Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3993 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3993 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME, nato in Gambia DATA_NASCITA avverso la sentenza del 16/2/2023 emessa dalla Corte di appello di Roma visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio o, via subordinata, il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello confermava la condanna del ricorrente in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso la sentenza in epigrafe indicata il ricorrente ha proposto quattro
motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione dell’art. 143 cod.proc.pen. per omessa traduzione della sentenza di primo grado, rappresentando che l’imputato, fin dal momento dell’arresto, dichiarava di parlare la lingua inglese, tant’è che l’udienza di convalida si svolgeva con l’assistenza di un interprete.
L’omessa traduzione della sentenza in lingua nota all’imputato veniva tempestivamente eccepita con l’appello ed immotivatamente ritenuta infondata, sul presupposto che l’imputato non avesse personalmente richiesto la traduzione.
Il ricorrente censura l’impostazione recepita dalla Corte di appello, evidenziando come la traduzione della sentenza sia un atto dovuto, in quanto direttamente finalizzato a garantire l’esercizio del diritto di difesa.
In tal senso deporrebbe non solo la direttiva eurounitaria (art.3 dir.2010/64/UE), ma anche l’art. 143 cod.proc.pen. che, al secondo comma, individua gli atti che vanno sempre tradotti (tra i quali sono ricomprese le sentenze), mentre al comma terzo prevede la possibilità che l’imputato possa richiedere la traduzione di “altri atti”, evidentemente diversi da quelli contemplati dal comma precedente.
2.2. Con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 143 cod.proc.pen. in relazione all’omessa traduzione dell’atto di citazione in appello, vizio che avrebbe cagionato – per effetto dell’invalidità derivata’ – la nullità dell’intero giudizi impugnazione e, quindi, anche della sentenza impugnata.
2.3. Con il terzo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del fatto, avendo la Corte di appello omesso di motivare sulle specifiche censure concernenti la ricostruzione della dinamica del fatto e l’effettivo ruolo svolto dall’imputato.
2.4. Con il quarto motivo, deduce la mancanza di motivazione in merito al diniego delle attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto alla recidiva contestata.
Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Il secondo motivo di ricorso, concernente l’omessa traduzione del decreto di citazione in appello, deve essere esaminato in via preliminare.
Occorre precisare che l’imputato ha tempestivamente eccepito (con i motivi
nuovi depositati per l’udienza del 16.2.2023 dinanzi alla Corte di appello) la nullità derivante dalla mancata traduzione del decreto di citazione in appello, senza che sul punto sia stata fornita alcuna adeguata motivazione nella sentenza impugnata.
Secondo l’orientamento più recente, l’omessa traduzione del decreto di citazione in appello all’imputato alloglotto che non comprende l’italiano integra una nullità di ordine AVV_NOTAIO a regime intermedio, andando ad incidere negativamente sul diritto alla partecipazione al giudizio (Sez.5, n. 20035 dell’1/3/2023, COGNOME, Rv.284515; conf., sia pur con riferimento al previgente tenore dell’art. 143 cod.proc.pen., Sez.4, n. 14174 del 28/10/2005, COGNOME, Rv. 233948; Sez.6, n. 44421 del 22/10/2015, COGNOME, Rv. 265026).
Peraltro, l’obbligo di traduzione degli atti in favore dell’imputato alloglotte, non irreperibile né latitante, sussiste, a pena di nullità ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen., anche nel caso in cui lo stesso abbia eletto domicilio presso il difensore, avendo quest’ultimo solo l’obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito ma non anche quello di procedere alla loro traduzione (Sez.1, n. 28562 dell’8/3/2022, Ali, Rv. 283355).
In senso difforme si sono espresse altre sentenze di questa Corte, secondo cui l’avviso di fissazione dell’udienza camerale nel giudizio di appello non deve obbligatoriamente essere tradotto nella lingua del destinatario quando questi sia uno straniero che non conosce la lingua italiana’ non contenendo il suddetto avviso alcun elemento di accusa, ma solo la data dell’udienza fissata per l’esame del gravame proposto dallo stesso imputato o dal suo difensore (Sez.2, n. 20394 del 7/4/2022, Ryad, Rv. 283227; Sez.6, n. 46967 del 4/11/2021, NOME, Ry.282388; Sez.5, n. 32251 del 26/1/2015, NOME, Ry.265301).
