Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 45005 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 45005 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME NOME nato a NAPOLI il 27/12/1998 COGNOME NOME nato a NAPOLI il 10/03/1992 COGNOME NOME nato a NAPOLI il 14/07/1983 COGNOME NOME nato a NAPOLI il 06/10/1984
avverso l’ordinanza del 06/06/2024 del TRIB. RIESAME di NAPOLI lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Napoli, in funzione di giudice dell’appello ex art. 310 cod. proc. pen., rigettava con ordinanza del 6-11 giugno 2024 l’impugnazione proposta nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal G.u.p. del medesimo Tribunale, che aveva rigettato l’istanza di scarcerazione per decorrenza del termine di custodia cautelare in relazione ai predetti imputati.
Va premesso, ai fini della migliore comprensione dei motivi di ricorso, che gli imputati sono stati sottoposti alla misura cautelare, per quanto consta a questa Corte, quantomeno per il delitto previsto dall’art. 416-bis cod. pen.
La difesa aveva presentato istanza al G.u.p., nel corso della celebrazione del rito abbreviato, con la quale rilevava come a seguito della astensione del primo Giudice designato per la trattazione del rito speciale, seguiva l’assegnazione all’attuale G.u.p. Secondo la difesa ciò aveva determinato la necessità di applicare l’art. 303, comma 2, cod. proc. pen., in quanto si verterebbe in tema di ‘rinvio ad altro giudice’.
La difesa osservava anche come tale ultima ipotesi sarebbe da trattarsi alla stregua del caso della regressione, anche disciplinato dall’art. 303, comma 2, cod. proc. pen. in ordine al quale la Corte costituzionale, con la sentenza n. 299 del 2005, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non consente di computare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dall’art. 304, comma 6, i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o in gradi diversi dalla fase o dal grado in cui il procedimento è regredito.
Il G.u.p., facendo proprio il contrario parere reso dal Pubblico ministero sull’istanza di scarcerazione, aveva ritenuto che a seguito di regressione «i termini ricominciano a decorrere, ma deve ovviamente tenersi conto dei termini di fase del giudizio abbreviato, non essendovi stata una regressione ad altra fase del procedimento».
Pertanto, il pubblico ministero osservava – riportandosi a tale valutazione il G.u.p. – che essendo stato il giudizio abbreviato ammesso dal giudice astenuto in data 11 luglio 2023, raddoppiati i termini massimi di fase da sei mesi ad un anno, con scadenza in data 11 luglio 2024, a decorrere dal ‘rinvio’ al nuovo giudice intervenuto il 19 dicembre 2023 il termine di dodici mesi sarebbe andato a scadere il 19 dicembre 2024, mentre quelli massimi pari ad anni quattro scadevano il 28 novembre 2026.
I ricorsi per cassazione proposti con unico atto nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME constano di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 310 cod. proc. pen. avendo il Tribunale del riesame omesso di valutare i motivi di ricorso in relazione alla decisione impugnata, decidendo in violazione del principio devolutivo.
Il G.u.p., rigettando l’istanza di scarcerazione, non avrebbe messo in discussione che si verta in tema di ‘rinvio ad altro giudice’, mentre il Collegio di appello escludeva il verificarsi di tale caso, così esorbitando dai poteri limitati all’ambito del devolutum, come prescritto all’art. 597 cod. proc. pen.
Il secondo motivo lamenta omessa applicazione dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen. dovendo ritenersi che il «rinvio ad altro giudice» sussista nel caso in esame, in quanto il ‘rinvio’ implica la trasmissione fisica del processo da una cancelleria all’altra, verificatosi nel caso in esame nel quale il giudice non si è ‘spostato’ ma gli atti sono stati trasmessi da una cancelleria all’altra del medesimo Ufficio G.i.p. del Tribunale di Napoli, con l’effetto che ai fini del limite invalicabi del doppio del termine ex art. 304, comma 6, cod. proc. pen. debbano computarsi i termini delle due fasi, alla luce della ordinanza n. 529 del 2000 della Corte costituzionale.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, non essendo intervenuta alcuna richiesta di trattazione orale, ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, ha depositato requisitoria e conclusioni con le quali ha chiesto il rigetto dei ricorsi: quanto al primo motivo, rilevando come al Giudice d’appello sia consentito rendere una motivazione diversa rispetto al provvedimento impugnato; quanto al secondo motivo, ritenendo fondata la valutazione del Tribunale del riesame, allorchè distingue fra regressione e astensione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono complessivamente infondati.
