la legittimità dei permessi abilitativi alla luce dei presupposti di legge, per cui disponeva la revoca dell’ordine di demolizione di cui alla citata sentenza del Pretore di Pozzuoli del 07/1/1996.
GLYPH Avverso tale pronuncia di revoca, la Procura generale di Napoli proponeva un primo ricorso per cassazione deciso con la sentenza n. 12915-19 della Terza Sezione penale della Corte di cassazione, che accoglieva il motivo di impugnazione, in quanto rilevava un triplice errore:
“I) si sono ritenuti legittimati i due figli della COGNOME (COGNOME NOME e COGNOME NOME), pur essendo costei ancora in vita alla data di presentazione e di rilascio delle concessioni in sanatoria; 2) dalle stesse concessioni in sanatoria risulta che alla data del 31/12/1993 il manufatto abusivo si trovava ancora allo stato grezzo, essendo privo dei tompagni; 3) dalle concessioni in sanatoria emerge che i due immobili non hanno autonomia catastale, essendo entrambi identificali con i dati catastali Foglio 16, particelle 537 e 538, ma privi di subalterno, mentre nella perizia giurata allegata all’ordine di demolizione sono indicati autonomi fogli catastali: Foglio 16 particella n. 1045 sub nn. 2, 4 e 5, ciò allo scopo di frazionare fraudolentemente l’immobile al fine di eludere il limite di cubatura e di superficie fissalo dalla I. 724/94 “.
6.La Corte di cassazione riteneva che ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono essere riferite a una unica concessione in sanatoria, che riguarda quest’ultimo nella sua totalità onde evitare l’elusione del limite legale di consistenza dell’opera. La Corte di cassazione riteneva che i giudici territoriali non avessero affrontato la questione avente carattere preliminare, ossia quella avente ad oggetto la legittimazione dei ricorrenti (COGNOME NOME e COGNOME NOME) a presentare la domanda di condono. Pertanto, annullava l’ordinanza di revoca dell’ordine di demolizione con rinvio alla Corte di appello di Napoli, che procedeva, quindi, ad un nuovo esame sulla legittimazione dei richiedenti germani COGNOME a presentare le due domande e con il secondo provvedimento di revoca dell’ordine di demolizione n.457/2019/SIGE/I emesso il 25/09/2019 e depositato il 01/10/2019 della Corte d’appello di Napoli quale Giudice dell’esecuzione, valutate le due questioni oggetto della sentenza di cui sopra di rinvio della cassazione, ritenendo sussistere sia i presupposti di legittimità, sia quelli relativi alla volumetria assentibile, accoglieva nuovamente la domanda di revoca dell’ordine di demolizione e in particolare affermava che, in merito alla legittimazione a richiedere il permesso di costruire in sanatoria da parte dei soggetti risultati non destinatari della condanna penale (i due figli della NOME,
COGNOME NOME e COGNOME NOME) e del conseguente ordine di demolizione, è stata proprio la Suprema Corte a precisare che in tema di condono edilizio, a mente del combinato disposto dell’art.38, comma 5, e dell’art. 6 della legge n. 47 del 1985, richiamati dall’art.39, comma 6, della legge n. 724 del 1994, legittimati alla presentazione dell’istanza di concessione in sanatoria sono il proprietario della costruzione abusiva, il titolare della concessione edilizia, il committente delle opere, il costruttore e il direttore dei lavori.
In merito, alla verifica dell’esistenza dei presupposti volumetrici per il rilascio delle sanatorie, si riteneva possibile presentare più istanze, per quanti sono i proprietari o i soggetti aventi titolo al momento della domanda, relative per ciascun richiedente alle porzioni di appartenenza anche se comprese in una unica costruzione unitaria; quest’ultima ipotesi è quella che ricorre nel caso in esame in quanto al momento della presentazione delle domande di condono in questione ciascuno di esse aveva ad oggetto una distinta porzione di immobile.
La corte territoriale, pertanto, decidendo a seguito di annullamento della Corte di cassazione dell’ordinanza della Corte di appello di Napoli del 10.01.2018, con la pronuncia n.457/2019/SIGE/I revocava, ancora una volta, l’ordine di demolizione delle opere edili disposto con la sentenza n. 998/96 emessa dal Tribunale di Napoli Sez. distaccata di Pozzuoli in data 07/11/1996 e riformata dalla Corte di appello di Napoli del 04/02/1998.
7.Avverso tale pronuncia la Procura Generale della Repubblica proponeva ancora altro ricorso per cassazione deducendo l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 666, 623, 627 cod.proc.pen., avendo omesso di individuare i presupposti di fatto e di diritto che avrebbero legittimato i germani COGNOME alla presentazione delle rispettive istanze di condono in sanatoria.
