Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12481 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12481 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/10/2018
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 04/02/1989
avverso l’ordinanza del 19/03/2018 della CORTE ASSISE APPELLO di GENOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
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1. Con il provvedimento in epigrafe, emesso in data 19 marzo – 5 aprile 2018, la Corte di assise di appello di Genova ha rigettato l’istanza proposta con posta certificata il 9 marzo 2018, previa nomina del difensore di fiducia il 5 marzo 2018, nell’interesse di NOME COGNOME avente ad oggetto la restituzione in termini per impugnare la sentenza resa nei suoi confronti dalla Corte di assise di La Spezia in data 18 giugno 2015, dichiarata irrevocabile il 2 novembre 2015.
A fondamento del provvedimento la suddetta Corte ha osservato che la situazione prospettata dall’istante, regolarmente dichiarato assente e munito della difesa di fiducia nel processo, esorbitasse dall’ambito che l’art. 175, nel testo successivo alle modificazioni introdotte dalla legge n. 67 del 2014, legittimavano l’istanza di restituzione nel termine.
2. Avverso il provvedimento è stato proposto ricorso nell’interesse di Ibomehn e ne è stato chiesto l’annullamento sulla scorta di un unico motivo con cui si lamenta la violazione dell’art. 175, in relazione all’art. 143, cod. proc. pen e dell’art. 6 CEDU.
Secondo il ricorrente era da precisarsi che l’avv. COGNOME, del Foro di Crotone, era stato inizialmente nominato di ufficio e non si era reperita la nomina quale difensore di fiducia: in ogni caso, il professionista non essendo riuscito a mettersi in contatto con l’assistito dopo il suo interrogatorio, aveva chiesto che si nominasse nuovo difensore del Foro ove il processo si celebrava e la Corte di merito aveva nominato nuovo difensore di ufficio; inoltre, l’imputato il 28 marzo 2015 era dichiarato assente.
Posta questa premessa, COGNOME ha aggiunto che, successivamente, ossia in data 3 marzo 2017, si era rivolto allo studio dell’odierno difensore di fiducia per generiche problematiche segnalategli dalla Questura di Torino in ordine al rinnovo del permesso di soggiorno e, una volta emersa la condanna a suo carico, stante l’impossibilità dell’imputato alloglotta di comprendere la lingua italiana, s era chiesta alla Corte di assise di appello di Genova la traduzione della sentenza e la rimessione nel termine per impugnarla, ma la Corte aveva respinto l’istanza parificando il caso in esame a quello dell’assente che aveva volontariamente omesso di presenziare in aula al momento della lettura della decisione.
In tal situazione la difesa sostiene che nessun volontario disinteresse caratterizzava la posizione del ricorrente, appena arrivato in Italia, completamente avulso dal tessuto sociale e giuridico, sicché negare il diritto alla traduzione della sentenza all’imputato finiva per svuotare di contenuto l’art. 143
cod. proc. pen., da leggere in senso conforme alla sentenza n. 10 del 1993 della Corte costituzionale e all’art. 6 CEDU: d’altro canto anche la giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che l’omessa traduzione della sentenza finiva per incidere sul decorso dei termini stabiliti per impugnare la decisione, impedendolo fintanto che questi non avesse avuto compiuta conoscenza dell’atto in una lingua a lui accessibile.
In questa prospettiva si segnala anche che la valutazione delle modalità della partecipazione dell’imputato al processo non avrebbe potuto utilizzarsi per la dimostrazione del suo disinteresse, in quanto siffatta valutazione non poteva confliggere con il suo diritto di avere informazione e possibilità astratta d conoscenza, al di là del suo distinto diritto di non presenziare, frutto di liber scelta e non coercibile.
