Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 37457 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 37457 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a Casarano avverso l’ordinanza del 12/04/2024 del Tribunale del riesame di Lecce
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso; uditi gli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, e l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, i quali si sono riportati ai motivi del ricorso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
1.Con le ordinanze impugnata, aventi identico contenuto e, per questo, riunite in un unico procedimento, il Tribunale del riesame di Lecce ha rigettato
l’impugnazione avanzata ex art. 310 cod. proc. pen., nell’interesse di COGNOME NOME, avverso il provvedimento con cui il 18 marzo 2024 la Corte di appello di Lecce rigettava l’istanza, avanzata dal ricorrente, di perdita di efficacia della misura in atto a carico del medesimo.
Il Tribunale del riesame ha premesso che:
Con sentenza del 15 dicembre 2021, la Corte d’appello di Lecce condannava COGNOME – attualmente detenuto per questa causa – alla pena di anni diciannove e mesi quattro di reclusione in relazione ai reati, valutati in continuazione, di cui agli artt:
(capo a) 110 e 416-bis, commi 1, 3, 4 e 5, cod. pen.;
(capo b) 110, 56, 575, 577 n. 3 e n. 4, 61 n. 1 e n. 4, 416-bis. 1 cod. pen.;
(capo b1) 110, 81, secondo comma, 61 n. 2 cod. pen., 1, 2, 4, 7 895/1967;
(capo c) 110 cod. pen. 74, commi 1 e 2, d.P.R. 309/1990;
(capo d) 56, 575, 577 n. 3 e n. 4, 61 n. 1 e n. 4, 416-bis. 1 cod. pen.;
(capo d1) 61 n. 2 cod. pen., 2, 4, 7 I. 895/1967;
(capo e) 81, secondo comma, 648-bis, 61 n. 1 e n. 2 cod. pen.;
(capo f) 81, secondo comma, 490, in relazione agli artt. 477 e 482, 61 n. 1 e n. 2 cod. pen.;
(capo g) 424, primo e secondo comma, 61 n. 1 e n. 2 cod. pen.
La misura custodiale – alla quale è attualmente sottoposto il ricorrente era stata disposta dal Giudice delle indagini preliminari in relazione ai capi da a) a e) dell’imputazione, con ordinanza del 6 novembre 2019.
La sentenza di appello confermava, quanto all’affermazione della penale responsabilità di COGNOME per tutti i capi sopra indicati, la pronuncia di primo grado, discostandosene unicamente con riferimento al riconoscimento della aggravante di cui all’art. 416-bis 1 cod. pen., in relazione al capo b), che escludeva.
La Corte di cassazione il 30 giugno 2023 annullava la sentenza d’appello senza rinvio, limitatamente al riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416bis 1 cod. pen. con riferimento al capo b1), e con rinvio con riferimento al capo a).
Il 19 luglio 2023, la Corte di appello di Lecce, quale giudice del rinvio, applicando per tutti i capi di imputazione il disposto di cui agli artt. 303, comma 2 e 304, comma 6, cod. proc. pen., individuava, quale unico termine della custodia cautelare, quello del 16 marzo 2024.
In data 15 marzo 2024, la Corte d’appello di Lecce – riconoscendo errato il calcolo precedentemente effettuato – emetteva un’ulteriore provvedimento, con il
quale annullava e sostituiva il precedente ordine di scarcerazione, effettuando un calcolo differente – e, ad avviso del Tribunale del riesame, corretto – che portava a limitare il decorso del termine nella data del 16 marzo 2024 al solo capo a) di imputazione e a individuare il diverso termine di scadenza nell’i novembre 2025 con riferimento ai capi di imputazione b), c) e d).
in data 18 marzo 2024 COGNOME formulava istanza affinché fosse dichiarata la perdita di efficacia della misura cautelare in atto a suo carico, non condividendo l’ultima determinazione della Corte d’appello e quest’ultima, ribadiva che la misura cautelare permaneva, nonostante la definitività di tutti i capi di imputazione, ad eccezione del capo a) della statuizione di condanna, e che doveva farsi riferimento, non più al termine di fase, ma solo a quello complessivo ex art. 303, comma 4, aumentabile ex art. 304 comma 6 cod. proc. pen. Per il solo capo a), l’annullamento con rinvio comportava, invece, che, ai fini del calcolo della decorrenza dei termini cautelari, dovessero essere computati i termini massimi di fase.