Le richiamate pronunce giungono a tale conclusione sul presupposto che il comma 2 dell’art. 143 cod. proc. pen., stabilisce che l’autorità procedente dispone la traduzione scritta, oltre agli altri atti ivi indicati, anche della «citazion giudizio», «negli stessi casi» di cui al comma 1 dello stesso art. 143. Quest’ultimo comma prevede il diritto dell’imputato, che non conosce la lingua italiana, di farsi assistere da un interprete «al fine di poter comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa».
Fatta tale premessa, si assume che il decreto di citazione per il giudizio di appello, diversamente dal decreto che dispone il giudizio di primo grado, contiene solo i requisiti funzionali all’individuazione dell’imputato, del procedimento e della data di trattazione del giudizio di appello, ma non contiene alcun elemento relativo all’accusa formulata contro l’imputato, che è a lui già nota.
2.1. La tesi restrittiva sopra riassunta non è condivisibile.
In primo luogo deve sottolinearsi come, in base all’interpretazione letterale dell’art. 143, commi 1 e 2, cod.proc.pen., assume rilievo il fatto che l’inciso «negli stessi casi l’autorità procedente dispone la traduzione scritta» è collocata all’inizio del comma 2, con la conseguenza che l’incipit deve essere riferito a tutti gli atti che, stando a tale previsione, devono essere obbligatoriamente tradotti, ivi comprese l’informazione di garanzia, le informazioni sul diritto di difesa e le sentenze, atti che non contengono la formulazione dell’accusa o, nel caso della sentenze, che conseguono alla notifica di atti con i quali l’accusa è stata già portata a conoscenza dell’imputato.
Quanto detto consente di affermare che l’incipit dell’ari:. 143, comma 2, cod.proc.pen. non delimita gli atti oggetto di traduzione con riferimento alla funzione di informare l’imputato sull’accusa mossa a suo carico, bensì richiama il presupposto AVV_NOTAIO per la traduzione degli atti e, cioè, la mancata conoscenza della lingua italiana.
Del resto, la previsione contenuta all’art. 143, comma 1, cod.proc.pen. non limita affatto la finalità della traduzione alla sola esigenza di consentire all’imputato la conoscenza dell’accusa, bensì contempla più in AVV_NOTAIO l’esigenza di garantire la consapevole partecipazione al procedimento e la conoscenza del significato degli atti adottati.
In quest’ottica, pertanto, è preferibile la tesi secondo cui anche il decreto di citazione in appello, emesso nei confronti di imputato del quale è stata già accertata la mancata conoscenza della lingua italiana, deve essere tradotto, posto che solo in tal modo si garantisce l’effettività della partecipazione e l’esplicazione della difesa, anche in forma diretta e personale, consentite in sede di appello.
La nullità conseguente all’accoglimento del motivo relativo all’omessa traduzione del decreto di citazione in appello, non esonera dall’esaminare l’ulteriore questione concernente l’obbligatorietà o meno della traduzione della sentenza di primo grado, in relazione alla quale la Corte di appello ha applicato il principio secondo cui in tema di omessa traduzione della sentenza pronunciata nei confronti di imputato alloglotto, la mancata proposizione personale della relativa eccezione da parte dell’imputato non può essere, in quanto atto personalissimo, surrogata dalla dichiarazione del difensore in udienza in presenza dell’interessato, non essendo possibile desumere dal silenzio ch questi l’assenso implicito a detta eccezione (Sez.7, n. 9504 del 6/12/2019, dep.2020, Abid, Rv. 278873; Sez. 2, n. 32057 del 21/06/2017, Rafik, Rv. 270327).
