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Termini impugnazione patteggiamento: la Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un Procuratore Generale contro una sentenza di patteggiamento. La decisione si fonda sul mancato rispetto dei termini impugnazione patteggiamento, fissati in quindici giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza. Il caso sottolinea l’importanza inderogabile delle scadenze processuali, anche a fronte di presunte illegalità della pena.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Termini impugnazione patteggiamento: la perentorietà delle scadenze

Nel processo penale, il rispetto delle scadenze è un principio cardine che garantisce certezza e stabilità giuridica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza questo concetto, chiarendo i termini impugnazione patteggiamento e le conseguenze del loro mancato rispetto. Anche di fronte a un’eccezione potenzialmente fondata sull’illegalità della pena, un ricorso tardivo è destinato a essere dichiarato inammissibile, senza alcuna possibilità di esame nel merito. Analizziamo la vicenda per comprendere la logica della Suprema Corte.

I fatti del caso

La questione nasce da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Brescia, con cui un imputato veniva condannato per tentata rapina impropria a una pena di undici mesi di reclusione e 400 euro di multa, con concessione della sospensione condizionale.

Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello decideva di impugnare tale sentenza, ritenendo la pena illegale. Secondo la Procura, la sospensione condizionale avrebbe dovuto essere subordinata all’adempimento di specifici obblighi, come previsto dall’art. 165, comma 2, del codice penale, poiché l’imputato aveva già beneficiato in passato di tale misura per un precedente delitto.

La questione cruciale: i termini impugnazione patteggiamento

Nonostante il motivo del ricorso sollevasse una questione di legittimità della pena, la difesa dell’imputato ha sollevato un’eccezione preliminare dirimente: la tardività del ricorso stesso. È su questo punto che si è concentrata la decisione della Corte di Cassazione.

La normativa di riferimento è l’articolo 585 del codice di procedura penale, che stabilisce un termine di quindici giorni per impugnare le sentenze emesse in seguito a un procedimento in camera di consiglio, come avviene per il patteggiamento. Il punto di partenza per il calcolo di questo termine (il cosiddetto dies a quo) è la comunicazione del deposito della sentenza alla parte che intende impugnare.

Nel caso specifico:
– La sentenza è stata deliberata il 22/06/2023.
– Il suo deposito è avvenuto il 04/07/2023.
– La comunicazione al Procuratore Generale è stata effettuata il 17/02/2024.
– Il ricorso è stato presentato presso la cancelleria del Tribunale il 06/03/2024.

Contando i giorni dal 17 febbraio al 6 marzo, è evidente che il termine di quindici giorni era ampiamente superato. La Corte ha inoltre precisato che il deposito del ricorso presso la segreteria interna della Procura, avvenuto il 1° marzo, è un atto irrilevante ai fini del rispetto dei termini processuali, poiché l’unico atto valido è la presentazione presso la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento.

La decisione della Corte di Cassazione

Basandosi su queste premesse, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del Procuratore Generale inammissibile per tardività.
La Corte ha richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale, incluse sentenze delle Sezioni Unite, secondo cui il termine per l’impugnazione della sentenza di patteggiamento è sempre di quindici giorni, anche qualora il giudice abbia irritualmente disposto un termine più lungo per il deposito delle motivazioni. La natura stessa del patteggiamento, basata sull’accordo tra le parti, non richiede infatti una motivazione complessa.

La tardività del ricorso è una causa di inammissibilità che impedisce al giudice di esaminare il merito della questione. Pertanto, la presunta illegalità della pena non è stata neppure valutata.

Le motivazioni e le conclusioni

Le motivazioni della Suprema Corte sono radicate nel principio della certezza del diritto e della perentorietà dei termini processuali. Consentire impugnazioni tardive, anche se basate su motivi apparentemente fondati, minerebbe la stabilità delle decisioni giudiziarie e creerebbe incertezza. Il termine di quindici giorni è stabilito dalla legge in modo chiaro e non ammette deroghe. La Corte ha sottolineato che questo termine decorre dall’ultima notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito, indipendentemente da eventuali irregolarità nella tempistica di redazione della sentenza da parte del giudice di primo grado.

In conclusione, questa ordinanza offre un importante monito a tutti gli operatori del diritto: la massima attenzione ai termini processuali è un prerequisito fondamentale per la tutela dei propri diritti e interessi. Un errore procedurale, come il deposito tardivo di un’impugnazione, può vanificare anche le argomentazioni giuridiche più solide, rendendo la decisione di primo grado definitiva e non più contestabile. La forma, nel diritto processuale, è essa stessa sostanza.

Qual è il termine per impugnare una sentenza di patteggiamento?
Il termine per impugnare una sentenza di patteggiamento, emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., è di quindici giorni, come stabilito dall’art. 585, comma 1, lett. a), del codice di procedura penale.

Da quando decorre il termine di quindici giorni per l’impugnazione?
Il termine decorre dall’ultima notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza alla parte che intende impugnare. La data in cui l’atto viene depositato presso gli uffici interni della parte (come la segreteria della Procura) è irrilevante.

Cosa succede se un ricorso viene presentato oltre i termini stabiliti?
Un ricorso presentato oltre i termini previsti dalla legge viene dichiarato inammissibile. Questa dichiarazione impedisce alla Corte di esaminare il merito della questione, anche se i motivi del ricorso potrebbero essere fondati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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