1.1. Avverso l’ordinanza della Corte di appello era presentato appello ex art. 310 cod. proc. pen. e il Tribunale del riesame, nel rigettare l’istanza, ha evidenziato che l’applicazione del comma 4 dell’art. 303 cod. proc. pen. (il cui calcolo porta a individuare la scadenza del termine, nel caso di specie, alla data del 1 novembre 2025), riguardava tutte le ipotesi di doppia condanna in cui resti da determinare esclusivamente l’entità della pena da infliggere. Tale situazione, a giudizio del Collegio della cautela, era proprio quella che si era verificata, nel caso di specie, con riferimento a tutti i capi della sentenza, che non erano stati travolti dall’annullamento con rinvio. Pertanto, quantomeno per i capi b), c) e d), il termine da applicare era quello di cui all’art. 303, comma 4, lett. c) cod. proc. pen. – pari a sei anni – in quanto rapportato a reati puniti nel massimo con pena superiore ai venti anni (ovvero ventiquattro anni per i due tentati omicidi aggravati e per il reato di cui all’art. 74, comma tre, d.P.R. 8 ottobre 2024, n. 309). Tale termine, pertanto, non risulta ancora decorso, essendo COGNOME NOME detenuto dal 2 novembre 2019.
Avverso le ordinanze, ricorre per cassazione COGNOME, deducendo i motivi di annullamento di seguito sintetizzati ex art. 173 disp. att, cod. proc. pen.
2.1.Ricorso AVV_NOTAIO COGNOME:
-Violazione di legge in relazione all’art. 303, comma 4, cod. proc. pen.
Occorre fare riferimento alla sentenza delle SU COGNOME, secondo la quale, ai fini della individuazione dei termini di durata massima della custodia cautelare, allorchè vi sia stata sentenza di condanna in primo o in secondo grado (come nel caso di specie), deve aversi riguardo alla pena complessivamente inflitta per tutti
i reati per i quali è in corso la misura custodiale, e, quindi, alla pena unitariamente quantificata a seguito dell’applicazione del cumulo materiale o di quello giuridico, derivante dal riconoscimento del vincolo della continuazione. Per i capi b), c) e d) dell’imputazione il giudice di primo grado ha determinato una pena pari ad anni dieci di reclusione, ridotti per il rito ad anni sei e mesi otto di reclusione. Il termine di durata della misura cautelare dovrebbe essere quello di cui all’art. 303, comma 4, lett. b) cod. proc. pen., ovverossia anni quattro, e, pertanto, già ampiamente espiato dal ricorrente.
2.2.Ricorso AVV_NOTAIO:
2.2.1. Violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 178, comma 1, lett. b) e 179 cod. proc. pen.
Il provvedimento emesso dalla Corte di appello, con il quale si annullava e sostituiva il precedente ordine di scarcerazione, effettuando un calcolo differente che portava a limitare il decorso del termine alla data del 16 marzo 2024 al solo capo a) di imputazione, suscita gravi perplessità in ordine alla interpretazione offerta dal Tribunale del riesame relativamente alla natura del provvedimento emesso dalla Corte di appello di Lecce in data 15 marzo 2024, nonché alla legittimazione attribuita alla Corte di appello di Lecce, in assenza di domanda cautelare. Non si tratta di un provvedimento incidentale, bensì di una nuova misura cautelare.
2.2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 303 cod. proc. pen.
A seguito dell’annullamento dell’imputazione di cui al capo a), con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 303, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui dispone che «decorrono di nuovo i termini previsti dal comma 1, relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento». Termini di fase, dunque, e non, come erroneamente ritenuto nel provvedimento impugnato, quelli complessivi ex art. 303, comma 4, cod. proc. pen., per la evidente non eseguibilità della sentenza rispetto ai residui capi di imputazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
Contrariamente all’assunto difensivo, la ordinanza impugnata non incorre nei vizi denunciati, in quanto le censure difensive sono state esaminate e confutate richiamando principi fissati da questa Corte di legittimità con un coerente e logico percorso giustificativo.
L’unico motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO COGNOME e il secondo motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO COGNOME sono generici e, comunque, manifestamente infondati.
