Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29484 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29484 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME COGNOME nato il 02/11/1959
avverso la sentenza del 10/01/2025 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso;
letta la memoria di replica depositata dal ricorrente.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza emessa il 02/02/2024 dal Tribunale di Roma, con la quale NOME COGNOME era stato giudicato responsabile del reato previst dall’art.95, in relazione all’art.76, del T.U. emesso con d.P.R. 30 maggio 20 n.115 (TUSG); commesso per avere, in procedimento pendente di fronte al Tribunale di Sorveglianza di Roma, con istanza depositata il 13/01/2017, omesso di indicare l’effettiva composizione del proprio nucleo familiare e i red complessivamente percepiti per l’anno 2015, dichiarando di essere unico componente del nucleo medesimo e di essere titolare di un reddito di C 3.000,00, con l’aggravante di avere ottenuto l’ammissione al beneficio; reato in relazione quale il Tribunale procedente, previa esclusione della contestata recidiv applicazione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti al contestata aggravante, lo aveva condannato alla pena di anni uno di reclusione ed C 310,00 di multa.
In motivazione, la Corte ha pregiudizialmente rilevato che – alla data del decisione (10/01/2025) il reato non era prescritto, in considerazione de necessaria aggiunta di un periodo di sospensione pari a 354 giorni, co conseguente proroga del termine al 02/08/2025.
Ha quindi rigettato il motivo di appello inerente all’inclusione nel nucl familiare della convivente NOME COGNOME soggetto coabitante con il ricorren nel periodo di riferimento dell’istanza; ha altresì ritenuto irrile l’argomentazione difensiva in ordine al carattere non veritiero della dichiar percezione di C 3.000,00, con conseguente rigetto dell’argomentazione inerente alla carenza dell’elemento psicologico del reato contestato; ha quindi ritenu inammissibile il motivo riguardante il trattamento sanzionatorio e la concession dei benefici della sospensione condizionale e della non menzione, non applicabili dati i precedenti dell’imputato.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando tre motivi di impugnazione
Con il primo motivo, ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art.9 del TUSG.
Ha premesso che, nel periodo di riferimento della dichiarazione, il ricorrent si trovava detenuto in regime domiciliare presso l’abitazione della COGNOME c provvedimento accordato dallo stesso Tribunale di Sorveglianza di Roma; esponendo, quindi, di non avere alcun effettivo legame con la COGNOME e
deducendo, altresì, di avere falsamente dichiarato di percepire unksomma di C 3.000,00, pure non essendo titolare di alcun trattamento retributivo pensionistico; conseguendone che, dato che il reddito effettivo del dichiarante e pari a zero, non poteva applicarsi il cumulo con il reddito della COGNOME nel se indicato dai giudici di merito; contestando comunque qualsiasi relazione d convivenza more uxorio con la COGNOME ed esponendo che, proprio in considerazione dell’assenza di redditi, il proprio mantenimento era assicurato dal sole entrate della persona che lo ospitava; ritenendo che, al più, potesse ess applicato il disposto dell’art.76, comma 2, TUSG, ai sensi del quale si tiene co del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personali ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con q degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.
Con il secondo motivo ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art.95 del TUSG per difetto del requisito psicologico.
Ha dedotto che, nelle sentenze di merito, era mancata totalmente la necessaria verifica in ordine alla sussistenza del dolo generico, avendo le ste conferito rilevanza al solo dato oggettivo della falsità della dichiarazione.
Con il terzo motivo ha dedotto la violazione dell’art.157 cod.pen,. per esser il reato estinto per prescrizione.
Ha dedotto che, nel caso di specie, erano stati conteggiati nei periodi sospensione anche i differimenti determinati dall’esigenza di rinnovare la citazio del decreto di citazione a giudizio nei confronti dell’imputato detenut successivamente liberato, con la conseguenza che i giorni effettivi di sospension dovevano intendersi ammontanti a soli 280 e non ai 354 ritenuti dalla Corte territoriale.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella qual concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria in replica alle conclusioni de Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Per ragioni di anteriorità logica, va esaminato pregiudizialmente il terz motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente ha dedotto che i termini massim di prescrizione sarebbero già venuti a maturazione anteriormente alla sentenza d appello.
