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Turbata libertà degli incanti: Cassazione chiarisce

La Cassazione annulla una condanna per turbata libertà degli incanti, chiarendo che il reato non sussiste se la condotta mira a impedire la gara per ottenere un affidamento diretto, anziché a inquinare una procedura selettiva già in atto. Il caso riguardava un appalto di modico valore, assegnato simulando una consultazione di mercato inesistente. Annullata con rinvio anche la condanna per corruzione per difetto di motivazione sul nesso tra l’utilità (un’assunzione) e gli atti del pubblico ufficiale.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Turbata libertà degli incanti: quando il reato non sussiste

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 7099 del 2025, offre un’importante chiave di lettura sul delitto di turbata libertà degli incanti (art. 353-bis c.p.), tracciando un confine netto tra le condotte penalmente rilevanti e quelle che, seppur illegittime, non rientrano in questa specifica fattispecie. La Corte ha stabilito che la norma non si applica quando l’azione fraudolenta non mira a inquinare una gara, ma a impedirla del tutto per ottenere un affidamento diretto. Analizziamo la decisione.

I fatti del caso: Appalto diretto e simulazione

Il caso riguardava l’affidamento di lavori per la riparazione di una perdita alla rete idrica, per un valore di soli 400 euro. Secondo l’accusa, alcuni funzionari pubblici e un imprenditore avrebbero turbato la procedura di scelta del contraente. In particolare, avevano simulato l’invio di inviti a presentare un preventivo a tredici ditte, attestando falsamente che nessuna avesse risposto, per poi procedere all’affidamento diretto all’impresa dell’imputato, motivandolo con l’urgenza e l’apparente assenza di alternative. In realtà, nessuna consultazione di mercato era mai avvenuta.

Oltre a ciò, all’imprenditore era contestato un reato di corruzione. Avrebbe offerto l’assunzione del figlio di un funzionario pubblico per un breve periodo, in cambio di un ‘asservimento’ del pubblico ufficiale ai suoi interessi, che si concretizzava nel favorirlo nell’affidamento di commesse, accelerare i pagamenti e rivelare informazioni riservate.

La decisione sulla turbata libertà degli incanti

La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la condanna per turbata libertà degli incanti, affermando che ‘il fatto non sussiste’. Il punto cruciale del ragionamento risiede nell’interpretazione dell’art. 353-bis c.p. Questa norma punisce chi turba ‘il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando di gara o di altro atto equipollente’.

Secondo i giudici, il reato presuppone l’esistenza di una procedura selettiva, anche informale o esplorativa. La condotta penalmente rilevante deve essere finalizzata a ‘inquinare’ tale procedura, alterandone le regole, i requisiti o le modalità di partecipazione per favorire qualcuno.

Nel caso di specie, la condotta fraudolenta (la finta consultazione di mercato) non era volta a condizionare una gara in corso, ma a evitare che una gara avesse luogo, creando i presupposti fittizi per un affidamento diretto illegittimo. Poiché all’epoca dei fatti la legge consentiva l’affidamento diretto per importi inferiori a 40.000 euro anche senza previa consultazione, la condotta mirava a bypassare la concorrenza, non a inquinarla. Estendere la punibilità a questa ipotesi, secondo la Corte, costituirebbe un’inammissibile applicazione analogica della norma penale a sfavore dell’imputato.

La questione della corruzione: Manca la prova del patto

Anche la condanna per corruzione è stata annullata, ma con rinvio a un’altra sezione della Corte di Appello per un nuovo giudizio. La Cassazione ha riscontrato un vizio di motivazione nella sentenza impugnata. In particolare, i giudici di merito non avevano spiegato in modo adeguato il ‘sinallagma’, ovvero il nesso di scambio tra il presunto vantaggio per il pubblico ufficiale (l’assunzione del figlio per dieci giorni) e gli specifici atti contrari ai doveri d’ufficio che avrebbe compiuto.

Inoltre, la Corte ha rilevato una contraddizione nella qualificazione giuridica del fatto. La sentenza di appello aveva configurato il reato di corruzione propria (art. 319 c.p.), che richiede il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio, ma lo aveva motivato facendo riferimento a uno ‘stabile asservimento’ della funzione pubblica agli interessi del privato, una condotta più tipica della diversa e meno grave fattispecie di corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.). Sarà quindi necessario un nuovo processo per chiarire la natura del pactum sceleris e qualificare correttamente i fatti.

Le motivazioni della Corte

Le motivazioni della Suprema Corte tracciano un perimetro chiaro per l’applicazione dell’art. 353-bis c.p. La norma è posta a tutela della corretta formazione delle regole di una competizione pubblica. Se la condotta fraudolenta è preordinata non a manipolare le regole del gioco, ma a evitare completamente il gioco competitivo per ottenere un’assegnazione diretta, il fatto, per quanto illecito sotto altri profili, esula dall’ambito di applicazione di questo specifico reato. Questo principio garantisce il rispetto del principio di tassatività della legge penale. Sul fronte della corruzione, la Corte ribadisce la necessità di una motivazione rigorosa che dimostri, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’esistenza di un patto illecito e la sua esatta natura, distinguendo nettamente le diverse ipotesi di reato previste dal codice.

Conclusioni: Implicazioni pratiche della sentenza

Questa sentenza è di grande importanza pratica. In primo luogo, stabilisce che non ogni irregolarità nelle procedure di affidamento integra automaticamente il grave reato di turbata libertà degli incanti. È necessario che vi sia una vera e propria interferenza su una procedura competitiva esistente. In secondo luogo, riafferma l’elevato standard probatorio richiesto per le accuse di corruzione, imponendo ai giudici di merito di motivare in modo puntuale e non contraddittorio l’esistenza e i termini dell’accordo corruttivo. Ciò rafforza le garanzie difensive e la certezza del diritto nei processi per reati contro la pubblica amministrazione.

Commette il reato di turbata libertà degli incanti chi simula una procedura selettiva per ottenere un affidamento diretto?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il reato di cui all’art. 353-bis c.p. non sussiste se la condotta è finalizzata a impedire la gara per consentire un affidamento diretto illegittimo. Il reato si configura solo quando l’azione mira a inquinare il contenuto di una procedura selettiva (una ‘gara’) effettivamente in corso.

Perché la condanna per corruzione è stata annullata con rinvio?
La condanna è stata annullata perché la Corte di appello non ha motivato adeguatamente il nesso di reciprocità (sinallagma) tra l’utilità ricevuta dal pubblico ufficiale (l’assunzione del figlio) e gli atti contrari ai doveri d’ufficio che avrebbe compiuto. Inoltre, la motivazione era contraddittoria nel qualificare il reato come corruzione propria (art. 319 c.p.) pur descrivendo una condotta di ‘stabile asservimento’ più tipica della corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.).

L’affidamento diretto di un appalto di basso importo esclude sempre la possibilità di commettere reati?
No. Sebbene l’affidamento diretto per bassi importi sia legale, la sentenza chiarisce che se per tale affidamento si svolge una procedura selettiva (anche informale, come una consultazione di più operatori), le condotte fraudolente per turbarla possono integrare il reato di turbata libertà degli incanti. La condotta è penalmente irrilevante ai sensi dell’art. 353-bis solo se mira a evitare del tutto la procedura comparativa. Altri reati, come la corruzione o l’abuso d’ufficio, possono comunque essere commessi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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