8.La Corte di cassazione con la sentenza n. 10017 del 3/3/2021 annullava la predetta ordinanza di revoca dell’ordine di demolizione con rinvio per un nuovo esame sulla “questione della legittimazione di NOME COGNOME ed NOME COGNOME alla presentazione delle due diverse ed autonome istanze di concessione in sanatoria, verificando se effettivamente gli stessi avessero avuto il possesso di specifiche porzioni dell’immobile o se, al contrario avessero avuto una mera disponibilità di fatto per tolleranza della madre ” (Or. pag. 4 Sent. n. 10017/21).
La Corte di merito, pertanto, procedeva ad un’ulteriore attenta verifica su tale aspetto giuridico relativo sempre alla legittimazione dei germani COGNOME e pronunciava il terzo provvedimento di revoca dell’ordine di demolizione n.406/2021/SIGE/I emesso il 18/04/2023 dalla Corte d’appello di Napoli quale giudice dell’esecuzione, accogliendo ancora una volta l’istanza di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
9.In tale giudizio rescissorio la Corte napoletana accertava che con la disposizione testamentaria del 04/01/1995 la madre NOME aveva realmente attribuito ai due figli NOME e NOME COGNOME il pieno ed incondizionato
possesso sulle rispettive porzioni degli immobili del fabbricato di INDIRIZZO in INDIRIZZO, per cui i due fratelli legittimamente avevano presentato in data 06/02/1995 le due distinte istanze di concessione in sanatoria, rispettivamente NOME per la porzione comprendente il piano terra ed il secondo piano del fabbricato, mentre NOME per quella comprendente il primo piano.
10.La Corte territoriale, in applicazione del dictum dei giudici di legittimità e anche del loro richiamo alla giurisprudenza civile, ha compiuto una attenta indagine istruttoria, che necessariamente ha interessato l’intero arco temporale ricompreso tra il 04/01/1995, data del testamento materno e contestuale conferimento del possesso materiale delle due porzioni di immobili ai due figli, e il 2012 anno in cui, a seguito del decesso della madre si apriva la successione per causa di morte e che ha consolidato il possesso dei fratelli COGNOME sui beni ereditati, per cui da tale ultimo periodo non può sussistere più alcun dubbio sulla effettiva titolarità dei beni che in tale misura (porzioni) già vennero attribuiti dalla madre ancora in vita ai due figli e prima ancora che quest’ultimi diretti interessati presentassero le rispettive istanze in sanatoria.
11.Avverso tale pronuncia la Procura generale proponeva un nuovo ricorso per cassazione fondato su tre motivi, ove si eccepiva nuovamente che la inosservanza o erronea applicazione della legge penale si sarebbe verificata nell’applicazione dell’art. 39 legge n. 724 del 1994 e artt. 31 e 41 T.U. n. 380 del 2001, continuando a ‘ritenere che i germani COGNOME fossero titolari di un condono, sebbene evidenzia la difesa – costoro siano legittimi titolari di due concessioni edilizie in sanatoria (peraltro mai revocate), ai sensi e per gli effetti della citata legge n. 724 del 1994.
12.Con ulteriore motivo di impugnazione la ricorrente Procura generale denunciava che i giudici territoriali non avrebbero accertato se i cespiti oggetto delle istanze di sanatoria fossero esistenti nella conformazione plano-volumetrica indicata e documentata in atti e dotati di autonomia funzionale, e nello specifico eccepiva la “mancanza di tamponature, senza suddivisione di unità immobiliari e la non completata copertura del manufatto”. Il ricorrente procuratore generale riteneva inoltre che l’immobile in questione “era costituito solo da pilastratura, solai e scala di collegamento ed era privo di copertura e tamponature
13.Inoltre, il ricorso lamentava la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e dagli atti della procedura amministrativa relativa alle istanze di concessione in sanatoria, presentate da COGNOME NOME e COGNOME NOME.
14.La Corte di legittimità con la pronuncia n.13836/2024 dell’11/01/2024 della terza sezione penale, depositata il 05/04/2024, in sede rescindente ha ritenuto che con l’ordinanza impugnata, la Corte d’appello di Napoli non si sia confrontata con la questione ritenuta dirimente, perché preliminare, dell’ultimazione dell’immobile oggetto di sequestro, allorché avrebbe omesso qualsivoglia
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riferimento alla circostanza, pur specificamente documentata in atti, che al momento della presentazione delle domande di concessione in sanatoria. l’immobile fosse sprovvisto delle tamponature. A parere della Suprema Corte, “si sarebbe dovuto valutare se, alla data della presentazione della domanda di condono, le opere abusive non potessero ritenersi ultimate; dovendosi richiamare in proposito l’affermazione di questa Corte, secondo cui, in materia edilizia, la esecuzione di un immobile a rustico, si intende riferita anche all’avvenuta tamponatura esterna (pagg. 6 e 7 Sent. Cass. n. 13836/2024).
