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Termini impugnazione: tardività e sorveglianza speciale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un decreto che applicava la sorveglianza speciale. L’appello era stato presentato oltre i 10 giorni previsti dalla legge, termine che decorre dalla notifica personale del provvedimento, anche se l’interessato risiede all’estero. La Cassazione ha confermato la perentorietà dei termini impugnazione sorveglianza speciale, ritenendo infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Termini Impugnazione Sorveglianza Speciale: la Cassazione conferma la linea dura sulla tardività

I termini impugnazione sorveglianza speciale rappresentano un aspetto cruciale e rigoroso della procedura di prevenzione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza un principio fondamentale: il termine di dieci giorni per appellare un decreto applicativo di tale misura è perentorio e decorre dalla notifica personale, senza che la residenza all’estero del destinatario possa costituire una valida giustificazione per un ritardo. Questa decisione sottolinea l’importanza della tempestività nell’agire processuale e chiarisce i limiti del diritto di difesa di fronte a scadenze legislative precise.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva raggiunto da un decreto che applicava nei suoi confronti la misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Durante la fase iniziale del procedimento, essendo stato dichiarato irreperibile, era stato assistito da un difensore d’ufficio, il quale non aveva proposto appello contro la decisione. Successivamente, il decreto veniva notificato personalmente all’interessato presso il Consolato generale d’Italia a Lugano, in Svizzera. Ricevuta la notifica il 30 gennaio, il soggetto nominava un avvocato di fiducia il 20 febbraio e presentava appello il 22 febbraio.

La Corte di Appello di Brescia dichiarava l’impugnazione inammissibile per tardività, sostenendo che il termine di dieci giorni per proporre appello fosse scaduto il 9 febbraio. Contro questa decisione, l’interessato ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione del diritto di difesa, soprattutto in considerazione della sua residenza all’estero, e sollevando dubbi sulla legittimità costituzionale di un termine così breve.

La Decisione della Corte e i termini per l’impugnazione

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici hanno confermato la correttezza della decisione della Corte territoriale, stabilendo che l’appello era stato proposto ben oltre il termine perentorio di dieci giorni fissato dalla legge.

La Corte ha specificato che questo termine decorre inesorabilmente dal momento della comunicazione o notificazione del provvedimento. Nel caso specifico, la notifica era avvenuta a mani proprie il 30 gennaio 2023, facendo scattare un conto alla rovescia che si era concluso il 9 febbraio 2023. Di conseguenza, l’appello depositato il 22 febbraio era irrimediabilmente tardivo.

Le motivazioni

Il Collegio ha basato la propria decisione su argomenti chiari e consolidati. In primo luogo, ha ribadito la natura perentoria del termine di dieci giorni stabilito dall’art. 10 del D.Lgs. 159/2011. Questo significa che la sua scadenza comporta la decadenza dal diritto di impugnare, senza possibilità di sanatorie. La Corte ha sottolineato che la residenza all’estero del ricorrente è una circostanza di fatto irrilevante ai fini del calcolo dei termini processuali.

In secondo luogo, la Cassazione ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa. Secondo i giudici, la previsione di un termine di dieci giorni per l’impugnazione rientra pienamente nella discrezionalità del legislatore, il quale può stabilire i tempi e i modi per l’esercizio dei diritti processuali, purché non lo faccia in modo irragionevole. In questo contesto, il termine non è stato ritenuto lesivo del diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Costituzione.

Le conclusioni

La sentenza in esame offre importanti implicazioni pratiche. Anzitutto, conferma la rigidità dei termini impugnazione sorveglianza speciale: chiunque riceva la notifica di un provvedimento di questo tipo deve agire con la massima celerità. In secondo luogo, chiarisce che circostanze personali, come la residenza in un altro Stato, non possono essere invocate per ottenere una proroga o una rimessione in termini. La legge non prevede eccezioni in tal senso. Infine, la decisione consolida l’orientamento secondo cui la fissazione di termini processuali, anche se brevi, è una prerogativa del legislatore che, se non palesemente irragionevole, non può essere messa in discussione sotto il profilo della costituzionalità. Per il ricorrente, l’esito è stato la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende, a causa della colpa ravvisata nella determinazione della causa di inammissibilità.

Da quando decorre il termine di 10 giorni per impugnare un decreto di sorveglianza speciale notificato a una persona residente all’estero?
Risposta: Il termine di 10 giorni decorre dal momento della notifica personale del provvedimento all’interessato, anche se questa avviene all’estero, come nel caso di notifica presso un consolato. La residenza all’estero non modifica il punto di partenza del termine.

Il termine di 10 giorni per l’appello è considerato derogabile (non perentorio)?
Risposta: No, la sentenza ribadisce che il termine di 10 giorni previsto dall’art. 10 del d.lgs. 159/2011 ha natura perentoria. Ciò significa che una volta scaduto, non è più possibile proporre validamente l’impugnazione.

La brevità del termine per l’appello viola i diritti della difesa, specialmente per chi vive all’estero?
Risposta: Secondo la Corte di Cassazione, il termine di dieci giorni non viola i diritti della difesa né la Costituzione. Rientra nell’esercizio non irragionevole della discrezionalità del legislatore nel fissare i termini processuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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