Traduzione Atti Condannato Straniero: Non un Diritto Automatico ma un Onere della Difesa
Nel contesto della procedura penale, la tutela dei diritti dell’imputato o del condannato che non comprende la lingua italiana è un principio cardine. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini e le modalità di esercizio di tale diritto, soprattutto nella fase esecutiva. La questione centrale riguarda la traduzione atti condannato: è un obbligo automatico del giudice o una prerogativa che la difesa deve attivare? L’ordinanza in esame sposta l’ago della bilancia verso la seconda ipotesi, ponendo un onere specifico sull’interessato.
I fatti del caso
Il caso trae origine da un’ordinanza della Corte di Appello di L’Aquila che, in qualità di Giudice dell’esecuzione, aveva revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena a un cittadino straniero. Tale beneficio era stato concesso in una precedente sentenza del 2019. La revoca si è resa necessaria perché il condannato aveva commesso un nuovo delitto nel 2021, per il quale era stato condannato nel 2023.
Avverso questa decisione, il difensore del condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un vizio procedurale fondamentale: l’omessa traduzione, in una lingua a lui nota, sia dell’ordinanza di revoca sia degli altri atti del procedimento di esecuzione. Secondo la difesa, questa mancanza avrebbe leso il diritto del suo assistito a comprendere appieno la vicenda processuale che lo riguardava.
La questione giuridica: il diritto alla traduzione atti condannato è assoluto?
Il cuore della controversia non risiede nel merito della revoca della sospensione condizionale, ma in una questione prettamente procedurale. Il ricorso solleva un quesito di notevole importanza pratica: il diritto di un condannato straniero a ricevere la traduzione degli atti è un obbligo che il giudice deve adempiere d’ufficio in ogni caso, oppure è un diritto che deve essere specificamente richiesto dalla difesa? La Corte di Cassazione è stata chiamata a definire i contorni di questa garanzia difensiva nella fase di esecuzione della pena, una fase successiva alla sentenza di condanna definitiva.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione chiara e basata su un principio di diritto già consolidato. Gli Ermellini hanno stabilito che, nel procedimento di esecuzione, il diritto del condannato straniero a un interprete o alla traduzione atti condannato è funzionale a un preciso scopo: permettergli di comunicare efficacemente con il proprio difensore per presentare richieste, memorie o istanze al giudice.
Di conseguenza, non si tratta di un diritto automatico. Grava sull’interessato, e per esso sul suo difensore, l’onere di formulare una ‘apposita richiesta’ al giudice dell’esecuzione, evidenziando concretamente tale ‘necessità’. Nel caso di specie, la difesa non ha mai presentato una richiesta specifica e tempestiva in tal senso.
Inoltre, la Corte ha specificato che l’eventuale omissione della traduzione integra una ‘nullità a regime intermedio’. Questo significa che non è una nullità assoluta e insanabile, ma un vizio che deve essere eccepito dalla difesa entro termini precisi. Poiché tale eccezione non è stata sollevata nei tempi e modi dovuti durante il procedimento di esecuzione, la presunta irregolarità si è sanata. Il ricorso, pertanto, è stato giudicato inammissibile.
Conclusioni
La decisione della Cassazione rafforza un principio di auto-responsabilità processuale della difesa. Il diritto alla comprensione degli atti per il condannato straniero è sacrosanto, ma il suo esercizio richiede un’attivazione esplicita. La difesa non può rimanere passiva e lamentare solo a posteriori la mancata traduzione. Deve, invece, rappresentare tempestivamente al giudice la necessità del proprio assistito, formulando una richiesta formale. Questa pronuncia serve da monito: le garanzie processuali esistono per essere esercitate attivamente e non possono essere invocate come espedienti tardivi per rimettere in discussione decisioni divenute definitive. La conseguenza per il ricorrente è stata la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Un condannato che non parla italiano ha sempre diritto alla traduzione degli atti nel procedimento di esecuzione?
No, secondo la Corte questo diritto non è automatico. È funzionale alla comunicazione con il difensore e deve essere attivato tramite una specifica e motivata richiesta al giudice dell’esecuzione da parte dell’interessato o del suo legale.
Cosa succede se il giudice non provvede alla traduzione degli atti?
L’omessa traduzione degli atti costituisce una ‘nullità a regime intermedio’. Questo significa che per far valere il vizio, la difesa deve sollevare un’eccezione entro specifici termini procedurali. Se l’eccezione non viene presentata tempestivamente, il vizio si considera sanato.
Qual è l’onere della difesa in questi casi?
La difesa ha l’onere di richiedere formalmente e tempestivamente la nomina di un interprete o la traduzione degli atti, dimostrando al giudice la concreta necessità per il proprio assistito di comprendere gli atti al fine di esercitare efficacemente il proprio diritto di difesa nel procedimento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31722 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31722 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/02/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di L’Aquila, in funzione di Giudice dell’esecuzione, ha revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena, che era stato accordato a NOME COGNOME con sentenza della medesima Corte di appello del 29/11/2019, per aver egli commesso un ulteriore delitto nel mese di ottobre 2021, riportando una nuova condanna in data 10/01/2023.
AVV_NOTAIO, difensore del condannato, impugna tale provvedimento, dolendosi della omessa traduzione in lingua nota al condannato dell’ordinanza e degli atti del procedimento di esecuzione.
Il ricorso è inammissibile. Questa Corte ha infatti fissato il seguente principio di diritto: «In tema di procedimento di esecuzione nei confronti di condannato alloglotta, il diritto di quest’ultimo alla nomina di un interprete o alla traduzione degli atti è funzionale alle comunicazioni con il difensore finalizzate alla presentazione di richieste o memorie nel corso del procedimento, sicché grava sull’interessato l’onere di formulare apposita richiesta al giudice dell’esecuzione, evidenziando tale necessità» (Sez. 1, n. 34866 del 12/05/2021, NOME, Rv. 281893).
Nel caso di specie non risulta – né la difesa lo ha dedotto o documentato nell’atto di impugnazione – tale specifica e tempestiva richiesta.
Giova anche precisare, infine, come la omessa traduzione degli atti in lingua nota al condannato possa integrare, per costante giurisprudenza, una nullità a regime intermedio (fra tante, si veda Sez. 5, n. 48102 del 15/09/2023, COGNOME NOME, Rv. 285486 – 02); la relativa eccezione, nella concreta vicenda, non risulta esser stata dedotta dalla difesa, entro i termini dovuti.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2024.