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Traduzione atti giudiziari: quando è valida?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato straniero che lamentava la mancata traduzione di un’ordinanza di custodia cautelare nella sua lingua madre, il serbo. Il provvedimento era stato tradotto in inglese. La Corte ha stabilito che la traduzione è valida se l’indagato dimostra di comprendere la lingua utilizzata, come nel caso di specie, dove l’uomo aveva risposto puntualmente alle domande in inglese durante l’udienza di convalida. La valutazione di tale comprensione è un accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Traduzione atti giudiziari: quando la lingua diversa da quella madre è legittima?

La garanzia del diritto di difesa per un indagato straniero passa inevitabilmente attraverso la comprensione degli atti che lo riguardano. La questione della traduzione atti giudiziari è centrale per assicurare un processo equo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il caso di un’ordinanza cautelare tradotta in una lingua che, sebbene non fosse quella madre dell’indagato, era da lui compresa. Vediamo come la Suprema Corte ha risolto la questione.

I Fatti di Causa

Un cittadino di nazionalità serba veniva arrestato e sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere dal GIP del Tribunale di Catania. L’ordinanza che disponeva la misura veniva tradotta in lingua inglese. La difesa dell’indagato proponeva istanza di riesame, sostenendo la nullità del provvedimento proprio perché la traduzione era avvenuta in inglese, una lingua che, a dire della difesa, l’indagato non conosceva. Il Tribunale del riesame, tuttavia, rigettava la richiesta, confermando la detenzione.
Contro questa decisione, l’indagato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione, lamentando nuovamente la violazione del diritto di difesa per l’omessa traduzione dell’atto nella sua lingua madre, il serbo.

La questione della traduzione degli atti giudiziari e la decisione del riesame

Il nucleo del ricorso si basava su un presupposto fondamentale: l’effettiva incomprensione della lingua inglese da parte dell’indagato. Tuttavia, questo presupposto è stato smentito dal Tribunale del riesame. I giudici avevano analizzato la trascrizione dell’udienza di convalida dell’arresto, svoltasi in videoconferenza. Da tale verbale emergeva chiaramente che l’indagato, assistito da un interprete di lingua inglese, non solo comprendeva le domande, ma rispondeva con esattezza e puntualità.
Inoltre, il Tribunale ha sottolineato un altro aspetto cruciale: al momento del conferimento dell’incarico all’interprete per la traduzione dell’ordinanza in inglese, né l’indagato né il suo difensore avevano sollevato alcuna obiezione. Questo comportamento è stato interpretato come un’ulteriore conferma della sufficienza della lingua inglese per garantire la comprensione dell’atto.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato, condividendo pienamente il ragionamento del Tribunale del riesame. Secondo la Suprema Corte, il diritto alla traduzione degli atti non impone un’automatica corrispondenza con la lingua madre dell’indagato, ma mira a garantirne l’effettiva comprensione.

I giudici di legittimità hanno evidenziato come le argomentazioni del ricorrente si limitassero a proporre una valutazione alternativa dei fatti (sostenendo una conoscenza solo minima e insufficiente dell’inglese), un’operazione non consentita in sede di Cassazione. La Corte, infatti, non può riesaminare il merito della vicenda, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

La condotta processuale dell’indagato durante l’udienza di convalida è stata ritenuta un elemento di fatto decisivo, dal quale i giudici di merito hanno logicamente dedotto la sua capacità di comprendere l’inglese. Di conseguenza, la scelta di tradurre l’ordinanza in quella lingua è stata ritenuta legittima e non lesiva del diritto di difesa.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio importante in materia di traduzione atti giudiziari per gli indagati stranieri. Il diritto a comprendere gli atti processuali è pienamente tutelato quando la traduzione avviene in una lingua che l’indagato dimostra concretamente di conoscere, anche se non coincide con la sua lingua madre. La valutazione di tale conoscenza è un accertamento di fatto che spetta ai giudici di merito e che si basa su elementi oggettivi, come il comportamento tenuto dall’interessato nel corso del procedimento. Una volta che tale comprensione è stata accertata, non è possibile contestarla in Cassazione proponendo una semplice rilettura dei fatti.

È sempre necessario tradurre un atto giudiziario nella lingua madre dell’indagato straniero?
No, la sentenza chiarisce che la traduzione è valida se effettuata in una lingua che l’indagato dimostra di comprendere adeguatamente, anche se non è la sua lingua madre.

Come si determina se un indagato comprende una lingua diversa dalla sua lingua madre?
La valutazione si basa su elementi di fatto, come il comportamento dell’indagato durante l’udienza. Nel caso di specie, il fatto che l’indagato, assistito da un interprete, rispondesse con esattezza e puntualità alle domande poste in inglese è stato considerato prova sufficiente della sua comprensione.

È possibile contestare davanti alla Corte di Cassazione la valutazione del giudice sulla comprensione linguistica dell’indagato?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la valutazione sulla comprensione di una lingua da parte dell’indagato è un accertamento di fatto. Un ricorso in Cassazione non può proporre una mera valutazione alternativa dei fatti, ma deve basarsi su violazioni di legge, rendendo inammissibile una tale contestazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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