Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5856 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5856 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in IRAQ il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 31/05/2023 del TRIBUNALE DEL RIESAME di CATANZARO
fissato il ricorso per la trattazione con il rito cartolare non partecipato; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
dato avviso al difensore;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Catanzaro, in funzione di tribunale del riesame, ha rigettato la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di NOME COGNOME NOME avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro in data 10 marzo 2023 con la quale veniva applicata la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di concorso nel delitto di immigrazione clandestina aggravata e di associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina.
Ricorre NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, denunciando la violazione della legge processuale, in riferimento agli artt. 143, 178, 179 cod. proc. pen., e il vizio della motivazione con riguardo all’omessa traduzione dell’ordinanza pronunciata dal Tribunale del riesame nella lingua nota all’indagato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va premesso che il ricorso non contesta la avvenuta traduzione dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, ma si limita a denunciare che l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di riesame, con la quale è stata respinta l’istanza ex art. 309 cod. proc. pen., non è stata tradotta nella lingua dell’indagato, cittadino iracheno di origine curda, sicché lo stesso sarebbe posto nella condizione di non potersi difendere.
2.1. Sulla specifica questione posta dal ricorso la giurisprudenza di legittimità ha tradizionalmente affermato che «la mancanza di traduzione nella lingua nota all’indagato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, dell’ordinanza che rigetta la richiesta di riesame del provvedimento applicativo di una misura cautelare personale, non ne determina l’invalidità e comporta soltanto che i termini per l’eventuale ricorso per cassazione decorrono dal momento in cui l’indagato abbia effettiva conoscenza del contenuto dell’ordinanza» (Sez. 5, n. 10993 del 05/12/2019, Chanaa, Rv. 278883 – 01)
2.2. Recentemente, il massimo consesso giurisprudenziale ha affermato che «l’ordinanza di custodia cautelare personale emessa nei confronti di imputato o indagato alloglotta, ove sia già emerso che questi non conosca la lingua italiana,
è affetta, in caso di mancata traduzione, da nullità ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen. Ove non sia già emerso che l’indagato o imputato alloglotta non conosca la lingua italiana, l’ordinanza di custodia cautelare non tradotta emessa nei suoi confronti è valida fino al momento in cui risulti la mancata conoscenza di detta lingua che comporta l’obbligo di traduzione del provvedimento in un congruo termine; la mancata traduzione determina la nullità dell’ordinanza e della sequenza procedimentale che da essa trae origine, ai sensi dell’art. 178 lett. e) cod. proc. pen.» (notizia d decisione delle SU del 26/10/2023).
Premesso, quindi, che, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, la nullità riguarda unicamente il provvedimento applicativo della misura cautelare, ma non anche quello emesso in sede di riesame, deve prestarsi continuità al richiamato orientamento giurisprudenziale.
3.1. Per quanto concerne l’art. 143 cod. proc. pen., richiamato dal ricorrente, va sottolineato che il d.lgs. n. 32/2014 non ha inserito l’ordinanza del Tribunale del riesame nel catalogo delle ipotesi espressamente individuate nel comma 2, per le quali deve senz’altro ritenersi obbligatoria la traduzione nella lingua madre dell’imputato.
In effetti, l’ordinanza del tribunale resa ex art. 309 cod. proc. pen. non limita ab origine la libertà personale, ma costituisce una conferma processuale del provvedimento attraverso il quale siffatta limitazione venne determinata, sicché appare ragionevole la sua esclusione dal novero degli atti per i quali è obbligatoria la traduzione nella lingua del destinatario (Sez. 6, n. 50766 del 12/11/2014, Awoh, Rv. 261537; Sez. 1, n. 17905 del 19/01/2015, COGNOME, Rv 263318).
3.2. Non fa velo a quanto sopra chiarito la previsione dell’art. 143, comma 3, cod. proc. pen. che ammette l’individuazione di “altri” atti che, pur non rientrando espressamente nell’elenco del comma 2, siano ritenuti eventualmente su richiesta dell’imputato o del suo difensore, ma anche su iniziativa della stessa autorità procedente – essenziali alla conoscenza e alla comprensione delle accuse rivolte all’imputato.
Si tratta, in effetti, di atti rispetto ai quali è di volta in volta rimes giudice l’apprezzamento della necessità di traduzione, in quanto “ritenuti essenziali per consentire all’imputato di conoscere le accuse a suo carico”.
Nel caso in esame, tuttavia, nessuna specifica istanza è stata formulata dall’interessato al fine di rappresentare al giudice la necessità di provvedere alla traduzione della ordinanza in questione, per poter soddisfare quegli obiettivi di piena informazione e conoscenza la cui realizzazione lo stesso legislatore, significativamente, restringe nel perimetro delle sole “accuse” enucleate a carico dell’imputato (Sez. 1, COGNOME, cit.), accuse che, invece, erano state poste a conoscenza dell’indagato nella sua lingua con la traduzione dell’ordinanza genetica.
3.3. Oltre a ciò, deve rilevarsi che l’indagato ha conferito procura speciale in lingua italiana al proprio difensore, che ha sottoscritto il ricorso per cassazione, così mostrando di conoscere la lingua processuale e, comunque, di volere attribuire al proprio difensore e procuratore speciale i diritti processuali a medesimo spettanti.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 10 gennaio 2024.