Secondo tale impostazione, spetterebbe in via esclusiva all’imputato alloglotto, e non al suo difensore, la legittimazione a rilevare la violazione
dell’obbligo di traduzione della sentenza, previsto dall’art. 143 cod. proc. pen. al fine di consentire a detto imputato, che non comprenda la lingua italiana, l’esercizio di un autonomo potere di impugnazione ex art. 571 dello stesso codice (Sez. 2, n. 32057 del 21/06/2017, Rafik, Rv. 270327; Sez.6, n. 35571 del 21/9/2011, Paheshti, Rv. 250877; Sez.3, n. 40616 del 5/6/2013, Rv.256934).
3.1. La soluzione sopra richiamata, invero, si è formata essenzialmente prima della modifica dell’art. 143 cod.proc.pen. concernente la previsione dell’obbligatoria traduzione della sentenza.
Si tratta di una conclusione che, alla luce dell’attuale quadro normativo, non è più condivisibile, posto che la violazione della disciplina processuale in merito alla traduzione degli atti – derivante dal mancato rispetto dell’obbligo di traduzione – rientra nella complessiva difesa tecnica attribuita, in via principale, al difensore dell’imputato.
Del resto, mal si comprende come potrebbe l’imputato, che non comprende la lingua italiana e al quale non è stata data traduzione della sentenza, dedurre personalmente la violazione dell’art. 143 c:od.proc.pen. La proposizione di eccezioni in senso tecnico, infatti, è attività propria del difensore, nè la richiesta d traduzione può configurarsi quale uno degli atti personalissimi che il codice di rito riserva alla parte, in quanto espressione di poteri dispositivi di diritti soggetti sottratti, in quanto tali, al potere di rappresentanza attribuito al difensore.
A supporto di tale soluzione, occorre in primo luogo evidenziare come, l’art. 143, cod.proc.pen., in attuazione delle previsioni contenute nella direttiva 2010/64/UE del Parlamento e del Consiglio del 20 ottobre 2010 sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, ha previsto, al comma 2, che il diritto dell’imputato alla traduzione scritta dei principali atti procedimento (fra i quali viene dal legislatore espressamente ricompresa la sentenza) è direttamente finalizzato a consentire il concreto esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa, ragion per cui il legislatore l’ha resa obbligatoria, no avendo introdotto alcun preventivo onere di richiesta della traduzione. Proprio in virtù della presunzione ope legis della necessità della traduzione, non è neppure richiesto che l’imputato eccepisca l’esistenza di un concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative, poiché esso, in realtà, è già presente in re ip.sa e permane fino alli adempimento dell’obbligo di traduzione dell’atto.
L’imputato che non ha ancora preso cognizione del contenuto del provvedimento, infatti, non è in grado di rappresentare correttamente al difensore le ragioni del pregiudizio eventualmente subito, né il difensore potrebbe sostituirlo in tale valutazione, dal momento che solo il diretto interessato è in condizione di dargliene conto e spiegarne compiutamente i motivi, allorquando abbia avuto la
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possibilità di esaminare il provvedimento, in ipotesi lesivo, e prenderne piena conoscenza nella lingua a lui nota (così in motivazione, Sez.6, n. 40556 del 21/9/2022, COGNOME, Rv. 283965).
Diversa la disciplina prevista, invece, all’art. 143, comma 3, cod.proc.pen. per gli atti diversi da quelli indicati al comma 2, rispetto ai quali è prevista la traduzion solo a richiesta dell’imputato.
Orbene, tale distinzione, letta congiuntamente all’espressa riconnprensione delle sentenze tra gli atti suscettibili di traduzione obbligatoria ex art. 143, comma 2, cod.proc.pen., consente di affermare che, nel caso di specie, la previsione normativa è stata violata, posto che non solo la traduzione non è stata disposta dal giudice di primo grado, ma tale vizio non è stato rimosso neppure dal giudice di appello, nonostante l’espressa sollecitazione in tal senso formulata dal difensore.
3.3. Una volta ritenuto che il difensore dell’imputato legittimamente ha eccepito l’omessa traduzione della sentenza, devono valutarsi le conseguenze di tale omissione.