In particolare, data l’epoca di consumazione del fatto (13/02/2017) il termin massimo di prescrizione di sette anni e sei mesi andava a scadere il 13/08/2024 cui la Corte territoriale ha ritenuto di aggiungere 354 giorni di sospensione dov a rinvii richiesti da parte della difesa.
Va quindi premesso, sul punto, che, allorché sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un error in procedendo ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la Corte di legittimità è giudice anche del fatto e, per risolv relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali, che re invece, precluso dal riferimento al testo del provvedimento impugnato contenuto nella lett. e), del citato articolo, quando risulti denunziata la mancanza manifesta illogicità della motivazione (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro Rv. 220092, in senso conforme Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., Rv. 273525).
Ciò premesso, il motivo risulta manifestamente infondato.
Difatti, dall’esame degli atti processuali risulta che il processo è stato rin – per adesione del difensore del ricorrente all’astensione delle udienza proclama dall’organo rappresentativo della categoria – dal 04/12/2019 al 06/10/2020 ricordando, sotto tale aspetto, che l’adesione del difensore all’astensione colle dalle udienze indetta dalle Camere penali non integra un’ipotesi di legitti impedimento a comparire, sicché il rinvio della trattazione del processo dispost in tal caso, dal giudice determina la sospensione del corso della prescrizione f alla celebrazione dell’udienza successiva, non trovando applicazione il limi massimo di durata, pari a sessanta giorni, previsto dall’art. 159, comma primo, 3), cod. pen. (Sez. 3, n. 8171 del 07/02/2023, COGNOME, Rv. 284154; Sez. 3, 11671 del 24/02/2015, COGNOME, Rv. 263052).
Risulta, altresì, che il processo è stato rinviato dal 14/02/2024 al 02/04/20 su richiesta del difensore in relazione a concomitante impegno professionale.
Deve quindi ritenersi corretto il calcolo operato dalla Corte territoriale e fe restando che – anche sulla base della deduzione del difensore, che ha ritenu sussistente un termine di sospensione pari a soli 280 giorni – i termini massimi prescrizione non potevano comunque intendersi decorsi alla data di pronuncia della sentenza di appello (10/01/2025).
Quanto al periodo successivo va ricordato che l’inammissibilità del ricorso pe cassazione, precludendo l’instaurarsi di un valido rapporto processuale in quest grado di giudizio, non consente alle cause estintive del reato (nel caso di speci prescrizione che sia eventualmente maturata dopo la sentenza d’appello) di operare e impedire il consolidarsi della pronuncia di condanna (Sez. U, n. 32 de 22/11/2000, D., Rv. 217266; conformi, Sez. 4, n. 18641 del 20/1/2004, COGNOME,
Rv. 228349; Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME Rv. 256463; Sez. 4, n. 8132 del 31/01/2019, COGNOME, Rv. 275216).
Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato e comunque meramente reiterativo di argomentazioni già proposte di fronte al giudice di appello e da questi rigettate con motivazione immune dal denunciato vizio di violazione di legge.
Con il primo e fondamentale argomento posto alla base del motivo, il ricorrente ha contestato la sussistenza di un rapporto di convivenza con la person che lo aveva ospitato durante il periodo di restrizione agli arresti domici (coincidente con quello oggetto della dichiarazione), contestando che potesse sussistere un rapporto valutabile ai sensi dell’art.76, comma 2, TUSG, in base quale «Salvo quanto previsto dall’articolo 92, se l’interessato convive con coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei re conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante».
