Traduzione imputato: non è un diritto per chi è in prova ai servizi sociali
L’obbligo di garantire la traduzione imputato in udienza sussiste solo se quest’ultimo si trova in stato di detenzione. Ma cosa succede se l’imputato sta scontando una pena attraverso una misura alternativa, come l’affidamento in prova ai servizi sociali? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 10300 del 2024, fa chiarezza su questo punto, stabilendo una netta distinzione tra detenzione effettiva e misure alternative.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello, presentava ricorso in Cassazione. L’unico motivo di doglianza era la presunta nullità derivata dalla mancata organizzazione del suo trasferimento per partecipare all’udienza di discussione. Al momento del processo d’appello, l’imputato si trovava in regime di affidamento in prova ai servizi sociali per un’altra causa. A suo dire, questa condizione avrebbe dovuto obbligare la Corte a disporre la sua traduzione per garantirgli il diritto di essere presente.
La Decisione della Corte di Cassazione sulla traduzione imputato
La Suprema Corte ha respinto categoricamente la tesi del ricorrente, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno chiarito che la misura dell’affidamento in prova ai servizi sociali non può essere in alcun modo equiparata a uno stato detentivo. Pertanto, il giudice della cognizione (in questo caso, la Corte d’Appello) non aveva né il potere né il dovere di disporre la traduzione imputato.
Le Motivazioni della Sentenza
Il cuore del ragionamento della Cassazione risiede nella natura giuridica delle misure alternative alla detenzione.
In primo luogo, si sottolinea che l’affidamento in prova è, per definizione, una misura alternativa alla detenzione, non una sua forma. L’imputato non si trova in uno stato di restrizione della libertà personale tale da impedirgli autonomamente di raggiungere il tribunale.
In secondo luogo, la Corte evidenzia come fosse onere specifico del ricorrente attivarsi per partecipare all’udienza. Poiché la sua libertà di movimento era soggetta alle prescrizioni del programma di affidamento, egli avrebbe dovuto interloquire con l’unica autorità competente in materia: il magistrato di sorveglianza. Spettava a quest’ultimo, e non al giudice del processo, valutare la richiesta e concedere le eventuali autorizzazioni necessarie per presenziare in aula.
Infine, i giudici hanno smontato i riferimenti giurisprudenziali citati dalla difesa, i quali riguardavano casi di imputati effettivamente detenuti per altra causa. In quelle circostanze, lo stato di detenzione impone al giudice di attivarsi per garantire la presenza dell’imputato. Nel caso di specie, invece, l’assenza di uno stato detentivo rende tali precedenti non pertinenti.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale del diritto processuale penale: i diritti e gli oneri delle parti processuali cambiano a seconda del loro status. Un imputato libero o sottoposto a misure alternative non detentive ha l’onere di essere diligente e di attivarsi personalmente per partecipare al proprio processo. Non può rimanere inerte e poi lamentare una violazione del diritto di difesa. La decisione chiarisce che la responsabilità di coordinare gli obblighi derivanti da una misura alternativa con la necessità di presenziare a un’udienza ricade interamente sull’interessato, che deve utilizzare gli strumenti corretti, dialogando con il magistrato di sorveglianza. Di conseguenza, i giudici del processo di cognizione sono esenti da qualsiasi obbligo di disporre il trasferimento di chi non si trova in carcere o agli arresti domiciliari.
Un imputato in affidamento in prova ai servizi sociali ha diritto alla traduzione per partecipare all’udienza?
No. Secondo l’ordinanza, l’affidamento in prova non è uno stato di detenzione, pertanto non sussiste un obbligo per il giudice della cognizione di disporre la traduzione (il trasferimento sotto scorta) dell’imputato.
Chi è responsabile di garantire la partecipazione all’udienza di un imputato in prova ai servizi sociali?
La responsabilità ricade sull’imputato stesso. Era suo onere interfacciarsi con il magistrato di sorveglianza, unico competente a gestire le modalità della sua misura alternativa, per ottenere il permesso di partecipare all’udienza.
Perché i precedenti giurisprudenziali citati dal ricorrente non sono stati considerati validi?
La giurisprudenza citata dal ricorrente riguardava casi di imputati effettivamente detenuti per altra causa. La Corte di Cassazione ha specificato che tali precedenti non sono applicabili al caso di specie, poiché l’affidamento in prova è una misura alternativa e non una forma di detenzione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10300 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10300 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PAVIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/03/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso – con cui si eccepisce la nullità derivata dalla mancata traduzione a cura della Corte di appello dell’imputato, onde consentire a quest’ultimo (affidato in prova ai servizi sociali, per altra causa), d partecipare all’udienza di discussione – è manifestamente infondato, dal momento che la suddetta misura alternativa alla detenzione non può essere qualificata come detenzione, di modo che, da un lato, era suo onere interloquire con il magistrato di sorveglianza (unico competente sul punto), e, dall’altro, che il giudice della cognizione non aveva il potere di disporre la traduzione, non sussistendo alcuno stato detentivo, a titolo definitivo o cautelare;
che la giurisprudenza citata dal ricorrente (Sez. U, n. 7635 del 30/09/2021, dep. 03/03/2022, COGNOME, Rv. 282806; Sez. U, n. 37483 del 26/09/2006, COGNOME, Rv. 234600) non è in termini, proprio in quanto ha ad oggetto la detenzione dell’imputato per altra causa;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 20 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente