Truffa Contrattuale Online: Quando la Vendita Si Trasforma in Reato
Il commercio elettronico ha rivoluzionato il nostro modo di acquistare, ma ha anche aperto la porta a nuove forme di illeciti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 22355/2024) affronta un caso emblematico di truffa contrattuale online, delineando con chiarezza la linea di demarcazione tra un semplice inadempimento civile e un vero e proprio reato. La decisione offre spunti fondamentali per comprendere quando la mancata consegna di un bene acquistato sul web integra gli estremi della frode penale.
I Fatti del Caso: Una Vendita Online Non Conclusa
Il caso ha origine da una compravendita avvenuta su una piattaforma web. Un acquirente pagava il prezzo pattuito per un bene, ma il venditore non provvedeva mai alla consegna. A seguito della denuncia, il venditore veniva condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di truffa. Egli decideva quindi di ricorrere in Cassazione, sostenendo la mancanza dell’elemento psicologico del reato, ovvero il dolo.
La Difesa dell’Imputato e il Presunto Vizio di Motivazione
Secondo la tesi difensiva, la vicenda avrebbe dovuto essere inquadrata come un mero illecito civile, un semplice inadempimento contrattuale, e non come un reato penale. L’imputato lamentava che le corti di merito non avessero adeguatamente provato la sua volontà iniziale di non adempiere al contratto, elemento indispensabile per configurare la truffa. Il ricorso si basava, quindi, su un presunto difetto di motivazione della sentenza d’appello.
La Decisione della Cassazione sulla Truffa Contrattuale
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato e confermando la condanna. Gli Ermellini hanno ritenuto la motivazione della Corte d’Appello logica, coerente e priva di vizi, in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità.
La Prova del Dolo Iniziale
Il punto cruciale della decisione riguarda l’individuazione del cosiddetto “dolo iniziale”. La Corte ha spiegato che l’intenzione di frodare l’acquirente sin dal principio può essere desunta da elementi concreti e sintomatici. Nel caso di specie, due fattori sono stati determinanti:
1. Il prezzo conveniente: L’offerta di un prodotto a un prezzo particolarmente vantaggioso è stata vista come un’esca per attrarre la vittima.
2. Il falso luogo di residenza: Il venditore aveva fornito un indirizzo di residenza falso, rendendo estremamente difficile per l’acquirente rintracciarlo per ottenere la consegna o la restituzione del denaro.
Queste circostanze, valutate nel loro insieme, sono state considerate una prova sufficiente della volontà preordinata di non eseguire il contratto sin dal momento della pubblicazione dell’annuncio online. Si è quindi configurata pienamente la truffa contrattuale.
La Differenza tra Reato e Illecito Civile
La Corte ha ribadito un principio fondamentale: non ogni mancata consegna di un bene pagato è automaticamente una truffa. Diventa un reato quando la condotta del venditore è caratterizzata da artifizi e raggiri (come il prezzo esca e il falso indirizzo) che dimostrano un piano fraudolento concepito fin dall’inizio. In assenza di tali elementi, si rimane nell’ambito dell’inadempimento civile, risolvibile con un’azione di risarcimento del danno.
Le Motivazioni della Suprema Corte
Nelle motivazioni, i giudici hanno richiamato una precedente sentenza (n. 43660/2016) che aveva già stabilito come la combinazione di un “prezzo conveniente” e di un “falso luogo di residenza” del venditore online integri il reato di truffa. Tale condotta, rendendo difficoltoso il rintraccio del venditore, non solo impedisce all’acquirente di far valere i propri diritti, ma evidenzia anche la presenza del dolo iniziale, cioè la volontà di non adempiere al contratto fin dal momento dell’offerta online. La Corte ha quindi escluso che i fatti potessero essere qualificati come un mero illecito civile, confermando la natura penale della condotta.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza consolida un importante principio a tutela dei consumatori che effettuano acquisti online. Essa chiarisce che la valutazione del comportamento del venditore è essenziale per distinguere un inadempimento da una frode. La presenza di elementi “sintomatici” come prezzi troppo bassi per essere veri e dati personali falsi deve mettere in allerta l’acquirente e, in caso di problemi, può costituire la base per una denuncia penale. Per i venditori, invece, la sentenza rappresenta un monito sulla necessità di trasparenza e correttezza, pena l’incorrere in conseguenze penali ben più gravi di una semplice causa civile.
Quando la mancata consegna di un prodotto venduto online diventa reato di truffa contrattuale?
Diventa reato quando, oltre alla mancata consegna, sono presenti elementi che dimostrano un’intenzione fraudolenta iniziale (dolo) da parte del venditore, come l’offerta di un prezzo particolarmente conveniente e l’indicazione di un falso luogo di residenza per rendersi irreperibile.
Quali elementi possono dimostrare l’intenzione iniziale di non adempiere a un contratto online?
Secondo l’ordinanza, elementi sintomatici come un “prezzo conveniente” utilizzato come esca e l’indicazione di un “falso luogo di residenza” del venditore sono circostanze che, rendendo difficile il rintraccio, evidenziano la volontà di non adempiere al contratto sin dal momento dell’offerta.
Qual è la differenza tra un inadempimento contrattuale (illecito civile) e una truffa contrattuale (reato penale) secondo questa ordinanza?
L’inadempimento civile si ha quando un contraente non esegue la sua prestazione per motivi che non implicano un piano fraudolento iniziale. Si ha invece una truffa contrattuale, e quindi un reato penale, quando la stipula del contratto è stata ottenuta con artifizi o raggiri che dimostrano che il venditore non ha mai avuto l’intenzione di adempiere agli obblighi assunti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22355 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22355 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN PIETRO VERNOTICO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/05/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che contesta il vizio motivazionale e l’erronea applicazione della legge penale in ordine all’art. 640 cod. pen. relativamente alla carenza dell’elemento psicologico del reato, è manifestamente infondato poiché inerente ad asserito difetto o contraddittorietà e/o palese illogicità della motivazione, che la lettura del provvedimento impugnato dimostra essere esistente e connotata da lineare e coerente logicità conforme all’esauriente disamina dei dati probatori;
che i giudici di merito, con motivazione esente dai vizi logici dedotti rispondendo alle medesime doglianze già proposte con il primo motivo di appello, hanno congruamente disatteso la tesi difensiva sulla ventilata mancanza degli elementi costitutivi del reato di truffa, deducendo logicamente la sussistenza del dolo dalle concrete modalità del fatto, in ossequio a pacifica giurisprudenza di legittimità di questa Suprema Corte (si vedano, in particolare, pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata);
che, invero, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del dat normativo e della consolidata giurisprudenza di questa Corte sul punto, secondo la quale integra il reato di truffa contrattuale la mancata consegna della merce acquistata e pagata, nel caso in cui siano stati indicati un “prezzo conveniente” di vendita sul “web” e un falso luogo di residenza del venditore, posto che tale circostanza, rendendo difficile il rintraccio, evidenzia sintomaticamente la presenza del dolo iniziale del reato, da ravvisarsi nella volontà di non adempiere all’esecuzione del contratto sin dal momento dell’offerta on-line (cfr. sul punto, Sez. 2, Sent. n. 43660 del 19/07/2016 Cc., dep. 14/10/2016, Rv. 268448 – 01);
che, pertanto, con pertinente motivazione è stato escluso che il fatto costituisse un mero illecito civile;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16/04/2024
Il Consigliere Estensore