La mancata traduzione della sentenza non integra un’ipotesi di nullità della sentenza, ma uno slittamento dei termini per impugnare, i quali, essendovi stata una specifica richiesta di traduzione ed una, parimenti specifica, disposizione al riguardo impartita dal giudice, decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione dell’imputato alloglotto nella lingua a lui comprensibile, sicché se ne possa logicamente inferire l’acquisizione di una effettiva conoscenza del contenuto (ex multís v. Sez. 2, n. 13697 del 11/03/2016, COGNOME, Rv. 266444; Sez. 2, n. 45408 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277775; Sez. 5, n. 22065 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279447; Sez. 1 n. 32504 del 19/5/2021, COGNOME, Rv. 281763; Sez.6, n. 40556 del 21/9/2022, COGNOME, Rv. 283965).
L’unica conseguenza derivante dalla mancata traduzione della sentenza, infatti, va ravvisata nel mancato decorso dei termini per l’impugnazione nei confronti del solo imputato, nei cui confronti il termine deve ritenersi ancora aperto, iniziando a decorrere a partire dalla effettiva conoscenza del contenuto del provvedimento non ancora tradotto, non essendovi alcun onere processuale di sollecitare l’espletamento dell’incombente non adempiuto ovvero di eccepire una lesione del diritto di difesa al fine di chiedere una successiva, non prevista, restituzione in termini in conseguenza dell’omessa traduzione dell’atto, una volta che il suo diritto ad ottenerne la traduzione sia stato, come nel caso di specie, ritualmente esercitato e positivamente delibato dal Giudice in relazione alla ricorrenza dei suoi presupposti giustificativi (così, in motivazione, (Sez.6, n. 40556
del 21/9/2022, COGNOME, Rv. 283965).
3.4. Deve segnalarsi un’isolata pronuncia secondo cui nel caso di mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato alloglotto, questi può richiedere, entro dieci giorni dalla scadenza del termine di impugnazione, la restituzione nel predetto termine correlato alla traduzione del provvedimento, con nuova decorrenza, in ogni caso, dal momento in cui la sentenza venga messa a disposizione dell’imputato nella lingua a lui comprensibile (Sez.2, n.22465 del 28/4/2022, Lucky, Rv. 283407).
Tale pronuncia riguardava un’ipotesi in cui la parte non aveva richiesto, né in primo, né in secondo grado, la traduzione della sentenza, sicchè la Corte ha ritenuto l’infondatezza del motivo di ricorso proposto solo in Cassazione.
Si tratta di una soluzione che, pur nell’apprezzabile tentativo di delimitare il tempo entro il quale l’omessa traduzione può essere fatta valere, pone problemi applicativi non agevolmente superabili. In primo luogo, non pare possibile ammettere una effettiva conoscenza della sentenza – dalla quale far iniziare il decorso del termine di 10 giorni per la rimessione in termini – se la sentenza non è mai stata tradotta. La richiamata sentenza ritiene sufficiente anche la mera comunicazione della sentenza non tradotta, ma in tal modo non si supera il problema della conoscenza meramente formale di un atto che, finchè non viene tradotto, non è suscettibile di comprensione da parte dell’imputato.
3.5. In conclusione, deve ritenersi che, a fronte di una tempestiva eccezione proposta dal difensore che, con l’atto di appello ha dedotto l’omessa traduzione, sarebbe stato onere della Corte provvedere all’incombente, attendendo la scadenza dell’ulteriore termine per l’impugnazione in favore dell’imputato, per poi procedere alla celebrazione del giudizio.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, deve disporsi l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, dovendosi procedere alla rinnovazione del giudizio previa traduzione della sentenza di primo grado e traduzione del decreto di citazione in appello. Nel giudizio di rinvio, salva restando l’eventuale proposizione dell’appello personale dell’imputato, dovrà essere nuovamente valutato anche l’appello proposto dal difensore, posto che la nullità della vocatio in iudicium ha determinato la nullità derivata anche della pronuncia resa sull’impugnazione ritualmente proposta dal difensore.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione
della Corte di appello di Roma. Così deciso il 30 novembre 2023
Il Consigliere estensore