Quanto al primo motivo di ricorso, deve rilevarsi come il motivo sia infondato.
A ben vedere, proprio l’art. 597 cod. proc. pen., evocato dalla difesa come parametro in relazione al giudizio ex art. 310 cod. proc. pen., deve essere ben interpretato nel senso che i limiti dell’effetto devolutivo dell’appello attengono alle statuizioni del provvedimento impugnato e non anche alla motivazione dello stesso (Sez. 3, n. 9841 del 10/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242995 – 01, in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto consentito al giudice di appello motivare la conferma della sentenza impugnata sulla base di elementi di prova
diversi da quelli indicati dalla pronuncia di primo grado). Per altro, anche recentemente l’orientamento risulta ulteriormente consolidato in quanto, ai fini dell’individuazione dell’ambito di cognizione attribuito al giudice di secondo grado dall’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., per punto della decisione deve ritenersi quella statuizione della sentenza che può essere considerata in modo autonomo, non anche le argomentazioni esposte in motivazione, che riguardano il momento logico e non già quello decisionale del procedimento, con la conseguenza che, per la parte di sentenza suscettibile di autonoma valutazione relativa ad una specifica questione decisa in primo grado, il giudice dell’impugnazione può pervenire allo stesso risultato sulla base di considerazioni e argomenti diversi o alla luce di dati di fatto non valutati in primo grado, senza con ciò violare il principio dell’effetto parzialmente devolutivo dell’impugnazione (Sez. 5, n. 29175 del 07/04/2021, COGNOME, Rv. 281697 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 40981 del 15/05/2014, Giumelli, Rv. 261366 – 01; conf.: N. 2390 del 1997 Rv. 207177 – 01, N. 2768 del 1998 Rv. 209999 – 01, N. 10795 del 1999 Rv. 214111 – 01, N. 9841 del 2009 Rv. 242995 – 01).
Pertanto, la diversa motivazione del Tribunale del riesame non integra la violazione dedotta, anche nello specifico caso, in relazione ai principi fissati in ordine all’art. 310 cod. proc. pen.
Difatti, autorevolmente è stato affermato che la cognizione del giudice di appello nel procedimento incidentale sulla libertà, di cui all’art. 310 cod. proc. pen., è limitata ai punti della decisione impugnata attinti dai motivi di gravame (e a quelli con essi strettamente connessi e da essi dipendenti), ma non è condizionata dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni in diritto poste dal giudice della decisione impugnata a sostegno del proprio assunto (Sez. U, n. 8 del 25/06/1997, Gibilras, Rv. 208313 – 01 nel caso di appello avverso provvedimento di rigetto di istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare per asserita contestazione a catena, fondata, tra l’altro, sull’esistenza di vincolo di continuazione o di connessione tra i reati contestati. Nell’enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione del tribunale della libertà basata, pur in assenza al riguardo di deduzioni dell’appellante o di argomentazioni del giudice “a quo”, sull’esistenza di una preclusione derivante dal giudicato cautelare sul punto).
