Traduzione imputato: quando non è un obbligo per il giudice
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini del diritto dell’imputato detenuto a partecipare al giudizio d’appello. La questione centrale riguarda l’obbligo di disporre la traduzione imputato: è sempre necessario o grava sull’interessato un onere di comunicazione? La Suprema Corte, con una decisione che si pone in continuità con la giurisprudenza consolidata, ha stabilito che la volontà di partecipare deve essere espressa, altrimenti non sussiste alcuna nullità per la mancata presenza in aula.
I Fatti del Caso
Un imputato, condannato in primo grado con rito abbreviato, proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello. Il motivo principale del ricorso era la presunta nullità della sentenza di secondo grado per omessa traduzione. In sostanza, il ricorrente, essendo detenuto, sosteneva che il giudice d’appello avrebbe dovuto disporre d’ufficio il suo trasferimento in aula per consentirgli di partecipare all’udienza, e che la mancata adozione di tale provvedimento viziava l’intero procedimento.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio di diritto ormai consolidato: nel giudizio camerale d’appello, la presenza dell’imputato non è un requisito necessario per la validità del procedimento. Di conseguenza, non esiste un obbligo per il giudice di disporre automaticamente la sua traduzione.
Le Motivazioni: la traduzione imputato come onere
La Corte ha articolato le sue motivazioni chiarendo la natura del rito e gli oneri a carico delle parti.
Il Contesto del Rito Camerale e la Volontà di Partecipare
La pronuncia si sofferma sulla natura del giudizio d’appello che si svolge con rito camerale. Anche quando la difesa chiede la trattazione orale (convertendo il rito emergenziale ‘cartolare’ in un rito camerale ordinario), ciò non fa scattare automaticamente l’obbligo di traduzione. La Corte spiega che è onere dell’imputato detenuto, che intende partecipare fisicamente all’udienza, comunicare tale volontà e l’eventuale legittimo impedimento. Se questa comunicazione non avviene, il giudice non è tenuto a disporre la traduzione né a rinviare l’udienza. La partecipazione, quindi, è un diritto che deve essere attivato dall’interessato, non un dovere d’ufficio del magistrato.
Continuità con la Giurisprudenza Precedente
I giudici hanno sottolineato come questa interpretazione non sia una novità, ma sia in linea con precedenti decisioni, sia antecedenti che coeve al periodo dell’emergenza pandemica. Il principio è che la necessità della presenza dell’imputato nel rito camerale non è presunta. Questo orientamento è confermato anche dall’attuale formulazione dell’art. 599, comma 2, del codice di procedura penale. Di conseguenza, il ricorso è stato giudicato privo di fondamento giuridico.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
La decisione ha importanti implicazioni pratiche per la difesa. Stabilisce chiaramente che la difesa di un imputato detenuto non può rimanere passiva, ma deve attivarsi per garantire la sua partecipazione al processo d’appello. È fondamentale che l’imputato, tramite il suo difensore, manifesti esplicitamente e tempestivamente la volontà di essere presente in udienza. In caso contrario, una successiva doglianza per mancata traduzione imputato sarà destinata all’insuccesso, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso di specie.
In un giudizio d’appello con rito camerale, il giudice ha sempre l’obbligo di disporre la traduzione dell’imputato detenuto?
No. Secondo la Cassazione, la presenza dell’imputato in questo tipo di giudizio non è necessaria. Pertanto, il giudice non ha l’obbligo di disporne d’ufficio la traduzione.
Cosa deve fare l’imputato detenuto se vuole partecipare all’udienza d’appello?
È un onere dell’imputato stesso comunicare il proprio legittimo impedimento e la volontà di comparire all’udienza. In assenza di tale specifica comunicazione, il giudice non è tenuto a disporre il suo trasferimento.
La richiesta di trattazione orale da parte del difensore obbliga il giudice a disporre la traduzione dell’imputato?
No. La richiesta di trattazione orale trasforma il rito da ‘cartolare’ a camerale ordinario, ma non crea di per sé l’obbligo di traduzione dell’imputato, il quale deve comunque manifestare espressamente la volontà di partecipare.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33084 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33084 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 01/03/1986
avverso la sentenza del 28/01/2025 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; visto il ricorso di NOME
OSSERVA
Ritenuto che il ricorso con cui si deduce la nullità della sentenza per omessa traduzione del ricorrente è manifestamente infondato, dovendosi tenere fermo l’ormai consolidato principio di diritto secondo cui “nel vigore della disciplina emergenziale pandemica, l’istanza di trattazio orale formulata dal difensore nel procedimento d’appello avverso la sentenza emessa in primo grado in sede di giudizio abbreviato, determina la conversione del rito emergenziale “cartolare” in rito camerale ordinario, ma non anche l’obbligo di traduzione dell’imputato detenuto che non abbia espresso la volontà di partecipare all’udienza (Sez. 5, n. 3356 del 14/11/2024, dep. 2025, T., Rv. 287413); rilevato che la citata disciplina non diverge da quella già vigente in epo precedente (in tal senso, Sez. 2, n. 27245 del 02/05/2019, COGNOME, Rv. 276658, secondo cui “Nel giudizio camerate di appello avverso la sentenza pronunciata in esito a giudizio abbreviato, la presenza dell’imputato non è necessaria e, pertanto, è onere dello stesso, ove detenuto , comunicare il proprio legittimo impedimento e la volontà di comparire all’udienza, onde, in mancanza di tale comunicazione, il giudice non è tenuto a disporre la traduzione o a rinviare l’udienza”) ed è stata tenuta ferma anche con l’attuale previsione di c all’art. 599, comma 2, cod. proc. pen.;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 15/09/2025.