Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30251 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30251 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a ROMA il 09/10/1977
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma del 13/12/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza rinvio in relazione al secondo motivo e per il rigetto, nel resto, del ricorso.
v
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata del 13 dicembre 2024, la Corte di appello di Roma ha confermato la decisione del tribunale in sede del 19 dicembre 2023, con la quale NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato di furto aggravato.
Avverso la sentenza indicata della Corte d’appello di Roma ha proposto ricorso, con atto a firma del difensore, Avvocato NOME COGNOME l’imputo, affidando le proprie censure a due motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, deduce vizio della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, sia per il riferimento a censure non proposte, sia per il mero utilizzo di formule di stile nella reiezione del motivo d’appello.
2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge in riferimento alla statuizione di condanna alla rifusione alla parte civile delle spese del grado, avendo quest’ultima depositato le conclusioni scritte intempestivamente.
Con requisitoria tempestivamente depositata, il sostituto Procuratore generale presso questa Corte ha concluso per l’annullamento senza rinvio con riferimento al secondo motivo e per il rigetto nel resto.
Con memoria del 7 luglio 2025, il difensore ha rassegnato le proprie conclusioni, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo.
Il primo motivo è proposto fuori dei casi previsti dalla legge ed è, comunque, aspecifico.
1.1. Oltre alla formulazione intrinsecamente oscura della censura, va rilevato come l’appello proposto dal COGNOME afferiva alla sola misura della pena irrogata, con richiesta di riduzione entro i limiti del minimo edittale.
Al riguardo, al fine di decidere sulla richiesta di revisione del trattamento sanzionatorio, la Corte di merito ha argomentato su tutti gli elementi in grado di incidere sulla misura della pena, concordando motivatamente con le determinazioni
del primo giudice, in ragione della gravità della condotta e del non modesto danno patrimoniale cagionato, dell’intensità del dolo, nonché della spiccata capacità criminale dell’imputato; per contro, non risulta dedotto nel ricorso quale positivo indicatore, specificamente prospettato nell’atto d’appello, sarebbe rimasto, invece, ignorato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01).
Tanto basta a qualificare come inammissibile già il motivo d’appello e, dunque, la correlativa censura proposta nel ricorso.
2. Il secondo motivo è, invece, fondato.
2.1. L’art. 23-bis, comma 2, del dl. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prevede che: entro il decimo giorno precedente l’udienza, il pubblico ministero rassegna le conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica o a mezzo dei sistemi che sono resi disponibili e individuati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati; la cancelleria invia l’atto immediatamente, per via telematica, ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l’udienza, possono presentare le conclusioni con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica.
Come osservato dal Procuratore generale nella requisitoria, la (tendenziale) “cartolarizzazione” del giudizio di secondo grado, introdotta dalla disciplina emergenziale di contrasto alla pandemia, si è consolidata nell’ordinamento processuale (già Sez. 5, n. 24953 del 10/5/2021, Garcia, Rv. 281414-01, aveva sottolineato la «chiara finalità di alleggerimento del sistema complessivo di deposito degli atti giudiziari, comprese le impugnazioni, una “dematerializzazione” del sistema di deposito anche degli atti di impugnazione»).
2.2. L’art. 598-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 34, co. 1, lett. c) del D.Lg 10 ottobre 2022 n. 150 ed applicabile ratione temporis, ha riprodotto la medesima scansione temporale, prevedendo, al primo comma, che «1. La corte provvede sull’appello in camera di consiglio. Se non è diversamente stabilito e in deroga a quanto previsto dall’articolo 127, essa giudica sui motivi, sulle richieste e sulle memorie senza la partecipazione delle parti. Fino a quindici giorni prima dell’udienza, il procuratore generale presenta le sue richieste e tutte le parti possono presentare motivi nuovi, memorie e, fino a cinque giorni prima, memorie di replica. Il provvedimento emesso in seguito alla camera di consiglio è depositato in cancelleria al termine dell’udienza. Il deposito equivale alla lettura in udienza ai fini di c all’articolo 545».
2.3. Questa Corte ha affermato – con riferimento al giudizio di appello celebrato nelle forme di cui all’art. 23-bis, comma 2, del dl. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, ma con argomentazioni tuttora condivise – che nel rito a trattazione scritta i termini per il deposito del conclusioni delle parti, pur in mancanza di espressa indicazione, devono ritenersi perentori, essendo imprescindibilmente funzionali a consentire il corretto dispiegarsi del contraddittorio, sicché il deposito tardivo esime il giudice dal tenere conto delle conclusioni ai fini della decisione (Sez. 6, n. 22919 del 24/04/2024, P. Rv. 286664 01 in fattispecie relativa ad inosservanza del termine per il deposito delle conclusioni del procuratore generale presso la Corte di Appello; Sez.6, n. 18483 del 29/3/2022, COGNOME, Rv. 283262).
Si è, al riguardo, sottolineato come i termini indicati nella norma richiamata debbano ritenersi senz’altro perentori atteso che, diversamente opinando, il deposito tardivo di uno di tali atti si rifletterebbe negativamente sul pieno dispiegarsi del contraddittorio.
Tale soluzione non si pone, peraltro, in contrasto con il principio generale delineato dall’art. 173, comma 1, cod. proc. pen. secondo cui i termini si considerano stabiliti a pena di decadenza solo nei casi previsti dalla legge. Invero, la perentorietà del termine può derivare non solo dall’uso di specifiche formule normative, ma ben può essere insita nella funzione tipica dell’atto, il cui utile compimento deve necessariamente avvenire entro i tempi dettati dalla normativa codicistica.
Ne consegue che le memorie e le produzioni difensive depositate in violazione del rispetto dei termini di quindici e cinque giorni “liberi” prima dell’udienza, devono considerarsi tardive e, pertanto, non possono essere prese in considerazione, neppure ai fini della liquidazione delle spese. (Sez.4 n.10022/2025 del 6/02/2025; Sez. 6, n. 22919 del 24/04/2024).
Nel caso in rassegna, le conclusioni della costituita parte civile, così come l’istanza di liquidazione, sono state depositate via pec in data 10 dicembre 2024 per l’udienza del 13 dicembre successivo, e, dunque, oltre il termine perentorio di cinque giorni, e non potevano, pertanto, essere prese in considerazione.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, la relativa statuizione deve essere eliminata e la sentenza impugnata annullata senza rinvio, limitatamente alla liquidazione delle spese in favore della parte civile.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, statuizio
elimina. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 luglio 2025.