2.1 Il Tribunale del riesame ha, puntualmente, evidenziato che l’applicazione del comma 4 dell’art. 303 cod. proc. pen. (il cui calcolo porta a individuare la scadenza del termine, nel caso di specie, alla data dell’i novembre 2025), riguarda tutte le ipotesi di doppia condanna in cui resti da determinare esclusivamente l’entità della pena da infliggere.
Tale situazione è proprio quella che si è verificata, nel caso di specie, con riferimento a tutti i capi della sentenza che non sono stati travolti dall’annullamento con rinvio.
Pertanto, quantomeno per i capi b), c) e d), il termine da applicare in concreto è quello dell’art. 303, comma 4, lett. c),cod. proc. peri. / pari a sei anni, in quanto rapportato a reati puniti nel massimo con pena superiore ai venti anni (ovvero ventiquattro anni per i due tentati omicidi aggravati e per il reato di cui all’articolo 74, comma 3, d.P.R. 8 ottobre 1990, n. 309). Tale termine, quindi, non risulta ancora decorso, essendo COGNOME NOME detenuto dal 2 novembre 2019.
Inoltre, con riferimento a quanto statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza Mannmoliti, n. 1 del 26/02/1997, la durata della custodia cautelare patita fino ad oggi dal ricorrente (anni 4 e mesi 4 di reclusione) è, comunque, inferiore al cumulo degli aumenti di pena inflitti per i reati in questione (ossia, considerata la diminuente per il rito, anni due per il reato su b), più anni uno e mesi quattro per il reato sub c), più anni due e mesi otto per il reato sub d), pari, nel complesso, ad anni sei, ossia un periodo di tempo, in ogni caso, superiore al presofferto.
A ciò si aggiunga che, fino alla data del 16 marzo 2024, la custodia cautelare veniva retta anche dal reato di cui al capo a), per il quale non è mai intervenuta sentenza di assoluzione e che, quindi, fino alla data di perdita di efficacia, costituiva anch’esso valido titolo per la misura cautelare in atto.
Sicché, quantomeno sino alla data del 16 marzo 2024, non si vede per quale motivo il pressofferto debba essere imputato ai reati satelliti e non anche alla condanna relativa a tale capo di imputazione (ovvero quindici anni di reclusione con un aumento di ulteriori tre anni per la recidiva), condanna che, fino ad oggi, non può ritenersi non esistente, essendo stato chiesto alla Corte di appello di riesaminare il giudizio di responsabilità. Di conseguenza, non ricorrono i presupposti per la dichiarazione di perdita di efficacia della misura cautelare ai sensi dell’art. 300, comma 4, cod. proc. pen.
2.2. Inoltre, la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, n. 23381 del 31/05/2007, COGNOME, risulta inconferente rispetto al caso di specie, riguardando una
vicenda del tutto diversa, ossia il calcolo del termine di fase di cui all’art. 303 lett c), cod. proc. pen. (al fine di decidere se, quando la Corte di appello emette un ordine di sospensione del termine cautelare, questo sia già decorso o meno) e non il calcolo del diverso termine ai sensi dell’art. 303, comma 4, cod. proc. pen.
2.3. Infine, nessuna dichiarazione di perdita di efficacia della misura può discendere dall’applicazione dell’art. 304, comma 6, cod. proc. pen., nella parte in cui, con riferimento alle ipotesi di sospensione del termine cautelare, fa riferimento al doppio del termine di fase, posto che, nel caso di specie, non sono i termini di fase a rilevare, ma i termini di cui al comma 4 dell’art. 303 cod. proc. pen., con riferimento ai quali, lo stesso comma 6 prevede, in caso di sospensione, che questi ultimi possano essere aumentati della metà.
Il primo motivo dell’AVV_NOTAIO COGNOME è manifestamente infondato, poiché, in nessun modo, il provvedimento della Corte di appello di Lecce in data 15 marzo 2024 può ritenersi applicativo di una nuova misura cautelare.
Trattasi, più semplicemente, di un ordine di scarcerazione a futura memoria, che, quindi, non necessitava di alcuna domanda cautelare.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna dell’indagato al pagamento delle spese processuali.
In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 18 luglio 2024
Il Col igiiere estensore
Presidente