Tale autorevole orientamento è stato successivamente confermato da questa Corte di legittimità, affermando che la cognizione del giudice dell’appello cautelare è limitata, in applicazione al principio devolutivo, ai punti della decisione impugnata, ma non all’ambito dei motivi dedotti e ciò soprattutto quando i punti investiti dal gravame si trovano in rapporto di pregiudizialità, dipendenza, inscindibilità o connessione con altri non oggetto di gravame, così da rendere
necessaria, per il giudice del gravame, una completa “cognitio causae” nell’ambito del “devoluto” (Sez. 5, n. 30828 del 29/05/2014, Rv. 260484 – 01; nello stesso senso, Sez. 2, n. 18057 del 01/04/2014, COGNOME, Rv. 259712 – 01, in relazione al caso in cui la Corte ha ritenuto che legittimamente il tribunale, pronunciandosi su appello dell’indagato, aveva confermato la decisione di rigetto di istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare, proposta per asserita violazione delle regole dettate in tema di contestazione a catena, osservando, in difformità di quanto affermato dal primo giudice, che doveva ritenersi insussistente il presupposto della connessione qualificata, e sussistente, invece, quello della “desumibilità degli atti”; conf.: N. 28253 del 2010 Rv. 248135 – 01).
E da ultimo, anche Sez. U, n. 15403 del 30/11/2023, dep. 12/04/2024, COGNOME, Rv. 286155 – 01 hanno ribadito in motivazione: a) la continuità strutturale del modello configurato dall’art. 310 cod. proc. pen. con quello generale, sostenendo che “l’appello nel processo di merito e l’appello nel procedimento incidentale in materia di libertà personale partecipano (…) della stessa natura, poiché integrano lo stesso strumento di verifica del provvedimento del primo giudice” (Sez. U, n. 8 del 25/06/1997, COGNOME, Rv. 208313 – 01); b) il principio per cui all’appello cautelare devono essere estese le regole di quello di merito e, prima fra tutte, quella relativa all’effetto parzialmente devolutivo dell’impugnazione posta dall’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., con la inevitabile conseguenza che la cognizione del giudice di appello, anche nel procedimento incidentale sulla libertà, viene limitata ai punti della decisione impugnata attinti dai motivi di gravame, nonché a quelli con essi strettamente connessi e da essi dipendenti; c) la predetta regola trova applicazione al procedimento di cui all’art. 310 cod. proc. pen. con tutte le sue implicazioni, compresa quella della libertà di autonoma valutazione e motivazione attribuita al giudice del gravame, i cui poteri cognitivi sono sì limitati ai punti attinti dai motivi d’appello, ma non altrettanto condizionati, all’interno del perimetro tracciato da questi ultimi, dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni in diritto poste a base della decisione impugnata, esattamente come lo stesso Supremo Collegio ha ripetutamente ritenuto con riferimento all’appello cognitivo (Sez. U, n. 10251 del 17/10/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 235700 – 01; Sez. U, n. 1 del 27/09/1995, dep, 1996, COGNOME, Rv. 203096 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso in esame, la connessione fra l’istanza originaria, la motivazione del primo giudice – che escludeva la regressione ma ammetteva la sussistenza di un rinvio ad altro giudice – nonché il motivo di appello – che lamentava la necessità di computare sommando i due periodi di fase, dalla ordinanza ammissiva del rito abbreviato al rinvio ad altro giudice e dal rinvio ad altro giudice fino alla sentenza,
per un totale non superiore ad un anno – esclude che il Tribunale del riesame con funzione di giudice d’appello abbia esorbitato dai limiti assegnatigli.
La lettura del provvedimento, impugnato con l’appello, consente infatti di rilevare come lo stesso G.u.p. – facendo proprio il parere del pubblico ministero – avesse escluso la sussistenza della regressione nel caso in esame.
In sostanza anche il G.u.p. prospettava l’inesistenza di fasi intermedie da computare in difetto di regressione, dovendosi cumulare solo i periodi ‘omogenei’ del rito abbreviato.
Pertanto, infondato è il primo motivo.
Quanto al secondo motivo, assorbente risulta, a ben vedere, la manifesta infondatezza della istanza che già il Tribunale del riesame di fatto rilevava, in quanto la stessa era stata formulata in un momento in cui, anche seguendo la tesi difensiva, i termini di fase non erano scaduti.