3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, avendo – l’impugnazione – intrecciato due questioni fra loro diverse, dal momento che, circa l’evenienza del caso fortuito o della forza maggiore, l’infondatezza sussisteva sia con riferimento allo strumento adottato (che avrebbe dovuto consistere, invece, nella rescissione del giudicato), dato che si era proceduto nei suoi confronti in absentia, sia sotto il profilo sostanziale, considerato il certo disinteresse dimostrato, mentre, in ordine all’omessa traduzione della sentenza, essa non poteva integrare caso fortuito o forza maggiore, giacché all’atto dell’emissione della sentenza non sussisteva alcuna ragione di disporre la traduzione a beneficio di chi si era disinteressato del processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte ritiene che l’impugnazione non sia fondata e vada quindi rigettata.
2. Pare opportuno puntualizzare che il giudice dell’esecuzione – in relazione alla prospettazione della difesa dell’istante, la quale aveva dedotto la violazione del diritto di difesa della parte, cittadino nigeriano alloglotta, nei cui confro non si era proceduto alla traduzione della sentenza in lingua da lui conosciuta, dopo che egli aveva subìto la perquisizione personale e domiciliare, con informazione di garanzia, si era visto applicare la misura della custodia cautelare, aveva eletto domicilio, assistito da interprete di lingua inglese, aveva nominato difensore di fiducia (avv. NOME COGNOME ed era stato sottoposto a interrogatorio, con susseguente suo rinvio a giudizio del 19 dicembre 2014 – ha
rilevato l’istante, innanzi tutto, non aveva enunciato il momento in cui era venuto a conoscenza della sentenza di condanna, che questi non era, allo stato, detenuto e che lo stesso era stato dichiarato correttamente assente nel corso del giudizio di primo grado, quando era stato assistito da difensore di fiducia, pur se questi era stato sostituito ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen., da difensore di ufficio, fino all’udienza del 30 aprile 2015, momento in cui, a seguito della dismissione del mandato da parte dell’avvocato fiduciario, era stato assistito da difensore di ufficio.
Così specificata la situazione che aveva caratterizzato il corso del processo di cui ea stato parte l’istante, la Corte di assise di appello ha aggiunto che non erano stati sollevati difetti di notifica, peraltro improponibili con riferimento sentenza, atteso il testo dell’art. 548 cod. proc. pen. applicabile al suddetto processo di cognizione, e che l’imputato, pur libero, aveva scelto di non partecipare al processo, sicché in esso era stato rappresentato dal difensore: data questa situazione, non emergeva l’esigenza processuale che la Corte di assise facesse tradurre la sentenza a beneficio dell’assente, il quale aveva dimostrato la sua carenza di interesse, sicché non poteva ricollegarsi alla mancata traduzione la persistente pendenza del termine per impugnare; d’altro canto, l’istituto della restituzione nel termine, dopo l’entrata in vigore della legg n. 64 del 2004, riguardava solo casi residuali, per caso fortuito o forza maggiore, da esperirsi entro il termine di dieci giorni dalla loro cessazione, stante l corrispondente introduzione del mezzo straordinario dell’impugnazione per rescissione; e certo il disinteresse non avrebbe potuto essere ora addotto quale caso fortuito o forza maggiore.
3. Il ragionamento su cui si è fondata l’ordinanza impugnata non risulta decisivamente contrastato dalla doglianza formulata dal ricorrente.
Essendo stata dedotta l’evenienza dell’istituto della restituzione nel termine, rilevante è anzitutto la corretta precisazione che al caso di specie (in relazione a cui COGNOME è stato rinviato al giudizio della Corte di assise con decreto del 19 dicembre 2014) si applica la disciplina successiva all’entrata in vigore della legge n. 67 del 2014: il rimedio della restituzione nel termine non può, di conseguenza, esplicarsi al di fuori del ristretto ambito di cui al comma 1 dell’art. 175, oltre che il decreto penale di cui al comma 2 della stessa norma, al di là dei relativi limiti l’interessato dovendo invece avvalersi, quando ricorrano i presupposti del caso, della rescissione del giudicato prevista all’art. 625-ter, poi 629-bis, cod. proc. pen.
Orbene, a fronte della notazione svolta dalla Corte di merito in ordine alla mancata precisazione del momento in cui il ricorrente abbia avuto conoscenza
della sentenza in thesi non conosciuta in precedenza, l’impugnazione appare meramente confutativa.
