Termini di Impugnazione: Nessuna Proroga per chi Sceglie il Rito Abbreviato
Nel processo penale, il rispetto dei tempi è un pilastro fondamentale che garantisce certezza e ordine. I termini di impugnazione, in particolare, rappresentano una scadenza perentoria entro cui esercitare il diritto di contestare una decisione giudiziaria. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’importante lezione su come questi termini vengano applicati, specialmente in relazione alla scelta del rito processuale.
Il Caso in Analisi: un Ricorso Presentato Fuori Termine
La vicenda trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Catania. La decisione di secondo grado era stata emessa il 21 gennaio 2025 e le motivazioni depositate ritualmente entro i 15 giorni successivi. Di conseguenza, il termine ultimo per proporre ricorso in Cassazione scadeva il 7 marzo 2025.
Tuttavia, l’atto di impugnazione veniva depositato solo il 15 marzo 2025, ben otto giorni dopo la scadenza. Questo ritardo ha posto la Corte di Cassazione di fronte a una valutazione preliminare cruciale: il ricorso poteva essere esaminato nel merito o doveva essere dichiarato immediatamente inammissibile per tardività?
La Decisione della Corte e i termini di impugnazione
La Suprema Corte non ha avuto dubbi. Con una decisione de plano, ovvero senza la necessità di un’udienza pubblica, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La ragione è semplice e si fonda su un’interpretazione rigorosa delle norme procedurali che regolano i termini di impugnazione.
La difesa del ricorrente non poteva invocare alcuna proroga o giustificazione per il ritardo, poiché le condizioni previste dalla legge non erano applicabili al suo caso specifico. La conseguenza diretta dell’inammissibilità è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Le Motivazioni: Perché il Rito Abbreviato Esclude lo Stato di Assenza
Il punto centrale della decisione risiede nell’analisi dell’articolo 585, comma 1-bis, del codice di procedura penale. Questa norma prevede un aumento dei termini per impugnare a favore dell’imputato giudicato in assenza. Lo scopo è quello di fornire una tutela rafforzata a chi non ha partecipato attivamente al processo e potrebbe non aver avuto tempestiva conoscenza della sentenza.
Nel caso di specie, però, il ricorrente era stato giudicato in primo grado con il rito abbreviato. La scelta di questo rito speciale è, per sua natura, incompatibile con la condizione di ‘assente’ in senso tecnico-giuridico. Il rito abbreviato, infatti, presuppone una richiesta esplicita dell’imputato, che partecipa così attivamente al processo o, quantomeno, manifesta la volontà di essere giudicato sulla base degli atti esistenti, rinunciando al dibattimento. Pertanto, chi sceglie il rito abbreviato non può essere considerato ‘assente’ e, di conseguenza, non ha diritto alla proroga dei termini di impugnazione prevista dalla legge. La Corte ha quindi concluso che il termine era scaduto improrogabilmente il 7 marzo, rendendo tardiva l’impugnazione successiva.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa
Questa ordinanza ribadisce un principio procedurale di fondamentale importanza: le scelte difensive, come quella di optare per un rito alternativo, hanno conseguenze dirette e irrevocabili su altri aspetti del processo, inclusi i termini per l’esercizio dei diritti. La decisione di accedere al rito abbreviato, sebbene possa comportare vantaggi come lo sconto di pena, preclude la possibilità di beneficiare di tutele pensate per situazioni processuali differenti, come quella dell’assenza. Per gli avvocati e i loro assistiti, ciò si traduce nella necessità di un’attenzione massima e inderogabile al calendario processuale, poiché il mancato rispetto di una scadenza può compromettere definitivamente l’esito di una vicenda giudiziaria.
Quando un ricorso in Cassazione viene considerato tardivo?
Un ricorso è tardivo quando viene depositato dopo la scadenza del termine perentorio stabilito dalla legge. Nel caso esaminato, il termine scadeva il 7 marzo 2025, ma il ricorso è stato presentato il 15 marzo 2025.
Perché all’imputato non è stata concessa la proroga dei termini di impugnazione?
La proroga dei termini prevista dall’art. 585, comma 1-bis c.p.p. è riservata all’imputato dichiarato assente. Poiché il ricorrente era stato giudicato in primo grado con rito abbreviato, una procedura che implica la sua partecipazione o la volontaria rinuncia a comparire, non poteva essere considerato assente e quindi non aveva diritto a tale beneficio.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile per tardività, la Corte non esamina le ragioni di merito. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in denaro, in questo caso 3.000 euro, a favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33918 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33918 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 07/07/2025
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avven:io GLYPH del 21/01/2025 della CORTE APPELLO di CATANIA
udita ‘èii i – GLYPH z.c, i-. -e. ‘., ,-)Ita dal Consigliere NOME COGNOME NOME;
7
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe; esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile perché proposto tardivamente il 15 marzo 2025 quando il termine per impugnare nel caso (sentenza decisa il 21 gennaio 2025 con gg. 15 per il deposito della motivazione, avvenuto ritualmente) scadeva il 7 marzo 2025, non potendosi applicare nella specie l’aumento di cui all’art. 585 comma 1-bis cpp perché in primo grado i ricorrente è stato giudicato in abbreviato e dunque non poteva ritenersi assente
rilevato che all’inammissibilità del ricorso, decretata de plano, conseguono le pronunce d cui all’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in data 7 luglio 2025.