Difatti, non essendo contestati i termini indicati dal Pubblico ministero nel parere fatto proprio dal G.u.p., il termine di fase di mesi sei per il rito abbreviato andava a scadere, a seguito del raddoppio conseguente all’intervenuta sospensione per complessità, in data 11 luglio 2024.
Il ragionamento del Tribunale del riesame esclude del tutto che possa trovare applicazione l’art. 303, comma 2, cod. proc. pen. in quanto non solo non era intervenuta alcuna regressione, ma neanche alcun ‘rinvio ad altro giudice’, rilevando come l’astensione determini l’assegnazione ad altro giudice persona fisica nell’ambito del medesimo ufficio giudiziario, quindi non il rinvio ad altro giudice.
D’altro canto, tale affermazione si pone in linea con Sez. 6, n. 17 del 08/01/1996, COGNOME, Rv. 204006 – 01, che decidendo in ordine alla trasmissione degli atti dal Tribunale alla Corte di assise di Catania per ragioni di connessione, affermava che per l’ipotesi di rinvio del processo ad altro giudice per ragione di connessione, non possono farsi nuovamente decorrere ex art. 303 comma secondo cod. proc. pen. i termini di durata della custodia cautelare. In tal caso, invero, non v’è regressione del procedimento e l’applicazione estensiva della norma di cui sopra sarebbe contraria ai principi di garanzia dettati dal nuovo codice in materia di libertà personale a favore degli indagati, i quali oltre ad essere penalizzati da decisioni facoltative sulla competenza contro le quali non è data impugnazione autonoma, vedrebbero violate ingiustificatamente le disposizioni relative alla scadenza dei termini attraverso l’adozione di provvedimenti analoghi a quelli contenenti “contestazione a catena” che non possono incidere sulla decorrenza in questione.
La dottrina, a commento di tale pronuncia, ha acutamente osservato che anche il caso di astensione e ricusazione esclude la regressione e deve ritenersi non giustifichi il nuovo inizio dei termini di fase.
A ben vedere, tali argomentazioni dovrebbero comunque confrontarsi con il dato testuale della norma, che richiede la regressione per le ipotesi di annullamento con rinvio o per altra causa, a una fase o un grado di giudizio diversi e poi, come ipotesi aggiuntiva, il caso del rinvio ad altro giudice, che non implica regressione, anche se giustifica il nuovo inizio dei termini di fase.
Ogni ulteriore approfondimento della questione, però, appare superfluo perché il provvedimento ora impugnato ha riconosciuto di fatto una tesi più favorevole alla difesa, escludendo la possibilità del ‘nuovo decorso’ dei termini di fase per difetto di regressione.
E l’appello non è stato accolto perché, anche escludendo l’applicabilità del nuovo decorso dei termini ex art. 303, comma 2, cod. proc. pen. alla data dell’istanza difensiva e dello stesso appello, il termine di fase originario, semestrale raddoppiato per complessità del procedimento, non era ancora scaduto, il che si sarebbe verificato solo successivamente, in data 11 luglio 2024.
D’altro canto, il G.u.p. ha definito il processo in rito abbreviato, come emerge dal dispositivo in atti, nei confronti degli attuali ricorrenti, in data 8 luglio 202 quindi prima della scadenza del menzionato termine di fase.
È di tutta evidenza che tali ultime considerazioni assorbono le questioni poste dalla difesa in ordine alla estensione al caso del ‘rinvio ad altro giudice’ dei principi della pronuncia della Corte costituzionale n. 209 del 2005, affermati in relazione alle ipotesi di regressione.
Anche accedendo alla tesi difensiva, che richiede di cumulare i termini di durata del giudizio abbreviato svoltosi dinanzi ai due G.u.p., il termine di un anno, a seguito del raddoppio di quello di sei mesi, risulta comunque non scaduto e rispettoso di quello pari al doppio del termine di fase previsto dall’art. 304, comma 6 cod. proc. pen.
Ne consegue il complessivo rigetto dei ricorsi, con condanna alle spese processuali dei ricorrenti.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 01/10/2024