Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8130 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 8130  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato il DATA_NASCITA in Romania avverso la sentenza del 10/01/2024 della Corte di appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME; sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procu generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte di appello di Messina ha dis la consegna, all’Autorità giudiziaria rumena, di NOME COGNOME esecuzione del mandato di arresto europeo processuale emesso il 15 dicembr 2023 in relazione a diversi reati (lesioni, violazione di domicilio, perco materia di stupefacenti, accesso abusivo a sistemi informatici), con rinvio consegna all’espiazione della pena che l’estradando sta scontando in Itali rapina.
Avverso la sentenza propone ricorso NOME NOME, tramite il proprio difensore, deducendo due motivi.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in quanto il mandato di arresto europeo non è stato tradotto in lingua italiana tanto da non consentire l’espletamento del mandato difensivo e l’accertamento di eventuali cause ostative alla consegna di NOME NOME.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in quanto tutti gli atti relati all’arresto e alla misura cautelare (l’ordinanza di convalida dell’arresto, la misura cautelare, la fissazione dell’udienza, il rigetto della richiesta di sostituzione) e presente sentenza sono state redatte in italiano e non in rumeno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Il primo motivo di ricorso, che censura la mancata traduzione del mandato di arresto europeo in lingua italiana, è inammissibile per genericità.
L’art. 6 della I. n. 69 del 2005 stabilisce che il mandato di arresto europeo deve essere tradotto in lingua italiana purchè non vi siano atti equipollenti che, invece, lo siano.
Il ricorrente non solo non ha posto l’eccezione dinnanzi alla Corte di appello, limitandosi a provvedervi tardivamente solo in questa sede, ma non ha neanche rappresentato se nel presente processo mancassero atti equipollenti al MAE tali da rendere la questione priva di rilievo.
A ciò si aggiunge che l’obbligo di usare la lingua italiana di cui all’art.109 cod. proc. pen. si riferisce agli atti da compiere nel procedimento, non agli atti già formati da acquisire al processo, quale deve ritenersi il MAE, e, comunque, è onere della parte interessata indicare ed illustrare le ragioni che rendono plausibilmente utile la traduzione dell’atto nonché il pregiudizio concretamente derivante dalla mancata effettuazione della stessa (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261111).
 Il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
In ragione del vizio denunciato, questa Corte ha esaminato gli atti dai quali è risultato che il ricorrente conosce la lingua italiana (pag. 2 del verbale di arresto ulteriormente comprovata dalla circostanza che l’esigenza della traduzione in rumeno non fosse stata mai avanzata né nel presente procedimento, né in quello che aveva condotto all’ emissione della sentenza di condanna per rapina per la quale NOME si trova in espiazione pena in Italia.
Ne consegue l’inapplicabilità, nella specie, dell’invocato art. 143 cod. proc. pen. che stabilisce il diritto alla traduzione soltanto per l’imputato che non conosca la lingua italiana e ne faccia espressa e motivata richiesta (Sez. 6, n.6560 del 14/02/2023, Rv. 284208) e comunque la relativa questione non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità.
Alla stregua di tali argomenti il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge n. 69 del 2005.
Così deciso il 22/02/2024