Epperò, in tema di restituzione nel termine per impugnare la sentenza, grava sul richiedente l’onere di allegare il momento di effettiva conoscenza della sentenza, spettando poi al giudice accertare – oltre che l’eventuale effettiva conoscenza del procedimento da parte del condannato e la sua volontaria rinuncia a comparire – l’eventuale diverso momento in cui è intervenuta detta conoscenza, rispetto al quale valutare la tempestività della richiesta (Sez. 6, n. 18084 del 21/03/2018, COGNOME, Rv. 272922; in tema di decreto penale, v. Sez. 1, n. 57646 del 29/09/2017, COGNOME, Rv. 271912).
3.1. In disparte tale primo, dirimente rilievo, va poi rilevato che, quanto alla restituzione nel termine di cui al comma 1 dell’art. 175 cod. proc. pen., essa inerisce esclusivamente all’inosservanza del termine stabilito a pena di decadenza che sia stata determinata da caso fortuito o da forza maggiore, restituzione da richiedersi entro il termine, fissato a sua volta a pena di decadenza, di dieci giorni da quello nel quale è cessato il fatto costitutivo del caso fortuito o della forza maggiore.
Orbene, la stessa deduzione del mancato decorso del termine per omessa traduzione della sentenza in thesi spettante – a beneficio dell’imputato alloglotta non determina stricto iure un’ipotesi di restituzione nel termine, giacché quest’ultima, pur nel ristretto ambito stabilito dall’art. 175 ci presuppone il decorso e la consumazione del termine stabilito a pena di decadenza.
Invece, determinando la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato alloglotta (non un’ipotesi di nullità ma), sempre che si sia avuta una specifica richiesta di traduzione, la decorrenza dei termini per impugnare dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione dell’imputato nella lingua a lui comprensibile (Sez. 2, n. 13697 del 11/03/2016, COGNOME, Rv. 266444), il ricorrente, se riteneva non decorso il termine per l’impugnazione, avrebbe potuto proporla direttamente, salva la valutazione di tempestività da parte del giudice dell’impugnazione.
3.2. In secondo luogo, l’incensurabile – siccome fondata sulla rilevazione della serie di elementi richiamati nel provvedimento (fra i quali l’assoggettamento di COGNOME a misura cautelare, l’elezione di domicilio, e la nomina da parte sua del difensore di fiducia) – accertamento della rituale condizione di assente dell’imputato nel processo in esame ha determinato l’effetto che la traduzione della sentenza avrebbe dovuto essere disposta dal giudice procedente se l’interessato ne avesse fatto richiesta.
E’ stato infatti rilevato che l’art. 143 cod. proc. pen., anche nella nuova
formulazione, riconosce, al comma 1, il diritto dell’imputato alloglotta a farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di poter comprendere l’accusa contro di lui e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento lo svolgimento delle udienze a cui assista, sicché, quando l’imputato scelga di essere assente dal processo, il diritto alla presenza e all’attività di un interprete non attualizza, non avendo senso la presenza dell’ausiliare in un contesto di persone non alloglotte, con la conseguenza che, in prima analisi, non si determina l’applicabilità della disciplina di cui al comma 2, il quale stabilisce che “neg stessi casi” di cui al comma precedente l’autorità che procede dispone la traduzione scritta dell’atto medesimo.
Pertanto, l’assenza dell’imputato non ha determinato l’immediata necessità da parte della Corte di assise di disporre la traduzione della sentenza in favore dell’alloglotta, imputato che avrebbe avuto comunque diritto alla traduzione di essa, ai sensi del comma successivo, se ne avesse fatto esplicita richiesta, con l’effetto che in tal caso i termini per l’impugnazione sarebbero decorsi dal momento in cui la motivazione della decisione sarebbe stata messa a sua disposizione nella lingua a lui nota (Sez. 2, n. 53609 del 13/09/2016, COGNOME, Rv. 268611).
4. Corollario di queste riflessioni è, pertanto, l’infondatezza del complessivo motivo formulato, per cui si impone il rigetto del ricorso.
Segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30 ottobre 2018