15.11 Collegio, ritenuta irrevocabilmente decisa la questione riguardante la legittimazione di entrambi i ricorrenti, sulla quale, quindi, non v’è luogo di ulteriore decisione, osserva che gli argomenti spesi dalla difesa nei tre motivi di ricorso, invero, sono uno conseguenziale all’altro sul piano logico, tanto da poter ritenere che il rigetto del primo motivo assorba gli altri. Infatti il vizio di motivazione espresso nel secondo motivo è pur sempre conseguenziale alla ritenuta ultimazione di lavori, e l’omessa istruttoria lamentata nel terzo motivo consegue a sua volta alla possibilità di ritornare sui temi istruttori inerenti al medesimo profilo dell’immobile.
Tali argomenti, principalmente concentrati nel primo motivo di ricorso, non si confrontano con l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito, esposto chiaramente, con comprensibilissima logica deduttiva, in relazione alle condizioni dell’immobile al momento delle domande di sanatoria.
Si tratta di critiche alla struttura motivazionale che sostanzialmente ripropongono in sede di legittimità, sotto l’apparente argomentazione circa il vizio di , motivazione, un’istanza di rinnovazione di un accertamento di fatto circa l’ultimazione del lavori. Si leggano al riguardo le pagine 5-6 della sentenza impugnata ove la Corte riprende la descrizione degli immobili fornita dai ricorrenti stessi negli allegati alla memoria del 8/112016, che individuano l’immobile allo “stato grezzo e senza tompagni” (richiamando anche la perizia giurata), cioè senza le tamponature murarie che in un edificio servono a separare lo spazio architettonico esterno da quello interno e a determinarne la volumetria.
18. Si tratta, come è noto, di una valutazione di fatto, supportata dalla visione del materiale fotografico dell’immobile stesso e da cui si ricava l’esistenza della sola struttura grezza costituita da pilastri e solai e da un torrino scale non ancora chiuso. Pertanto correttamente la Corte di appello non ha potuto definire l’immobile quale rustico eseguito e ultimato proprio per la carenza delle tamponature esterne che sono necessarie per definire la volumetria dell’immobile.
Di conseguenza il Collegio, al netto di tutte le altre argomentazioni riguardanti la legittimazione e il titolo che sono state già più volte decise irrevocabilmente dalle precedenti sentenze di questa Corte Suprema, ritiene che non vi siano argomenti sufficienti per dimostrare la fondatezza della critica alla motivazione svolta nel primo motivo di ricorso.
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20. In secondo luogo, in ordine ai successivi motivi di ricorso, si noti che soprattutto il secondo motivo tende ad evidenziare genericamente un profilo di
illegittimità anche costituzionale del provvedimento impugnato inerente alla mancata revoca dell’ordine di demolizione, sulla base della medesima struttura
della critica esposta nel primo motivo. Di talché valgono anche per il secondo motivo le considerazioni che emergono sulla completezza dello sviluppo
argomentativo esposto a pag. 5-6 della motivazione, di cui si è già trattato.
21. Ne consegue che nel caso specifico il mancato approfondimento istruttorio lamentato con il terzo motivo di ricorso per la mancata assunzione di prova
decisiva risulta evidentemente superfluo proprio in presenza di elementi certi, valutati dalla Corte napoletana, sulla cui base ha tratto una valutazione esauriente
degli elementi ritenuti sufficienti in sede di esecuzione. Al riguardo, comunque è
da escludere l’applicabilità della disciplina ex art. 603 e ss. cod. proc. pen alla speciale istruttoria in sede di esecuzione per la diversa di
ratio tra il mancato
completamento istruttorio di merito volto al raggiungimento della verità
processuale oltre ogni ragionevole dubbio, e quello esecutivo che invece presuppone un’irrevocabile decisione e un tema applicativo del
dictum di
condanna.
Di conseguenza, attesa la manifesta infondatezza dei motivi e comunque l’attinenza al giudizio di merito, il Collegio deve dichiarare inammissibili i ricorsi e, quindi, condannare i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 14 gennaio 2024
Il Consigliere estensore