La deduzione è manifestamente infondata; dovendosi richiamare i principi in base ai quali ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nel red complessivo dell’istante, ai sensi dell’art. 76 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 1 deve essere computato anche il reddito di qualunque persona che con lui conviva e contribuisca alla vita in comune, non essendo necessaria quindi una convivenza fondata su un legale affettivo ed essendo sufficiente che la persona coabitant contribuisca ai bisogni complessivi del nucleo (Sez. 4, n. 44121 del 20/09/2012 n. 1400, Indiveri Rv. 253643; nella quale la Corte ha rigettato il ricorso avverso u decisione che aveva revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in considerazione dei redditi percepiti dalla madre della convivente more uxorio del soggetto beneficiato, anch’essa convivente con quest’ultimo, osservando che la locuzione “componente della famiglia”, cui fa ricorso l’art. 76 citato, a differ della parola “congiunti”, non si riferisce ad un legame di consanguineità o di natu giuridica).
Mentre del tutto inconferente deve ritenersi il richiamo al disposto dell’ìart comma 4, TUSG, in base al quale «Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cu interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nu familiare con lui conviventi»; trattandosi di elemento di fatto in alcun mo ravvisabile nella fattispecie concreta in esame, riguardante l’ammissione gratuito patrocinio in giudizio pendente di fronte al Tribunale di Sorveglianza.
Quanto al dato afferente al dedotto carattere fittizio del reddito person dichiarato dal Caltagirone, va condivisa la valutazione della Corte di appello
forza della quale si tratterebbe di una dedotta falsità – comunque merament asserita – non influente sulla maturazione del diritto al beneficio; atteso c reddito del soggetto convivente, come dedotto dal Tribunale, era di per sé idone a determinare il superamento del limite di reddito per l’ammissione al patrocinio
Dovendosi richiamare, in conformità rispetto all’argomentazione della Corte territoriale, il principio per cui integrano comunque il delitto di cui all’art. 95 n. 115 del 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiar prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentement dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al benefic dovendosi richiamare quanto espresso da Sez.U, n.6591 del 27/11/2008, I GLYPH / dep.2009, COGNOME, la quale ha rilevato che l’inganno potenziale e f déjla falsa attestazione di dati necessari per determinare al momento dell’istanza condizioni di reddito, sussiste quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito, previsto dalla per l’ammissione al beneficio (in senso conforme, Sez. 4, n. 40943 de 18/09/2015, COGNOME, Rv. 264711; Sez. 4, n. 8302 del 23/11/2021, COGNOME, Rv. 282716).
Anche le deduzioni contenute nel secondo motivo di ricorso, attinenti al perfezionamento dell’elemento psicologico, sono manifestamente infondate.
A tale proposito, questa Corte ha enunciato il principio per cui le fa indicazioni o le omissioni, anche parziali, che integrano l’elemento oggettivo d reato di cui all’art. 95, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, indipendentemente dal effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al benefic devono essere sorrette dal dolo generico, rigorosamente provato, che esclude la responsabilità per un difetto di controllo, di per sé integrante condotta colpos salva l’ipotesi del dolo eventuale (Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019, COGNOME, R 277129; conforme, Sez. 4, n. 39975 del 05/05/2021, COGNOME).
Nel caso in esame, peraltro, le considerazioni contenute nel motivo di ricors si appalesano tautologiche e autoevidenti, censurando le stesse un’omissione motivazionale in realtà non ravvisabile, avendo la Corte territoria adeguatamente motivato rispetto al relativo motivo di appello.
4icordahtlo comunque, in ordine al complesso delle argomentazioni del ricorrente – sostanzialmente tendenti a traslare sulla sussistenza dell’eleme psicologico le deduzioni riguardanti i soggetti da includere ai fini d composizione del reddito complessivo – che, sulla base di orientamento assolutamente consolidato, in tema di patrocinio a spese dello Stato, l’errore s nozione di reddito rilevante ai fini dell’ammissione al beneficio non esclu
e
l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 1
non trattandosi di errore su legge extrapenale, posto che l’art. 76 del medesi decreto è espressamente richiamato dalla predetta norma incriminatrice (Sez. 4,
n. 14011 del 12/02/2015, COGNOME, Rv. 263013, conf. Sez. 4, n. 418 del 25/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282560).
5. Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente a pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugn
2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso sen
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorre va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro
3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso, 1’11 luglio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente